46. Sola

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«Okay, aspetta... mi stai dicendo che il 28 verrai ricoverata in ospedale? Quindi non passeremo il Capodanno insieme?» Esteban si avvicina di fretta, sentendo la brutta notizia data da sua cugina.

Dal mio canto, invece, si è appena scaraventato un uragano contro di me. Sono muta, pietrificata.

Una parte di me direbbe: cavolo, e ora chi mi fa copiare gli appunti delle lezioni scritti in maniera chiara e dettagliata?

L'altra parte di me, una più oscura, è spaventata: cazzo, ora sono fottuta. Come farò, adesso, ad avere un aiuto per sconfiggere questa ricaduta?

Però, strano a dirlo, ma ci sta anche quella parte che comunque mi dispiace: mio dio, so cosa le sta passando adesso nella testa, capisco come si sente e spero che metterà tutta se stessa per guarire. Deve vincere lei.

Nonostante tutti questi pensieri controversi, non dico nulla. Neanche una parola. La mia espressione è... non so come descriverla. So solo che non riesco a dire nulla.

«Beh, è cattivo se dico meglio così? Io avrei preferito anche prima di natale.»
«Come mai hanno deciso di ricoverarti subito? Pensavo che stessi migliorando.» Ai, ho detto la frase sbagliata. Non potevo restarmene zitta?

«In realtà no, ho mascherato i miei sentimenti, ma sta andando tutto dentro ad una fossa. I miei comportamenti compensatori sono aumentati un sacco, e ho attuato anche altri metodi di sfogo, che qualcuno di voi mi ha indotto a fare incosciamente. Mi hanno imposto di accettare il ricovero, altrimenti avrei dovuto prendere due chili in una settimana per dimostrare che posso farcela anche da casa.»

Non so perché, ma con quello che dice mi sento presa in causa. Qualche metodo di sfogo che qualcuno le ha indotto a fare incosciamente? Questa cosa mi lascia un po' pensare. Cosa sta combinando?

«Mi dispiace, qualsiasi cosa io abbia fatto, non volevo condizionarti.» Si scusa Esteban, senza sapere che quell'affermazione è riferita a me.

«Erika, vieni con me? Ne parliamo con calma da sole.» Le propongo, e quindi saliamo nella sua camera.

«So che tu sei l'unica che può capire la mia situazione. Sono contenta di avere una persona che ha passato quel che sto passando io. Ho bisogno di supporto.» Mi abbraccia di nuovo e questa volta la allontano con delicatezza.

«Io vorrei provare ad essere contenta di poterti aiutare, farti da spalla. La verità, però, è che sto passando anche io un periodo tremendo, anche se non lo do a vedere.»

«Qualcosa sono riuscita ad intravederla. Io non riesco ad aiutarti, però ti giuro che vorrei tanto farlo. Tra tutto quel che faccio e passo non ho neanche il tempo per pensare.»

«Lo so, ma non mi aspetto compassione da nessuno, è un spazio mio, e risolverò. Devo chiederti una cosa, però. È palese che quella cosa che hai detto giu era riferita a me, e sicuramente intendevi di esserti tagliata a causa mia, ma mi è sorto un dubbio, ora: hai cominciato a fumare e drogarti?»

Okay, sembra stupido dirlo a lei, la persona più pulita che io conosca, però con queste malattie posso aspettarmi di tutto, ed io stessa ne sono la dimostrazione.

«Non proprio. L'ho fatto solo in momenti davvero tosti. È buona, ma troppo pesante. Lo rifarei per sballarmi, ma non ora. La cosa ottima è che fanno dimagrire la droga e le sigarette, ma solo per questo sono buone. Ora sono solo un po' spaventata per il ricovero, ma in psichiatria è una passeggiata. Posso tranquillamente non mangiare, fare sport, e camminare.»

La situazione è drastica, effettivamente. Non le chiederò quanto pesa, o qualsiasi altra cosa disfunzionale. Si nota che è molto magra, e anche dal volto si può notare la sua sofferenza, ma ora andrà in cura, quindi può migliorare. Okay, c'è anche da dire che è talmente grave la situazione che praticamente non riesce neanche a fare un discorso sensato, logico o lineare.

È ancorata alla perdita di peso, e si capisce che la voglia di guarire è pari a zero, ma non sarà come dice lei. Se i dottori dell'ospedale vedranno le sue ribellioni attraverso i comportamenti disfunzionali, le metteranno il sondino, potranno sedarla per farla fermare, e poi, una volta raggiunto un peso sulla soglia del sottopeso medio, la spediranno in una struttura specializzata. Tutto ciò non è una passeggiata come si può immaginare.

Nonostante il suo monologo, insieme alla sua confessione, non dico nulla. Non mi va di dire nulla. Mi sento presa in giro, perché mi sorprende che lei che era contraria al mio uso di droghe, ora segue il mio esempio. Non posso lamentarmi più di tanto, considerando che, nonostante la reazione eccessiva di Esteban con le mie droghe, ora sono di nuovo punto e a capo.

Dopo un altro piccolo momento, in cui lei mi abbraccia, scendiamo di sotto. Sono stanca, tutto questo parlare di ricoveri, droghe, e comportamenti malsani mi ha fatto venire voglia di fare qualcosa di questo. So per certo cosa esattamente vorrei fare, ma devo considerare che loro non sanno che la situazione è ancora in atto. L'ultima volta, Esteban ha venduto la mia droga ed è finita lì.

«Io torno a casa. Vorrei riposarmi un poco prima di studiare, considerando che nell'ultimo periodo mi sto svegliando sempre presto, ma neanche riesco a fare nulla.»

«Non farti problemi, tesoro. Qui, tra divani e letti sparsi per la casa, hai una vasta scelta. Basta che scegli una stanza e ti riposi.» Mi risponde Julien.

«No, grazie. Mi faccio una passeggiata verso casa, e poi non voglio creare nessun disturbo. Grazie, comunque. Possiamo vederci domani, o anche più tardi.»

Senza aspettare altre risposte indesiderate o compromettenti sulla mia volontà, vado verso la porta d'ingresso.

«Ci sentiamo più tardi.» Esco chiudendo la porta, ma questa si riapre subito dopo. Da essa esce Esteban che mi segue.

«Jen, tutto okay? Sembri strana.»
«Beh, sicuramente un po' lo sono. Non mi piace rivivere in proprio e improprio il mio passato. Ogni cosa mi riporta tutto in mente, e non riesco a capire cosa non vada bene in me, con i miei pensieri attuali e le mie azioni. Ho bisogno di staccare un po'.» Cerco di essere sincera con lui. Non mi serve mentire. Non gli dirò cosa sto intendendo esattamente, ma non gli mentirò. Uno dei miei motti è: chi vuole intendere intenda.

«Posso almeno accompagnarti a casa? Si sta facendo buio, e vorrei fare due passi con te.»

«Grazie, ES, ma no. Ho bisogno di pensare, riflettere, quindi credo che sia meglio che vada da sola. Comunque sia grazie.» Mi avvio, quindi finalmente mi allontano da quella casa. So che la compagnia è sempre più sicura, ma non è buio pesto ora, ed io sono molto maldestra, quindi qualsiasi cosa, so come difendermi.

Lungo il tragitto, però, la mia mente mi porta a credere di essere pedinata. Mi volto varie volte ma io non vedo nessuno. Sarà solo una mia paranoia nata dalla paura degli altri.

Dopo altri cinque minuti, in cui la sensazione continua, il mio cellulare comincia a squillare nella mia mano. Accetto la chiamata.

«Sola soletta, eh?»

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SPAZIO AUTRICE
Jenna non è più libera a quanto pare, ma chi è questo bastardo?

Amore tossicoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora