1. Malibu

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«Jenna Alisha Sophie Dempsey, svegliati o ti tiro due padellate nelle orecchie.»

Evito il mio incubo peggiore, e butto a terra la coperta del mio letto, restando ugualmente sdraiata e con gli occhi ancora chiusi.

«Potresti anche degnarti di un buongiorno. Giuro che qualche giorno rischierò di spaccarti il cranio.»

In risposta, alzo il dito medio dal cuscino e giro la testa dall'altro lato.

Oggi dovrebbe essere il mio grande giorno, ma sottolineo, DOVREBBE.

Oggi devo partire per l'università, e alle 2:30 ho il volo per Los Angeles. Dopo tanti indugi, mi sono messa l'anima in pace, e ho accettato i consigli di mia madre, prendendo questa nuova strada d'istruzione, e scegliere la facoltà di psicologia.

Ho scelto questa facoltà solo perché voglio aiutare le persone nelle difficoltà che ho trascorso nella mia vita, e magari cercare di sconfiggerle una volta per tutte anche dentro di me. Ora non voglio entrare nel dettaglio, perché non voglio farvi pensare che sia una debole, ma spero si sia capito.

Comunque, ritornando a me, nel profondo non volevo continuare gli studi, perché non mi piace ammettere che sono brava e mi piace studiare, infatti è già tardi, ma la voglia di alzarmi e prepararmi resta pari a zero.

Ad un certo punto, proprio mentre sto prendendo nuovamente sonno, cado a terra, e non ci metto molto a capire che mia madre mi ha buttato a terra. È stata proprio lei ad impormi l'università, ed ora porta fretta per me, perché è più emozionata lei che io.

Dopo aver pensato ad una marea di bestemmie da urlare, mi limito a lanciarle uno sguardo omicida, e comincio a privarmi del pigiama ed indossare un jeans e una maglietta nera, accompagnati da un cardigan del medesimo colore. L'unica luce che permetto di avere sono le mie scarpe bianche.

Ah dimenticavo... Ho gli occhi azzurri e i capelli biondi, tendente al castano chiaro, e sono le uniche cose di cui vado fiera, anche se non rispecchiano la mia personalità. Del resto, non voglio perdere tempo per descrivermi... lo scoprirete a tempo debito.

Dopo aver dato un tocco di nero anche ai miei occhi piccoli, prendo il mio zaino bianco, qualche penna e un quaderno, chiudo definitivamente la valigia, e con mia madre mi dirigo in aeroporto, a qualche chilometro da casa. Un po' di passeggiata mi aiuterà a svegliarmi.

Dopo il check-in, saluto mia madre e mi dirigo subito al bar per la colazione, nel mentre aspetto il mio volo. Non amo la colazione, infatti maggiormente prendo solo il caffè ma, dal momento che non so neanche se riuscirò a pranzare, mi conviene mettere qualcosa nello stomaco, sperando di non vomitare durante il viaggio. Sarà molto lungo, e soprattutto passerò all'opposto del mio clima. Brighton è fredda e piovosa, anche d'estate, mentre la California è nota per il suo clima molto caldo e luminoso.

In aereo, mi dispongo comoda nel mio posto, e dopo un po' mi addormento. Mi aspetta un volo di 11 ore e 22 minuti, e spero di svegliarmi direttamente all'aeroporto LAX. Peccato che il mio viaggio non terminerà lì, perché dopo mi toccherà prendere il treno per Malibu e il bus per la Pepperdine University. Sarà una giornata infinita. Chi me lo ha detto? Era meglio il mio morbido letto.
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Ciao, casa, anche se devo ancora conoscerti.

Finalmente le totali 13ore e mezza di viaggio sono giunte al termine, e finalmente ho messo piede nel mio piccolo appartamento americano. È piccolo perché detesto la compagnia: meglio soli che male accompagnati.

La prima cosa che faccio, appena mi metto comoda sul divano, è addentare una focaccia ripiena di tacchino, insalata e maionese, presa al terminal del bus. La fame è tanta, considerando che in aereo non mi sono pres nulla, e l'unica cosa mangiata oggi è un misero cornetto al pistacchio, quindi è il minimo che potessi prendere, e appena finirò di disfare la valigia e sistemare tutto, mi farò un giro nelle vicinanze nella speranza di trovare qualcosa di appetitoso.

Tanti vestiti e maledizioni dopo, chiudo finalmente l'armadio, appurando di aver anche bisogno di qualche nuovo panno. Ne ho davvero pochi, e l'armadio è grande. Sinceramente mi fa un po' pena lasciarlo spoglio.

Dopo aver indossato un giubotto leggero, prendo il portafoglio ed esco di casa, chiudendo a chiave la porta dietro di me.

Passeggiando lungo il corso, e sul lungo mare, realizzo di non essere in una città, ma in un paradiso. Non c'è sole o tanto caldo, essendo le 10:35 pm, ma il mare e la città sono pieni di illuminazione, e per quanto io odi le persone, questa folla è piacevole, perché ognuno è fine a se stesso. Nessuno osa guardarti e giudicarti.

Appena noto il McDonalds in lontananza, mi faccio coraggio ed entro. Detesto il Mc, e non mi va di dire perché, ma per ora mi sembra il fast food più economico trovato. Mi conviene risparmiare un po', se non voglio finirmi i soldi messi da parte già i primi giorni.

Mentre mangio il mio McChicken, mi guardo intorno, vedendo coppie adulte, anziani, bambini e persino qualche senzatetto, a giudicare dall'apparenza.

Ad un certo punto, mentre metto in bocca l'ultimo boccone del panino, un ragazzo castano e la mascella definita di avvicina a me, sedendosi di fronte.

Alzo subito gli occhi al cielo, cominciando subito a pensare a come mandarlo a quel paese, ma lui comincia a parlare, facendo sentire la sua tranquilla voce roca.

«Ciao, sei nuova in città? Ti ho notata nel pomeriggio nel bus, e in aeroporto di sfuggita, ed ora che ti ho trovata anche qui, non voglio farmi sfuggire l'occasione di darti il benvenuto a Malibu. Io sono Esteban, e ho 22 anni...»

Continua a parlare, ma smetto di ascoltarlo. Cosa importa a me della sua presentazione e della sua vita? Io sono qui per studiare, non per conoscere persone, e quelle che me lo impongono finiscono nella mia lista nera. Ho 20 anni, sono giovane, ma non ho tempo per queste stronzate.

Mentre lui continua il suo monologo, io mi alzo, e senza girarmi verso di lui, me ne vado, cancellando il suo volto dalla mia mente.

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