35. Pensaci

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Le ricadute esistono. Non si sa mai quando, come e perché, ma sono reali, e a distanza di alcuni anni, ho appena avuto la conferma vivendo questa cosa sulla mia pelle.

È un quarto d'ora che sono in bagno, con la porta chiusa a chiave, il l'acqua del lavandino che scorre senza sosta, ed io che sono china in ginocchio davanti al water. Alterno il vomito con qualche secondo di pausa, ma lo schifo nel mio corpo non sparisce. Continuo a rigettare, e rigettare ancora, finché non comincio ad avvertire un bruciore assurdo alla gola e comincio a notare delle tracce di sangue in quel che caccio fuori.

Esausta, con le lacrime agli che sono uscite senza neanche che me ne accorgessi, mi siedo a terra. Non piango, non emetto alcun rumore. Sono solo delusa, e stanca. La delusione è talmente alta che la posso quasi sentire nella stanza in concomitanza dell'acqua che scorre, e il bussare della porta.

Cazzo, la porta. Qualcuno si è accorto della mia sosta prolungata in bagno.

Mi alzo, scarico, mi sciacquo il viso e lavo i denti, spruzzo un sacco di deodorante nella stanza e apro la porta, mostrandomi tranquilla.

«Jen, tutto okay? Mi stavo preoccupando, pensavo di averti persa nel water.» Esteban, ultimamente, mi sta stupendo. Okay, si, sapevo che era molto comprensivo e altruista, ma negli ultimi giorni sta superando anche se stesso.

«Si, sto abbastanza bene. Tutto quel cibo mi ha fatto male.» Dico una mezza verità, facendogli intuire che mi sia venuta la diarrea. Non ammetterò mai quello che ho fatto. Non sarà una ricaduta.

Me ne vado prima di ricevere altre domande imbarazzanti o che potrebbero mettermi in una brutta posizione. Ora devo quasi tornare a casa. Non posso continuare a stare qui come se fosse diventata la mia nuova casa. Sono già in due, non servo anche io per creare disturbo.

Vado nella camera di Erika, che la trovo sul letto mentre dorme, e comincio a prendere la mia roba. Per quanto riguarda ciò che ha fatto Esteban, con la droga e le lamette, non sono poi tanto arrabbiata. Insomma, si perché si è permesso di prendere decisioni per una persona che è comunque in grado di intendere e di volere, e mi ha tolto una cosa che l'ho anche pagata tanto, ma il fatto che l'abbia solo venduta, dandomi i soldi guadagnati, ha migliorato la situazione. Se voglio, posso tranquillamente comprarne altra.

Senza salutare Erika, per non svegliarla da una volta che la vedo serena, scendo di sotto con la mia roba addosso, e raggiungo Esteban sul divano del salone, intento a giocare a Candy Crush.

«ES, dove hai messo la mia borsa?» Gli chiedo, attirando la sua attenzione.

Alza lo sguardo dal cellulare, e mi guarda confuso. «Te ne vuoi già andare?»
«Si, devo dormire un po', e poi domani devo vedere di studiare qualcosa, altrimenti rientro all'università senza nemmeno sapere dove sono.»
«Potevi restare tranquillamente qui, così studiavi con mia cugina, ma rispetto ciò che vuoi. Credo che sia anche giusto lasciarti un po' da sola, che credo che sia anche quello che vuoi. Almeno lascia che ti accompagni. È buio e non mi va di lasciarti andare a piedi, perché fa freddo.» Si alza per prendere le chiavi della sua macchina e di casa.

«Se vuoi accompagnarmi, te lo lascio fare, ma ho bisogno di camminare un po'. Magari può aiutarmi a pensare, schiarire la mente dai brutti pensieri, e respirare un po' di aria pulita.»
«Allora aspetta un attimo qui.» Va di corsa al piano di sopra, per poi scendere pochi minuti dopo con alcuni indumenti invernali, e il suo giubbotto pesante.

Senza neanche farmi vedere cosa ha esattamente in mano, indossa il suo giubbotto, si avvicina a me, e mi copre con un cappello e una sciarpa di lana. «Bisogna coprirsi bene. Non voglio ritrovarti con la febbre, domani.»

Ammicco un piccolo sorriso, chiudendo il mio giubbotto, ed usciamo di casa, incamminandoci verso il mio quartiere.

Parliamo dei corsi, delle varie lezioni e gli argomenti, gli esami che a breve cominciano ad essere disponibili, la mia gatta, gli animali domestici che ho avuto... parliamo di tante cose, purché non si citi madre, famiglia, e traumi. Ne ho abbastanza di pensare a cose negative.

Arrivata davanti casa, mi volto verso di lui per ringraziarlo e lui mi abbraccia, stringendomi in una presa calda e forte. Non riesco a liberarmi, perché è decisamente troppo forte.

Eh, e anche perché non vuoi... stupida coscienza.

«Per favore, cerca di essere più razionale con te stessa, aumenta il bene che ti vuoi, perché questo può diminuire il tuo istinto di distruggerti.»
«Beh, questo è un consiglio perfetto che puoi dare ad Erika.» Gli rispondo di rimando. Non è una cosa che riguarda me.

«Si, ma a quanto pare devo darlo anche a te. Mi è bastato vederti in questi giorni per capire quanto tu sia distrutta dall'interno, quanto odi la tua vita, quello che ti sta accadendo, e soprattutto te stessa. Tu vali molto di più dello schifo che vivi, del tuo odio, ed io non voglio vederti di nuovo rischiare la vita a causa della droga, dei tagli, e chissà cos'altro. Io ti voglio bene, Erika te ne vuole, la tua famiglia te ne vuole ugualmente dall'alto, e per te noi tutti vogliamo il meglio. Se non vuoi farlo per te stessa, fallo per noi, o ancora meglio fallo per la tua famiglia che non c'è più. Vivi per loro.» Le sue parole, seppur siano simili a quelle che ho già sentito da Erika, hanno molto di più, e mi colpiscono nel profondo di me, tanto da inumidirmi anche gli occhi.

«Non sono una persona che promette qualcosa, perché non so mai come può andare la mia vita e cosa mi dice il mio istinto.» Alzo le mani in aria, senza sapere cos'altro dire.

«Mi basta sapere che ci penserai, o ancora meglio, che ci proverai.

«Posso pensarci.» Ridacchio ed entro casa, salutando di nuovo Esteban.

La prima cosa che faccio è vedere la mia gattina, Mal. Chissà se ha ancora un po' di cibo nella sua ciotolina. Qualche giorno fa gliene ho messo un po' troppo, quindi ne ha avuto a disposizione per questi giorni in cui non ci sono stata.

Dopo avergliene messo un altro po', e averle fatto qualche coccola, raggruppo l'immondizia e la porto fuori casa, lasciando la porta aperta. Rientro e chiudo, togliendo finalmente le cose che ho addosso. Cavolo, ho dimenticato di restituire il cappello e la sciarpa ad Esteban.

Li piego e mentre li metto sul piccolo armadio all'entrata, sobbalzo, spaventata.

«Il tuo culo è proprio sodo.»

Amore tossicoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora