72. Panico

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Credo che se fosse possibile, senza spiccare una parola, la mia espressione sarebbe capace di parlare, urlare, minacciare e ridere da sola. In questo momento, quello che vorrei fare  è mettermi ad urlare come una pazza isterica. Okay, forse urlare no, ma un pensiero lo farei. Jonah non merita di avere la mia attenzione, perché le persone arroganti non possono far parte della mia cerchia di amicizie. Sarà anche un bel ragazzo per tutte, ma a me la belezza è l'ultima cosa che mi sfiora, perché io mi focalizzo unicamente sul carattere, e lui è decisamente il contrario di quello desiderabile.

L'unica cosa che riesco a fare è ammiccare un sorriso mini, quasi falso. «Auguri.» Sussurro poi, solo per mostrare di essere cortese.

Lui, senza fare caso al mio atteggiamento nei miei confronti, lascia un piccolo pacchetto al suo "migliore" amico, se ancora lo sono, e poi si avvicina a me sorridente.

«Allora, come sta il mio animaletto ferito?» Mi tocca le gambe ingessate, ed io non posso neanche ritrarle.
«Quale animaletto? Il tuo, quello che porti sempre con te, che neanche hai? Se ti avvicini un altro po',te lo trovi sanguinante.» Gli faccio un sorriso beffardo. Non so da dove le pesco certe risposte quasi assurde, ma Jonah mi imbestialisce. Persino la sua resenza è controproducente per me.

Lui, sicuramente per dispetto, si avvicina di più a me, continuando ad accarezzare la gamba sinistra coperta dal gesso, salendo lentamente. La mia espressione spaventata mi porta a guardare Esteban, che sta ancora aprendo il regalo che gli ha fatto il suo amico.

Jonah, dal canto suo, non si accorge neanche della mia paura, probabilmente stampata in faccia, e continua le sue avances indesiderate. Tento di muovere le gambe ma sono completamente bloccate, perché il suo peso ora è sopra di me e mi impedisce anche di parlare. O quasi.

«Jonah, allontanati subito. Ti ho detto che ti faccio male, se continui.» Sbiascico difficilmente, ma almeno la mia vopce strozzata è servita ad attirare l'attenzione di Esteban, che nell'esatto momento in cui Jonah sposta la sua mano dalla gamba alla mia bocca, per zitttirmi, e l'altra sul mio seno, tira un urlo e mi accorgo della sua ira solo quando Jonah non è più su di me. Esteban ha raggiunto di fretta il divano e ha spinto il suo "amico", facendolo cadere a terra e toglierlo da sopra di me. Sono pietrificata, non riesco a capire nulla. Tutto questo mi sembra solo di averlo già vissuto, ma sembra assurdo.

«Cristo Santo, Jo. Sei fatto? Esci subito da casa mia.» Esteban sbotta, furioso. Minchia, gli farei i complimentio per aver tirato fuori la sua rabbia. É la prima volta che lo vedo urlare così, e vederlo fare contro il suo "migliore amico", fa un certo effetto. Peccato che io mi sento letteralmente fuori dal mio corpo.

«Calmo, amico. Stavo solo giocando.» Ride Jonah.
«Giocando? Ma fai sul serio? Questi non sono giochi, e tanto meno ho richiesto un porto dal vivo per Natale. Anzi, questo è decisamente peggio. Questa è una molestia sessuale.»

«Mado, che guastafeste che siete. Era solo uno stupido gioco affettivo.»
«Esci subito. Vattene.»
«Devo dare il regalo al mio cioccolatino. Non posso andarmene senza vedere se le piace.» Mi lancia un pacchetto rettangolare addosso, ma io non manifesto alcuna reazione, ne di dolore ne disgusto. Riesco solo a lanciare uno sguardo al pacco e un altro ad Esteban.

«Lo vedi che l'hai completamente disconnessa. Dammi qua, lo apro io e poi te ne vai immediatamente.» Prende il regalo da sopra a me, e lo apre.

«Un vibratore? Seriamente, Jonah?» Esteban è scioccato per me.
«Si, seriamente. Può essere molto utile, così si sentirà pronta anche a ricevere il mio pacchetto dentro di lei.» La voce di Jonah è altezzosa, arrogante.

Esteban gli butta il regalo contro, facendo attenzione a non mirare me. «Vattene ora o rischi di non vedermi mai più. La prima cosa che mi salta in mente di fare ora è chiamare la polizia, ma sei ancora in tempo per scappare, fino al mio tre. Uno... due... t...»

«Si, okay. Me ne vado, ma non potete proibirmi di avere quello che voglio.» Si avvia verso la porta. «Ci vediamo, cuore.» Mi rivolge un sorriso perverso, e se ne va. 

Appena esce di casa, è come se finalmente il mio corpo fosse ritornato a respirare. Finalmente posso guardare Esteban direttamente negli occhi, e non con la coda degli occhi, e gli trasmetto tutta la mia attuale incapacità di ragionare. Sì, è assurdo, ma sto avendo un attacco di panico, ed Esteban se n'è già accorto. Il mio respiro, se prima era inesistente, ora è affannato e pesante; se il mio corpo prima era immobile, ora trema come una foglia; se fino a poco fa non ho detto più una parola, ora sto iniziando ad urlare senza riuscire a fermarmi; se fino a poco fa sono stata allergica all'esternare le emozioni imbarazzanti, ora le mie lacrime scorrono sulle mie guance come fiumi in piena cascata. L'attacco di panico era l'ultimo tassello ancora sepolto della depressione, ed ecco che anche questo è uscito di nuovo allo scoperto, e il solito che deve subirsi le mie crisi è Esteban. Non mi sorprenderei se decidesse di lasciarmi stare e non avere più nulla a che fare con me.

Vorrei scappare. Vorrei ritornare a casa mia, qui a Malibu, e starmene da sola. Vorrei trasferirmi in una nuova città, dove nessuno potrà trovarmi, e non permettere a nessuno di avvicinarsi a me. Vorrei poter tornare indietro nel tempo, a qualche anno fa, così che la mia risposta negativa per fare l'università resterà tale. E invece no. Di tutti questi desideri, ora come ora nn posso esaudirne neanche uno. Neanche tornare alla mia casa qui non è possibile, perché ho le gambe ingessate, e fatico a camminare per lunghi tratti. Sono bloccata a restare qui, a rendermi ridicola con il mio unico vero amico.

«Cazzo, Jen. Ti prego, ascoltami. Jen.» Mi scuote, sperando in una mia risposta per lui. «Sono qui. Non sei sola.» Niente, non riesco a fermare le mie urla disperate, o almeno a diminuirle. Sono infiltrata nel mio incubo peggiore, e non riesco neanche a capire di cosa si tratta, e cosa mi st causando questa reazione così esagerata. Non so se è esagerata, ma non so come descriverla.

«Minchia, Jonah del cazzo. Jen, ti prego, dammi un segno e prova a dirmi cosa devo fare per farti riprendere.» Si dispera, mentre mi scuote ancora. 

Io cerco di postare i miei occhi nei suoi, ma non ci riesco. Sono incorati nel vuoto. Provo a muovere la mia mano per prendere quella di Esteban, ma anche questo tentativo resta vano. Non riesco a placare la disperazione. Intanto, continuo a tentare con la mano. Non devo mollare.

«Cristo Santo, aiutami tu. Lo so che sono una testa di cazzo, ma ti prego,  non abbandonarmi ora. Ho bisogno di te... oh, cazzo. Grazie a Dio.» Mi prende la mano che stavo cercando di far notare, e allo stesso tempo lui comincia a trasmettermi la sua calma, accarezzandomi il volto. Beh, è difficile trasmettere tranquillità quando comunque anche chi si trova a dover aiutare sta andando nel panico. 

«Forza, Jen. Vedi, ci sono io con te. Non resti sola, quando ci sono io con te.» Mi lascia un bacio sulla mano, mentre l'altra è sempre sulla mia testa. Piano piano, le mie grida si attenuano, e il respiro comincia a rallentare. 

«Cosa è successo con quello?» Chiedo, piangendo, non aspettando una risposta.
«Sh, non importa. Ti ho salvata, quindi stiamo entrambi non peggio.» Per permettere di più ai suoi tentativi di aiutarmi di essere utili, mi lascia qualche bacio sulla guancia destra, e lentamente si sposta verso il centro, fino a baciare le mie labbra. Questo suo modo di fare così pacato e dolce contribuisce a calmare il mio attacco di panico, e finalmente riesco a ricambiare il suo bacio, che però interrompo subito dopo.

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