32. Accusa

34 5 2
                                    

Uno dei miei più grandi desideri in questo momento? Sparire, non solo per un'ora o un giorno, ma per sempre. Non sono una vedova nera, non ero sposata, ma adesso è quasi come se lo fossi.

Ho i miei soliti vestiti neri, tanto per cambiare, aggiungendo dei guanti lunghi neri, scarpe da ginnastica nere e, per darmi la possibilità di nascondere il più possibile la mia faccia, ho messo un grosso cappello nero, come quello delle signore di cinquant'anni.

Non riesco a sopportare tutta questa empatia presente attorno a me nel camposanto, figuriamoci se potessi sopportare di essere vista in questo orribile stato. Esteban è stato solo un eccezione.

Due giorni fa, in ospedale, non sono riuscita a reagire in nessun altro modo. Non ho smesso di piangere e urlare per neanche un secondo, neanche quando i dottori volevano parlarmi. Cosa avrebbero voluto dirmi, se mia madre ormai era morta?

Ho avuto alcuni attacchi di panico, sempre in ospedale, dove i dottori mi hanno iniettato chissà quale strano medicinale per farmi calmare e addormentare, quindi ora, anche a causa di queste cose, adesso sono così, distrutta dentro ma apatica fuori.

Il funerale, poi, è uno dei momenti più silenziosi e imbarazzanti della vita. Per quanto mi piacciano i cimiteri, questo sicuramente non fa per me, soprattutto se mi riguarda.

Durante le preghiere varie, più volte tento di scappare, ma ai miei fianchi ci sono Esteban e Erika che mi mantengono. Se fosse possibile, direi che sono distrutti quanto me.

Dopo la seppellizione, finalmente riesco a cavarmela abbastanza con le varie condoglianze, e finalmente ho il permesso di andare via, seguita dai miei due unici amici.

«Jenna, aspetta.» Mi sento chiamare, e l'ultima persona che vorrei ascoltare in questo momento mi fa ribollire il sangue nel cervello. Non ha fatto niente lui, ma non è il tipo ideale da ascoltare, considerando il suo carattere arrapato.

«Hey, piccola, dai.» Riprova ancora, mentre mi raggiunge e a questo punto mi giro di scatto, con la rabbia che ormai prende il sopravvento.

«Piccola? Ma sul serio? Sei tu allora? Bastardo di merda, hai ucciso mia madre.» Urlo come una iena, cominciando a picchiarlo senza neanche pensare alle mie azioni. Piccola... ora capisco tutto.

«Ma che stai dicendo? Sei impazzita? Capisco che ho un carattere che lo consideri di merda, che sono un provocatore e determinato, e capisco anche il tuo sconforto per quello che è successo, ma non sarei mai in grado di uccidere una persona, soprattutto se si tratta di qualcuno legato alla persona che mi interessa.» Si difende.

«Io non ti interesso. Il tuo è solo un accanimento malsano, ed è questo che mi fa capire che sei stato proprio tu ad orchestrare tutto. E poi, cosa ancora più chiara, tra una miriade di nomignoli orribili hai usato proprio "piccola", quello che solo mio padre usava, e un'altra persona che ho capito che sei tu. Sei un assassino.» Continuo ad urlare, senza neanche preoccuparmi degli altri presenti.

«Andiamo Jen, stai delirando. Ne parliamo appena riuscirai a calmarti e denunceremo chi è il responsabile di questo. Si sistemerà tutto.» Esteban mi tira via, portandomi alla sua macchina.

«Vaffanculo, mi hanno tolto tutto. Lui mi ha tolto tutto, ed ha anche il coraggio di venire vicino a me. Adesso tocca a me far fuori lui.» Minaccio, tra me e me, ma so perfettamente che posso essere crudele quanto voglio, ma non avrò mai il coraggio di uccidere qualcuno.

«Sh, non è vero. Tu non sei così, e soprattutto non sei sola. Ci sono io con te, e se ti consola di più, anche Erika è qui e non va via. La verità verrà a galla, e noi resteremo con te. Non sarà sempre tutto un inferno.»

Durante il tragitto verso la casa di Esteban mi addormento. Sono esausta. Tutte queste lacrime e la rabbia riversata mi hanno distrutta maggiormente, e credo di aver proprio bisogno di uno sfogo che mi faccia stare meglio. Parlare e sfogarmi con qualcuno non fa per me.

Mi risveglio nel letto di Erika e la prima cosa che il mio corpo mi induce a fare è andare nel bagno. Non devo fare pipì, però.

Mi metto a rovistare in tutti i cassetti, in ogni angolo, anche quello più nascosto, ed ecco che quello che cerco entra a contatto con il mio palmo.

Faccio il primo, e subito dopo il secondo taglio profondo sul braccio, e finalmente il dolore vero comincia a liberarmi da quello interno. Continuo con altri tre lunghi segni sulla coscia, ma mi rendo conto che non è abbastanza gratificante, quindi passo all'altro step: iniezione.

Dovrei sicuramente avere una siringa di eroina nella borsa, devo solo trovarla.
Dopo una ricerca base tra appendi-abiti, letto e scrivania, la trovo sulla sedia, quindi la prendo e rovisto all'interno. Il sangue dai tagli non smette di uscire, ma non mi importa. Sono l'unica rimasta della famiglia, quindi tanto vale morire.

Dopo aver fatto quello che era la mia intenzione, nel mentre aspetto che faccia il suo effetto, tampono le varie ferite e indosso i panni, per poi scendo di sotto per trovare Erika ed Esteban. Non mi importa se mi vedranno in questo stato. Non posso nascondermi.

Cavolo, Jenna. Tu sei molto più forte di così, non puoi lasciarti prendere dallo sconforto e dalla solitudine. Non pensi a quello che avrebbero voluto tuo padre e tua madre per te? Dopo tutti i sacrifici che hanno fatto, non puoi buttare tutto al vento in questo modo. La mia coscienza è la prima a farsi sentire, ma la evito. Non mi interessa cosa vuole la mia unica parte sana.

Arrivo all'entrata della cucina, ma non voglio disturbare Erika ed Esteban. Stanno parlando animatamente, e visto quello che sto passando, non lo farebbero davanti a me, quindi non posso interromperli.

Non avendo voglia, però, di tornare di sopra e mettermi a letto, sentendomi completamente priva di forze, mi siedo a terra e mi metto ad origliare la conversazione.

«Il dottore stava cercando di parlare con lei, visto che era la figlia. Voleva spiegarle cosa è successo esattamente, ma lei era completamente fuori di se, perciò non ci è riuscito. Stava andando via ma l'ho costretto a parlare con me, perché lei merita di sapere, ma ora ho un po' paura a dirglielo. Non credo che sia il momento giusto.»

«Dillo a me, allora, così posso consigliarti cosa è meglio fare.» Erika si propone.
«Okay, spero di ricordare bene, perché stavo abbastanza scioccato anche io. In parole povere, un uomo, che dovrebbe essere il cognato, era andato a farle visita, e poi non sanno se era andato via ma, quando sono tornati nella stanza per vedere la situazione, hanno trovato la spina che la teneva in vita staccata.»

-------

SPAZIO AUTRICE

Non so perché ad alcuni di voi non è arrivata la notifica dell'aggiornamento, quindi sto riprovando a rimetterlo. Fatemi sapere cosa ne pensate attraverso i commenti <3

Amore tossicoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora