58. Lucida?

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Dopo numerosi controlli, rischi di essere accecata dalle luci ultraviolette, urli soffocati per le cuciture, e tante domande dei dottori, finalmente, alle dieci inoltrate di sera, i dottori escono dalla sala operatoria per valutare il da farsi, quindi io resto sola nella stanza, sdraiata e quasi nuda. Se la grazia è con me, queste saranno le ultime ore che passerò in questo edificio senza muovermi.

Intanto, nel mentre sono sola, do un'occhiata a tutti i macchinari presenti accanto a me. Menomale che non ho scelto di fare la dottoressa, la chirurga, o qualcosa di simile a questo, perché tutti questi aggeggi mi fanno venire il mal di testa solo a starci vicino. Se poi avessi dovuto squartare un corpo per vedere l'interno, sarebbe stato molto peggio. Per quando io sia una persona tosta, non sopporto di vedere i corpi aperti o smembrati. Mi fa troppo senso.

«Bene, piccola. La situazione è ottima, possiamo andare.» Il dottore, con un lungo camice verde trasparente, una cuffia e una mascherina, mi trasporta mediante la barella fuori dalla sala operatoria, e mi porta in camera. Aspetta, ma... no, nulla. Non mi sembra di aver visto questo dottore, prima, ma forse è colpa mia che non sono completamente lucida. La felicità di uscire dall'ospedale mi porta solo a pensare alla mia vita esterna. Per quanto io detesti la socialità, questo posto è proprio una deprimenza, quindi qualsiasi posto sarà meglio di questo.

«Dunque, Jenny...» Sono subito tentata di ribattere sul modo in cui mi ha chiamata, perché il mio nome è Jenna, ma lui continua il suo discorso senza preoccupazioni. «I tuoi amichetti sono stati mandati a casa, visto che è tardi. Ora di consiglio di addormentarti, così che domani sarai bella carica per uscire. L'orario delle dimissioni verrà dato domani mattina a te e al tuo gruppetto. Ora ti ho preparato il tuo sciroppo per calmare i dolori dell'operazione appena fatta. Tieni, bevi.»

Mi porge il bicchiere che era sul comodino accanto al mio letto, e butto lo sciroppo dentro il mio corpo in un sorso. Detesto il sapore dei medicinali, quindi una cosa diretta e immediata è quasi inesistente.

«Bene, buonanotte cara, a domani.» I miei occhi si chiudono ancora prima di ricambiare la buonanotte, senza neanche accorgermene.

———
I miei occhi cominciano a vedere una forte luce del giorno, quasi accecante. Cavolo, ma che ore sono? Do un'occhiata al mio cellulare, che segna le 11:25 pm. Cristo santo, come ho fatto a dormire così tanto? Ieri sera dovevo essere proprio distrutta a causa dell'operazione e tutte le cose che sono successe durante la giornata. Ero talmente distrutta che non ricordo ne come mi sono addormentata, ne se ho detto qualcosa prima di chiudere gli occhi. Ero talmente distrutta che ancora adesso i miei occhi sono pesanti e vogliono chiudersi di nuovo. Quest'ospedale mi sta proprio distruggendo, e non vedo l'ora di avere l'orario delle dimissioni. Sto facendo il coto alla rovescia.

Nell'esatto momento in cui la forte luce mi sta costringendo ad addormentarmi di nuovo, la porta della mia stanza si apre, e il dottor Kennedy entra con una cartella in mano, seguito da Esteban.

«Buongiorno, signorina Dempsey. Ieri sera dovevamo riportarti nella tua stanza, ma evidentemente qualche altro dottore del nostro staff ci ha preceduto. Hai preso il calmante?»

«Si, il dottore che mi ha portato qui me lo ha dato e sono crollata. Ho ancora sonno. Era una specie di sonnifero?» Chiedo, confusa. Questa cosa è troppo strana per me, io non sono una ragazza piena di sonno.

«Mh, è strano. Di solito questo calmante non porta ad avere un'eccessiva sonnolenza, ma può darsi che l'operazione ti abbia stancato molto, e quindi il medicinale ha fatto la sua parte.» Annuisco, poco convinta. Prima di addormentarmi improvvisamente, non avevo un eccessivo sonno.

«In ogni caso, come ti senti, tralasciando la stanchezza?»

«Beh, sto distesa, ma mi sento bene. Mi fa solo un po' male la gamba destra.»

«Sicuramente è dovuto alle manomissioni di ieri sera. Dunque, il resto tutto bene? Sintomi particolari?»

«No, non credo.»

«Perfetto, con testimonianza del tuo ragazzo, che è già conoscenza di questa cosa, da adesso, ti dichiaro dimessa. Dunque, abbiamo concordato le tue sedute di fisioterapia per tre volte a settimana, due ore al giorno, per garantire una più ottimale guarigione. Ora ti aiuto ad alzarti, ed aiutarti a prendere lentamente la tua roba, le consegno le stampelle, e poi sarà libera di andare.» Come di parola, lui ed Esteban mi aiutano a fare tutto, e finalmente, dopo un'ora piena, esco dall'ospedale sostenuta da Esteban. La gamba destra mi pulsa e fa male, ma come ha detto il dottore, è dovuto all'operazione di ieri, quindi è tutto normale.

Dio, l'aria pulita. L'aria che sa di vita. Finalmente la pace dei sensi. Esteban mi avvolge il braccio sinistro attorno alla mia schiena, dove ho il busto, ed io appoggio la testa sulla sua spalla. Beh, anche questa è una pace dei sensi. Lui è un vero amico, colui che mi è rimasto al fianco per tutto il tempo, senza allontanarsi mai, e in questo gliene sono proprio riconoscente.

Appena arriviamo alla sua macchina, mi aiuta a mettermi sul sedile anteriore, avendo cura di allontanare il sedile dal cruscotto, e abbassando lievemente lo schienale per permettermi di stare comoda. Ora ci tocca andare a casa sua, poiché Erika e sua madre sono lì, ad ultimare le valigie, e ci conviene stare con loro prima di salutarci e farla andare dove verrà ricoverata. Dal canto mio, sarei voluta tornare direttamente a casa mia. Ho un urgente bisogno di vedere la mia gatta Mal, che mi manca come mi manca camminare bene, e voglio buttarmi sul letto e dormire. I miei occhi implorano l'oscurità.

Dopo un tragitto passato ad ascoltare musica a basso volume, senza proferire neanche una parola, se non ringraziare Esteban, che mi ha tenuto la mano in una calda presa, arriviamo a casa sua ed entriamo. Erika e Julien ci attendono all'ingresso, dove stanno posizionando le due valigie di Erika.

Mi abbracciano delicatamente, e poi il mio corpo si trascina verso il divano del salone. Non ce la faccio a stare in piedi. Mi siedo lentamente, appoggiando la testa al morbido schienale, e chiudo gli occhi, venendo però disturbata da una cosa ruvida e umida che liscia la mia guancia destra. Ma che ca...

Apro gli occhi di scatto, cercando di non muovere di colpo anche il corpo, e sopra al mio volto mi trovo la mia gatta che tenta di leccarmi di nuovo.

«Oddio, Mal... che ci fai qui?» Lentamente la prendo in braccio, raddrizzandomi, e la bacio, con le labbra incurvate in un sorriso.

«Una piccola sorpresa ci voleva. L'abbiamo accudita qui durante la tua assenza, e a quanto pare le sei mancata molto.» Mi risponde Erika, sorridendo.

«Grazie, allora, per aver pensato a lei.»

Esteban si siede al mio fianco e mi lascia un bacio sulla guancia. Io lo guardo confusa. Questo non era previsto.

«Che bello rivederti a casa. Mi ha fatto male vederti su quel misero letto d'ospedale, indifesa. Ho pensato al peggio, ma per fortuna sei di nuovo qui.» Gli sorrido semplicemente.

Beh, non posso dire che ha torto, perché la ragione è tutta dalla sua parte. L'ospedale fa schifo e pensare al peggio è sempre la prima cosa che si fa.

Gli sorrido e accarezzo la mia gatta. La mia gamba destra sta penando l'inferno per il dolore, ma non importa. Sono finalmente libera.

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