Capitolo 46. Il passato che ritorna

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Giulia non distolse lo sguardo da lui.
Gli occhi azzurri di Filippo erano vuoti, gelidi, come un mare d’inverno che non concede approdo.
Quel silenzio la soffocava più del brusio attorno: la caffetteria, calda e rumorosa, sembrava improvvisamente un luogo estraneo, senza aria.

"Non è il luogo giusto per parlarne," mormorò lui con voce ferma, autoritaria.

Ma lei non abbassò lo sguardo.
Dalla borsa estrasse una foto, posandola sul tavolo con un gesto deciso. La spinse verso di lui, a pochi centimetri dal suo volto.

Filippo la fissò.
Era lui, più giovane, con lo sguardo ancora ingenuo, accanto a Eugenio. Sorrisi spensierati, una vicinanza sincera che nessuna guerra di clan sembrava poter scalfire.
Gli parve di sentire ancora il respiro dell’amico, le sue risate.
E quel ricordo gli bruciò dentro come alcool su una ferita aperta.

"Era nascosta in un libro di Eugenio," disse Giulia, la voce incrinata.
"Non dirmi che eravate solo conoscenti. Voglio la verità."

Il giovane inspirò a fondo, le narici dilatate. Rimase immobile, il respiro lento ma irregolare.
"Tuo fratello e io... eravamo amici," disse, come se quelle parole gli costassero.
"Ma come ben sai, siamo da sempre appartenuti a due clan diversi... la nostra amicizia è finita prima che potessimo capire dove ci stesse portando."

La ragazza scosse la testa, le dita che stringevano la foto fino a piegarla.
"Sai che non basta. C’è dell’altro, e tu lo stai nascondendo. Non posso più vivere al buio, Filippo."

Lui chiuse gli occhi per un istante, un sospiro strozzato gli sfuggì dalle labbra. Quando li riaprì, il suo sguardo era diverso: duro, cinico, come una lama.
"Non costringermi a parlare, Giulia" tuonò, e per un attimo il suo volto tradì un lampo di dolore.
"Ci sono cose che non puoi cambiare. Eugenio non c'è più, e scavare nel suo passato non lo riporterà di certo indietro. Ma questa vita... questa vita è la nostra."

Il modo duro con cui lui aveva chiuso il discorso la colpì duramente.
Giulia si alzò di scatto.
Aveva deciso di andarsene, di lasciarlo a quel muro che lui stesso aveva costruito. Ma una risata, bassa e velenosa, la bloccò a metà.

Marini.

Si avvicinò alla coppia con un sigaro tra le dita, esalando un fumo denso e pungente. La sua presenza era un’ombra nera, una minaccia silenziosa.

"Signorina Fini, la vedo abbastanza tesa... Guerra non è un buon conversatore, eh?"
Il suo ghigno compiaciuto era un marchio di sfida.

Giulia si irrigidì.
"Non è affar tuo," replicò, ma il suo sguardo cercò istintivamente quello di Filippo. Lui, però, rimase immobile, il volto contratto da una tensione feroce.

Il biondo rise, velenoso.
"Se continui così, principe, finirai per perderla. O peggio: per fartela odiare."

Il giovane continuò ad ignorarlo, nonostante il suo sguardo ne tradisse la frustrazione. Giulia invece, ne aveva abbastanza.

"Fili... per favore dì qualcosa," lo pregò con voce tremante.

Il giovane scattò in piedi.
Le afferrò la mano con forza, il contatto che le fece correre un brivido lungo la schiena. Si voltò verso Marini, gli occhi azzurri incandescenti di sfida.
"Andiamo via," disse, trascinandola con sé verso l'uscita.

L'uomo li osservò allontanarsi, tirando lentamente dal sigaro.
Il suo ghigno si allargò, mentre nell'aria restava sospeso il presagio di uno scontro imminente.

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