77. Beverly Hills

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Se la chiamata mi ha destabilizzata per il commento inappropriato contro mia madre, il messaggio mi ha proprio uccisa nell'interno. Non potrò mai accettare di vivere in un mondo dove un sacco di persone innocenti fanno una brutta fine per colpa mia. Sono insensibile e menefreghista nei riguardi della gente, ma non fino al punto di desiderare la morte delle persone. La morte è una delle cose peggiori ch può capitare a qualcuno.

Mi sono vestita, ho fatto una piccola colazione, e sono uscita con Esteban a fare un giro per la città, in macchina. Siamo passati per Santa Monica, fino ad arrivare a Beverly Hills, ma nonostante i bei panoorami, e l'aria mite nonostante sia inverno, il pensiero dello sconosciuto non è affatto sparito dalla mia mente. É fisso e sempre in azione, in loop, come un disco rotto. Il messaggio, quello che c'è scritto, e le sue parole meschine, si stanno ripetendo all'infinito nel mio cervello, e credo che se non trovo un modo per staccare la mente al più presto da questa cosa, rischio sul serio di puntarmi una pistola contro.

«Vuoi qualcosa da mangiare?» Mi chiede Esteban, dopo qualche giro a Beverly Hills.
«Non lo so, ho un po' di fame, ma non mi va di mangiare.» Rispondo. Beh, a dir la verita sto morendo di fame, ma non ho il minimo pensiero di voler soddisfare il mio stomaco. Con tutti i pensieri che stanno frullando nella mia testa, non riesco neanche a trovare il coraggio e la voglia di mangiare. Vorrei solo dimenticarmi della mia stessa vita.

«Okay, vuol dire che dobbiamo fermarci a mangiare qualcosa. Ora parcheggio la macchina da qualche parte, e vedo dove posso portarti. Voglio stupirti, perchén voglio vedere il tuo bel sorriso sul tuo volto.» Con le sue semplici parole, non riesco a non sorridere un po'. Insomma, anche se sembra che mi sta quasi obbligando a dover mangiare, in realtà sta solo cercando di farmi pensare ad altro, cosa di cui ho realmente bisogno.

Appena parcheggia, mi fa scendere dalla macchina per poter chiudere gli sportelli, e poi mi raggiunge, chiudendo definitivamente la sua auto.
«Dammi la mano. Prima di andare a mangiare da qualche parte, devo farti vedere una cosa.»

Ci incamminiamo così, mano nella mano, e seppur la cosa mi mette un po' a disagio, perché non è una cosa da fare nel mio stile, lo lascio fare come lui vuole. Non so, ma anche una parte di me vuole restare in questo modo con lui.

Arriviamo davanti all'iconica scritta di Beverly Hills, ed Esteban mi incita ad entrare all'ingresso del giardino.

«Questo è uno dei posti più tranquilli della California, e di conseguenza uno dei più amati. Beverly Garden Park, semplice, silenzioso, e rilassante. Ti va se ci sediamo su una panchina? Parliamo un po', respiriamo l'aria pulita del posto, il profumo dei piccoli fiori, e ci rilassiamo? Dopo tutta la merda che stai passando, è il minimo che io possa fare per aiutarti. Vederti così cupa mi fa male, perché mi riporta alla mente l'inizio, quando non volevi neanche conoscermi.»

«Credo che ti ricorda quel periodo perché anche io sto ccominciando a pensare che cambiare, e ritornare ad avere amicizie o piccole felicità sia stato sbagliato. Il destino mi sta portando a ritornare ad essere apatica come prima.»

«Invece qui ti sbagli. Cambiare in meglio non è mai uno sbaglio, e tu meriti un po' di felicità. Non è il destino che ti sta portando a ritornare apatica come prima. Semplicemente, quello che può fare la differenza è il tuo modo di reagire alle determinate situazioni che ti capitano, perché sei tu che comandi te stessa e la tua vita, e non il destino. Il destino te lo crei tu.»

Rifletto sulle sue parole, e in effetti non ha il minimo torto. Dunque, sono io a guidarlo fino alla prima panchina che vedo, e ci accomodiamo lì. I gessi mi stanno dando molto fastidio, ma avendoli solo alla parte superiore delle gambe, per tenere bloccati i femori, non sono poi tanti rilevanti. Sono solo ingombranti, e fanno sembrare le mie cosce più grosse di quanto sono in realtà. Dunque, per permettere al mio relax di avere maggior successo, mi distendo sulla panchina, appoggiando la mia testa sulle gambe del mio amico. Ora si che si ragiona.

«Jen, tu non hai il minimo ricordo di quello che ti è successo pochi giorni prima e pochi giorni dopo della morte di tuo padre?» Apro di colpo gli occhi, che avevo socchiuso per favorire la calma.

«ES, siamo qui per rilassarci un po'. Non voglio parlare dei miei genitori, della mia infanzia dimenticata, e altre cose simili. Al momento vorrei sentire almeno una cosa stupida.»
«Beh, Erika mi ha detto che quando sei stata portata in ospedale per quel che ti è successo sul marciapiede, era andata a prendere la tua gattina in casa tua, e quando lei ha aperto la porta, la gatta stava all'ingresso della casa che guardava chi entrava, quasi come se ti stesse aspettando.»

Scoppio a ridere per il fatto accaduto con Mal. «Si, lei è un po' strana, ma sempre in cerca della sua padrona. Visto? Io sono adorabile.» Mi vanto come una bambina.
«Ne sei sicura sicura?»

Mi risiedo composta sulla panchina, alzandomi dalle gambe di Esteban. «Che vorresti dire? Che sono cattiva e malefica?» Faccio quasi la permalosa.
«Con la gatta sei adorabile, con me un po', ma con gli altri proprio no.»
«E certo, ovvio. Sono buona solo con chi mi dimostra di essere buono con me.»
«Quindi io non sono ancora abbastanza buono con te?»
«Devi impegnarti un po' di più.»

In risposta, lui si avvicina per baciare le mie labbra, e poco dopo mi guarda con il sorriso. «E così come sono messo?»
«Può andare un po' meglio, Turcan.» Lo bacio io, questa volta, e attendiamo qualche altro minuto prima di alzarci e lasciare il parco, così da andare a mangiare.

Arrivati in un McDonald's, entriamo, e prendiamo entrambi il Crispy McBacon, con la Coca Cola e il McFlurry, e ci sediamo al fondo della sala, così da prenderci anche un po' del calore del riscaldamento.

«Qui, anche se non era esattamente questo McDonald's, ci siamo parlati per la prima volta.» Mi dice con un sorriso raggiante. Ma come fa a ricordare ogni piccolo dettaglio?

«Beh, sarà anche stata la prima volta che mi hai parlato, ma sbaglio o ti ho mandato a quel paese?» Rido, intanto. Credo che sia scontato che io l'abbia fatto, perché lo faccio con tutti quelli che mi parlano e che non conosco.
«Una cosa del genere, sì, perché sei praticamente scappata mentre ti parlavo. Ma non mi interessa. Per me resta comunque il posto dove ci siamo parlati la prima volta, e basta vedere poi come siamo arrivati fino ad oggi. Mi piace, e mi sento fiero di me per averti dimostrato chi sono davvero e che non ho cattive intenzioni.» Spiega, quasi sognante. «Approposito, spero che non sia una domanda inappropriata e scomoda, ma come mai hai la guardi così alta nei confronti dei rapporti d'amicizia o amore?»

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