60. Influenza

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Erika sta aspettando di essere accolta in reparto, superando prima tutta una serie di controlli; Julien mi sta mandando un book fotografico dal cellulare di Erika, con foto contenenti l'ansia e una piccola parte di gioia da parte di Erika; Esteban è di fronte a me, ad attendere una mia reazione al suo pranzo in ritardo preparato con tanto amore. No, credo tanta determinazione per farlo uscire bene.

Ed io? Beh, volevo tanto mangiare una buona carbonara con mano italiana, che ora la sto fissando da cinque minuti buoni. Sto giocando con i tonnarelli spostandoli da n lato all'altro, e la stessa cosa la sto facendo con il guanciale. Non riesco a raggirare una forchettata e metterla in bocca. Non so, sto avendo paura di mangiarla, oppure è troppo bella per rovinarla?

Forse il ricovero di Erika alle porte mi ha scombussolata, e mi sta riportando a galla alcuni dei comportamenti disfunzionali tipici e caratterizzanti dell'anoressia. Solo che finora stavo manifestando solamente le abbuffate compensate con il vomito. Ora questo da dove esce fuori?

Sotto lo sguardo confuso e leggermente deluso di Esteban di fronte a me, prendo un grosso respiro pieno di finto coraggio, e butto giù la prima forchettata di spaghetti con due pezzetti di guanciale e la cremina tipica della carbonara, quella con il rosso d'uovo e il pecorino.

La mia bocca è inondata da un miscuglio di sapori stellari, e credo che persino i miei occhi si trasformano in stelle.

«Ci è voluto un anno per vedere la tua reazione...» Esteban scherza, prendendo in giro il fatto che ho impiegato molto tempo per cominciare a mangiare la pasta. «Ma la tua reazione è da stampare. Te lo avevo detto che la mia carbonara romana è mitica.»

Gli sorrido, e cercando di scacciare i tanti pensieri dalla mia testa, continuo a mangiare, ma verso la fine, con tre pezzetti di guanciale rimasti, e qualche spaghetto sfuggito alla forchetta, il mio stomaco comincia a segnalarmi sintomi di ribellione. Sono tentata di correre verso il lavandino per rigettare vita, anima e cuore, ma mi ricordo di avere gesso e busto sul corpo, quindi non ho neanche l'opportunità di spostarmi da sola.

E ora cosa faccio? Che figura ci sto facendo con il mio amico, sentendomi così? Il suo pranzo è stato la vita, non posso fargli pensare che è stato proprio questo a causarmi questa reazione.

«Minchia, Jen. Se ero così bravo a cucinare, bastava dirmelo.» Lo sento ridacchiare e parlare in modo scherzoso, e la sua sedia cigola, mentre i suoi passi si avvicinano velocemente. «Riesci a resistere? Ti porto in bagno.» Mi fa alzare i piedi ed insieme camminiamo verso il bagno del piano terra.

«ES, non so se ce la faccio.» Biascico, camminando più lentamente, a causa del forte dolore alla gamba destra, e per i conati di vomito persistenti che cerco di mantenere e, in casi più estremi, li ingoio di nuovo.

«Cerca di resistere, Jen. Siamo arrivati.» Come ha detto, apre la porta del bagno e, a causa del mio "non posso calarmi", mi fermo davanti al lavandino ed è lì che vomito. Cavolo, ma che ho mangiato, che mi ha fatto così male?

«Ma da quanti giorni avevi quelle uova in frigo?» Chiedo ad Esteban, appena riesco a riprendermi leggermente la mia sanità.

«Hey, così mi offendi, però» Ridacchia, ma si ricompone abbastanza in fretta. «Comunque da poche ore. Stamattina sono andato a prenderle da un contadino fidato di queste zone, quindi sono più che fresche.»

Intanto il mio corpo mi costringe a piegare di nuovo la testa verso il lavandino, e a rigurgitare di nuovo.

«Chiamo l'ospedale? C'è qualcosa che non sta andando bene in te, ed è meglio indagare.» Mi informa, ma io lo fermo.

«No, ES. Non serve. Io non torno in ospedale, e credo che sia solo un po' d'influenza dovuta al cambio d'aria improvviso. Sono stata per una settimana in ospedale senza uscire, quindi sicuramente, uscendo, sono stata colpita. Va tutto bene, passerà.» Cerco di rassicurarlo, cercando di convincere anche me. Quello che mi crea dubbi su questa stupida teoria è il forte male alla gamba, ma forse è l'unica cosa che è dipesa dall'operazione.

«Allora, almeno vieni con me. Ti faccio distendere sul mio letto. Non ti conviene salire le scale per andare nella camera di Erika, considerando la fragilità momentanea delle tue ossa, il gesso che hai e il busto.»

Gli faccio capire che deve aspettare un po', visto che i miei conati non sono ancora terminati. La fronte sta martellando nella mia testa, gli occhi vedono nero e la gamba sta cedendo, ma ho bisogno di qualche altro minuto. Sinceramente, non me la sento neanche di andare nella camera di Esteban. Non posso sapere che intenzioni ha davvero. Al momento preferirei starmene sul divano, che è sicuramente più sicuro.

Certo, devo ammettere che comunque finora, Esteban, non mi ha mai dimostrato di essere un pazzo pervertito, ne a gesti e ne a parole, quindi potrei anche starmene tranquilla, ma preferisco non rischiare. Chissà, va a finire che alla fine si dimostra come Jonah, e questa volta io sono completamente indifesa.

Appena comincio a sentirmi leggermente meglio con il mio corpo, in termini di vomito e debolezza, propongo ad Esteban la mia intenzione di mettermi sul divano in salone, e la cosa che mi colpisce maggiormente è che lui non fa storie. Accetta la mia richiesta e mi accompagna in soggiorno.

Mi aiuta a sedermi, sedendosi accanto a me. «Come ti senti?»

«Stranamente sono dispiaciuta. Non avrei voluto reagire così alla tua carbonara, ma posso assicurarti che non credo che sia stato scatenato dal tuo pranzo. Mi sentivo su di giri già da un po'. Mi sento molto strana, e non so neanche se posso essere sicura che si tratta di influenza. Forse, se si tratta proprio di questo, il covid ha contribuito a renderla più potente.» Dichiaro. Sì, per una volta ho paura che il mio amico possa pensare che sono una stronza senza cuore, che ripudia anche gli sforzi impiegati nel fare qualcosa.

«Jen, non ti devi preoccupare per me. Sono io che lo sto facendo per te. Dai, prova ad addormentarti. Forse hai bisogno di recuperare un po' di sonno perso.» Mi permette di appoggiare la mia testa sulla sua spalla destra, e quidni chiudo gli occhi, con il cuore che batte a mille, forse a causa dell'influenza.
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SPAZIO AUTRICE
So che dovrei dare particolare attenzione a questa storia, e lo sto facendo dal file word, ma contrariamente alle mie aspettative, ho avuto ispirazione per un'altra storia, quindi la trovate sul mio profilo. La storia si chiama Royal Hearts e per me è una sfida. Trovate gia ol primo capitolo online😍❤️

Amore tossicoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora