24. Ghiaccio

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«Che cosa le è successo? Cosa ha fatto per ridursi in questo modo?» Sento una foce femminile molto debole.
«Credo di saperlo, ma forse è meglio se non te lo dico. Non posso rischiare di dirti una cosa che potrà condizionarti in quello che hai.» La voce maschile è altrettanto bassa, debole. Forse sono io che non riesco a sentire in modo chiaro.

«Guarda che non sono nata ieri. So cosa l'ha portata a cadere a terra in quel modo.»
«Allora, se lo sai, perché me lo chiedi?»

«Volevo metterti alla prova. È chiaro che non sei molto sorpreso da questa cosa che è successo, quindi presumo che tu lo sapevi già da tempo.»

«Non da tanto, a dir la verità. È uno spirito libero, un sacco testarda, perciò non ha neanche voluto ascoltarmi quando l'ho beccata. Ormai la conosci come è fatta.»

«Si, ha un carattere proprio di merda, purtroppo. Pensa solo a se stessa.» Quest'affermazione mi colpisce da dentro, anche se non so chi sta parlando, e non riesco neanche a smuovermi per capirlo. Mi sento completamente ghiacciata, e neanche i miei occhi vogliono pensare di aprirsi.
Okay, so di essere una persona orribile, ma sentirlo dire da chi forse non conosco neanche è una botta.

«Quello che non capisco, però... cosa la spinge a drogarsi così tanto? Non credo che lo faccia per puro divertimento.»

«No, sinceramente non credo neanche io. Conoscendo la tua situazione, dietro ogni gesto c'è una ragione profonda che ti spinge a farlo, quindi non credo che lei sia un'eccezione. Solo, cosa potrebbe essere tanto orribile in grado di abbattere una persona talmente tosta come lei?»

«Penso che, l'unico modo che abbiamo per farla smettere con tutta questa roba, dobbiamo starle accanto e farle superare i suoi demoni. Mi permetto di dirlo perché è la cosa che mi ha detto la mia psicologa su di me.»

«Su questo potrei anche essere d'accordo, ma come facciamo a starle accanto, se ogni due per tre ci insulta, ci minaccia, o ci colpisce con i nostri punti deboli?»

«So che sarà una vera sfida ma, come lei ha un po' imparato a stare con noi, credo che anche noi dovremmo iniziare a farlo, o meglio ricominciare. E poi ammettiamolo, so che il tuo motivo per cui non vuoi starle vicino non è soltanto il suo carattere.»

Rendendomi conto di riuscire a muovere le dita della mano destra, raggruppo tutta la forza che ho in corpo e sobbalzo dalla posizione sdraiata in cui mi trovavo. A fatica, apro gli occhi e mi guardo attorno. Cosa ci faccio in una vasca da bagno piena di ghiaccio? Come ci sono finita qui dentro, in mutande e canotta?

Mi alzo in piedi, trovando davanti a me Erika che sorregge un accappatoio davanti a lei. Senza fare domande, cerco di avvolgermi dentro di esso mentre esco dalla vasca, e nello stesso momento noto che c'è anche Esteban nel bagno, che solo adesso alza la testa verso di me.

Abbasso la testa, un po' a disagio per la situazione in cui mi trovo, e cerco di rilassarsi e prepararmi psicologicamente per le domande che ho da fare. Non ci sto capendo nulla, e come se non bastasse, ho un incredibile mal di testa che non mi lascia libera.

Non sapendo cosa fare, sentendomi completamente a disagio a stare qui impalata, ferma, comincio a camminare non sapendo neanche dove andare, ma il mio corpo non si regge in piedi, infatti riesco a non cadere a terra soltanto perché Erika, dietro di me, mi prende per la vita. Cerchiamo di camminare insieme ma non ci riesco.

«Aspetta, lascia fare a me.» Nel mentre Erika si allontana, senza neanche darmi il tempo di realizzare, mi ritrovo in braccio ad Esteban a mo' di sposa, e immediatamente tento di coprirmi il corpo seminudo. Conosco gli uomini e so per certo che sono tutti uguali.

Dopo un po' di spostamenti, mi poggia su un letto, e solo ora mi rendo conto di dove mi trovo. Questa è senza dubbio la camera di Erika, e la ricordo perché l'ultima volta che sono stata con lei, prima di quel che è successo a casa mia, ero proprio qui.

«Cosa è successo?» Chiedo. «Cosa ci faccio qui?»
«Non ricordi proprio nulla?»
«Jen, so che forse sono ripetitivo, ma devi seriamente smetterla con quella roba. Se vuoi, noi possiamo aiutarti, ma tu devi fare anche la tua parte. Quella roba ti uccide.» Mi rimprovera Esteban.

Ignoro quello che ha detto lui. «Ricordo di aver discusso, essermi drogata un po', discusso anche al telefono, preso di nuovo la cocaina, ma poi non ricordo niente più.»

«Grazie al cazzo che non ti ricordi. Eri talmente strafatta che sei svenuta in mezzo al cortile mentre ridevi come cinguetta un uccello.» L'insulto di Esteban mi fa abbassare la testa, un po' ferita, ma poi comprendo. Forse ha ragione a trattarmi cosi. Dopo le cose che gli ho detto io, è il minimo.

«Jenna, io so che ti da fastidio tutto ciò, ma te l'ho detto: se vuoi ricostruire la dinamica, e vincere contro questa cosa, devi collaborare. Le cose non si risolvono da sole.» Esteban parla di nuovo, forse dispiaciuto per quello che mi ha rinfacciato due secondi fa.

«E cosa dovrei dirti per collaborare? Ti ho hia detto cosa è successo, o meglio quello che ricordo.»

«Con chi hai discusso? Si tratta di Jonah?» Chiede lui, ed io cerco di ricordare. «Mi sembra di si, ma non era solo lui. Di questo sono certa.» Affermo, sicura.

«E ricordi chi è l'altra persona?» Continua Esteban, mentre immagino Erika che ascolta tutto prendendo appunti nella sua mente.

«La verità è che non lo so neanche io. Ultimamente mi chiama sul cellulare, dice che lo conosco bene, ma io non riesco a collegare.» Ammetto, affranta. Vorrei tanto capire chi è, ma come dovrei fare?

«Puoi darmi il cellulare?»
«Non so neanche dove lo avete messo. Vi ricordo che sono ancora con l'accappatoio addosso.» Ridacchio per quel che riesco a fare.

«Giusto, hai ragione. Devo andare a vedere all'appendi-abiti, allora.» Erika sfreccia fuori dalla sua stanza, andando al piano di sotto.

«Come ti senti adesso?» Esteban mi lascia sorpresa per la domanda che mi rivolge. Dopo avermi evitata e insultata, adesso sembra che si sta preoccupando per me.

«Beh, potrei dire bene, tanto sono abituata ad avere un forte mal di testa. Quello che mi turba, però, è che non ricordo niente della conversazione avuta al cellulare, il che è grave, perché per essere finita in quel modo subito dopo, vuol dire che non è una cosa bella.»

«Mi sorprende la tua capacità di ragionare anche dopo esserti strafatta e stare con i postumi.» Lo guardo scioccata, finendo poi per ridere. Gli ho detto tante cose serie e lui se ne esce con la mia capacità di ragionare... tutto normale, credo.

«Ecco qui. Qual è il codice?»
«3507.»
«È una data? O un numero a caso?» Indaga Esteban, mentre Erika digita la password.

«Una data, ma non chiedermi cosa rappresenta.» Decido di dire la verità, mettendo però in chiaro di non volere domande. È una data estremamente privata, e mi aiuta a non dimenticare mai quello che è successo quell'orribile giorno.

«Cazzo, ha chiamato varie volte con lo sconosciuto ed è impossibile smascherarlo. Ci servono più dettagli.» Impreca Erika.

«Io vi ho detto tutto. Ora posso vestirmi? Direi che sto congelando peggio di quando stavo nel ghiaccio.» Ridacchio, cercando di allentare la tensione.

«Si, giusto. Vedo se trovo dei panni adatti.» Erika rovista nei suoi armadi mentre Esteban si fa sentire. «Io esco, allora.»

Mi sorprende che non fa come tutti gli altri ragazzi, che ne approfittano per vedere una ragazza nuda. Non è che nascondere di essere gay?

«Okay, ho trovato tutto. Ora esco anche io, così puoi cambiarti in santa pace.» Esce anche lei senza aspettare una mia risposta, lasciando tutte le cose che ha trovato sul suo letto, ai miei piedi.

Nel mentre cerco di rivivere l'ultima conversazione avuta a telefono prima di svenire, tolgo l'accappatoio e l'intimo bagnato che ho addosso, e metto tutti gli indumenti asciutti e puliti.

Cavolo, mia madre potrebbe essere in pericolo.

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