45. Capire

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Dopo il ritorno con un messaggio ignoto, riferito ai segreti che per lui si nascondono nella mia città d'origine, ecco che lo sconosciuto torna anche con le chiamate con messaggi in codice che non esistono neanche. Io sono sempre più basita per le capacità inventive di quest'uomo.

«Non ho neanche voglia di risponderti. Sinceramente sono cose che non ti riguardano, e anche se ti interessano, dovresti tenere i tuoi pensieri per te, oppure farti passare l'interesse. Io vivo la mia vita come voglio, o come la stessa vita mi induce a vivere, e tu non sei nessuno per comandarmi.»

«Io credo che per te sia molto di più di quel che pensi. Se tu non mi lascerai spiegare tutta la storia, non so come fartelo capire.»
«Anche se me lo dicessi, lo vuoi capire che io neanche ti crederei? Finora hai sparato solo cavolate, ed anche se per te tutto ciò per te fosse vero, hai la tua parola contro la mia. Non credo che i miei genitori mi abbiamo mentito da sempre, senza mai dirmi qualcosa, oppure fare un passo falso.»

«Tu credi a quello che vuoi per ora. Intanto io ho i modi per farti avere le prove della verità, ma in questo dovresti essere tu a fare la mossa. Io posso solo dirti cosa fare.» Risponde lui. Non so perché, ma io riesco solo ad immaginarlo con un'aria beffarda, vendicativa. Non potrei mai fidarmi di uno sconosciuto.

«Si, resta convinto di te. Io intanto mi vivo la mia vita come ho sempre fatto. Tu non ci sarai, però.» Stacco la chiamata prima che lui potesse obiettare ancora, e mi accendo una canna. Dio mio, ho bisogno di uno sballo. Due sono le cose: o muoio di colpo, o mi uccido io lentamente.

Non ce la faccio più: tra il disturbo alimentare che sta affiorando di nuovo, la mia costante voglia di rintanarmi in casa e non uscirne più, non divertirmi come ogni normale ragazza universitaria, la morte di mia madre, l'assenza dei miei genitori, entrambi morti, il forte bisogno di droghe, alcool e canne, l'assillo ossessivo di Jonah, le grosse cazzate dello sconosciuto, spacciate come storia della mia vita vera.

Sta diventando tutto troppo per me, è sopportare pesi del genere a soli vent'anni è decisamente eccessivo. Mi sa che Esteban aveva ragione. Devono seriamente spedirmi in manicomio, ma la realtà dice che io non voglio. Non voglio andare ne in un istituto psichiatrico, ne in una struttura per i disturbi alimentari, ne in ospedale. Il manicomio ce l'ho già nella mia testa, non ho bisogno di altro.

Appena mi riprendo un po', indosso gli occhiali da sole, e rientro in università. Vado al mio armadietto e prendo il laptop. Dovrei andare alla lezione di pedagogia, ma non ne ho ne voglia, ne forza. Sono esausta. Vorrei solo tornare a casa.

Nonostante la mia svogliatezza, mi alzo da terra, dove pochi secondi fa mi sono seduta, e mi dirigo a lezione. Intanto, il mio telefono squilla di nuovo, e vedendo che si tratta di un numero sconosciuto, non rispondo. Ho detto che non voglio più parlarci, e speravo che gli fosse chiara la cosa.

Dopo aver rischiato di cascare dalla sedia, essermi quasi addormentata, e aver preso si e no tre parole di appunti, finalmente lascio l'università. Si stanno avvicinando le vacanze natalizie, e dovrei esserne contenta, ma con l'università, più si avvicinano quei giorni, più sta diventando un trauma. Gli esami si fanno sempre più vicini, e i professori hanno deciso di spiegare ogni giorno sempre di più. Se non farò una vampa prima di Natale, sarà da ritenersi un miracolo.

«Jen, ferma.» Sento Esteban dietro di me, quindi faccio ciò che mi chiede. Lui, per fortuna, non fa parte delle cose che mi stanno facendo impazzire. Okay, sarò più chiara: ci sono stati vari avvenimenti che mi hanno fatto odiarlo, e uno di questi è il fatto che ha venduto la mia droga ad uno spacciatore a caso per togliermela, ma alla fine me la sono comprata di nuovo, quindi è tutto okay. Io non posso vivere senza di essa, quindi ho di nuovo vinto io.

Lui, dal canto suo, non credo che ora sappia qualcosa su quello che sto combinando. In fin dei conti, sono comunque affari miei, quindi amen.

«Erika è uscita dalla struttura. Ha fatto i suoi controlli, e ha detto di volerci vedere a casa mia. Sembrava tranquilla, quindi presumo che voglia parlarci. L'unica cosa che so, però, è che vuole parlarci e vuole che stiamo un po' con lei.»

Okay, neanche Erika è tra le persone che hanno scatenato il mio periodo di merda attuale, anche se quando la vedo e sento cosa le succede, mi saltano sempre in mente i momenti bui di quando ero ricoverata in ospedale è struttura, e in parte anche quello che passavo in casa.

Sicuramente ci sarà anche sua madre, che non ho la minima voglia di vedere, visto quello che è successo l'ultima volta che ci siamo viste, a casa. Quel dibattito mi è letteralmente rimasto impresso, ed è impossibile rimuoverlo dalla mia mente. Certo, non credo affatto alla storia di avere un fratello, tanto meno che sia proprio la persona che odio di più, ma è comunque una cosa scioccante da sentire da una persona esterna. Mi lascia comunque pensare.

«Va bene, allora andiamo. Io sono curiosa di sapere cosa le hanno detto.» Dico, così, con la macchina di Esteban, andiamo verso casa sua. Sarò sincera, se diranno che sta migliorando, sarà meglio anche per me. L'ho detto, sono una persona di merda, e in questo momento sto pensando maggiormente a me, ma credo che, se vedessi lei migliorare e stare meglio, forse spronerebbe anche me. Poi, ovviamente, sarò anche felice per lei, per quanto mi sia possibile. Stare bene vuol dire anche essere libera, serena.

Arrivati a casa, scendo dalla macchina, e la prima persona che vedo è proprio Julien, che appena ci vede viene verso di noi. La sua espressione non è interamente contenta. Forse non è contenta di vederci. Probabile che sia così, e non la biasimo, considerando come l'ho troncata l'ultima volta.

La salutiamo cortesemente, ed entriamo. Erika sta sul divano, distesa. Sembra contenta. Dai, le speranze sono buone.

«Jenna, avevo bisogno proprio di te.» Erika mi abbraccia, particolarmente forte per i miei gusti, ma la lascio fare. So che in questi momenti si ha bisogno di qualcuno al proprio fianco.

«Hey, e di me no? Ti ricordo che hai chiamato me, e ora che fai? Mi rimpiazzi così.»
«Tu zitto, lei almeno sa quello che sto passando.»

«Dai, non importa. Cosa ti hanno detto?» Lw chiedo, mentre lei si stacca da me.

La sua espressione ora si fa seria. «Lunedì prossimo verrò ricoverata in psichiatria.»

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SPAZIO AUTRICE
Ed anche se oggi è il primo maggio, io mantengo l'aggiornamento fisso, quindi ecco a voi il capitolo 45❤️
Cosa ne pensate di questo trio? Il personaggio che vi sta più simpatico?

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