La giornata era trascorsa lenta per Giulia, soffocata dal peso dei pensieri, e da quei dubbi che difficilmente le lasciavano tregua.
Dopo un lungo periodo di assenza, aveva ripreso l'attività al negozio.
Un piccolo ritorno alla normalità, ma nonostante ciò aveva deciso di prolungare la sua permanenza nella villa di suo zio Attilio, in cerca di altre risposte.
Quella mattina aveva il viso stanco e l'aria insoddisfatta, di chi aveva passato tutta la notte a ripercorrere i dettagli dei file che aveva copiato sulla chiavetta USB: ciò che ne aveva ricavato erano vecchi contratti, transazioni discutibili, una rete di affari sporchi che riguardava la sua famiglia. Nulla che già non sapesse, e nulla che facesse riferimento alla tragica morte di Eugenio.
Decise in ogni caso di conservarli, pensando che forse le sarebbero tornati pur sempre utili.
Quando Gisella entró, la trovò immersa nei suoi pensieri.
Si avvicinò al bancone con passo sicuro ed elegante, e un sorriso che come al solito non nascondeva nulla di amichevole.
"Credo che tu abbia dimenticato una cosa..." disse, con un leggero sarcasmo.
Giulia si ricordò improvvisamente della collana, di quello scambio tanto semplice quanto pericoloso.
"Non l'ho dimenticata. Ero solo... impegnata in questioni molto più rilevanti."
Andò a prenderla, per poi posarla sul bancone dinnanzi a lei.
La collana era luminosa, elegante, tempestata di piccoli rubini.
Un lusso che la vanità di Gisella non poteva di certo farsi mancare. Quest'ultima la guardò con un'espressione di puro compiacimento.
"Mantieni il silenzio," la riportò all'attenzione Giulia, con un tono fermo e deciso.
"Tranquilla, non mi conviene," la incalzò lei, alzando gli occhi al cielo infastidita.
"Se scoprono che ti ho aiutata, non ci farei affatto una bella figura. Non ho nessuna intenzione di rovinarmi la reputazione per colpa tua."
La ragazza annuì, soddisfatta almeno di aver ottenuto quel che voleva.
Non sapeva se fidarsi di lei, ma una cosa era certa: quella donna sapeva muoversi nel loro mondo meglio di quanto avesse mai immaginato.
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La sera caló lentamente, mentre Filippo si preparava per l'ennesimo incontro con Marini.
Era teso, più del solito.
E soprattutto era in ritardo.
Infilò la giacca, prese il telefono, per poi fiondarsi velocemente giù dalle scale. Ma proprio mentre stava per uscire, la porta si aprì lasciando entrare la figura austera di suo cugino.
Enrico Guerra.
L'uomo era appena arrivato da Torino, sotto le direttive dello zio Osvaldo. Aveva lasciato temporaneamente moglie e figlio per sistemare, a suo avviso, la situazione.
Un piccolo sacrificio che gli avrebbe fatto guadagnare finalmente un po' di potere all'interno della famiglia Guerra.
Più alto di Filippo di qualche centimetro, era un uomo di quarantasei anni, con i capelli castano scuro appena striati di grigio alle tempie. Lo sguardo severo, accentuato da un paio di occhiali dalla montatura sottile, gli conferiva un discreto fascino. Indossava un cappotto elegante, di buona manifattura, dove al di sotto spiccava un completo grigio scuro, selezionato con cura.
Il giovane quando lo vide si irrigidì.
Non si aspettava una sua visita.
"Che ci fai qui?" chiese senza nascondere la sorpresa nel tono di voce.
Enrico lo guardò altezzoso.
In lui padroneggiava un'aria di chi non si mescola con le situazioni di basso livello, ma è perfettamente in grado di gestirle dall'alto.
"È così che mi accogli dopo tutto questo tempo?" rispose con un sorriso tirato.
Ma prima che lui potesse replicare, una voce lo interruppe.
"Filippo, stai al tuo posto."
Don Aldo.
Dall'alto delle scale, il patriarca osservava la scena con il tipico sguardo severo che lo caratterizzava.
"Enrico è più grande di te, sa il fatto suo. È venuto qui per aiutarti."
Aiutarlo? Era una follia, pensò Filippo.
Sapeva bene cosa avrebbe comportato il suo arrivo. Suo cugino non era un uomo d'azione come Marini, né uno stratega come Don Aldo, ma aveva un'altra qualità: sapeva come mettere ordine nel caos. Faceva parte di un élite che si muoveva nei circoli puliti, con uffici eleganti e riunioni riservate.
Era un uomo che sapeva trattare la criminalità come fosse un'azienda, da gestire con precisione chirurgica.
E se suo padre lo aveva chiamato, significava che gli affari non stavano andando affatto bene come previsto.
Si voltò verso di lui, il disappunto evidente nei suoi occhi azzurri.
"Non ho bisogno del suo aiuto."
Don Aldo inclinò appena il capo, lo sguardo che non prometteva nulla di buono.
"Non è una richiesta. È un ordine."
Il giovane inspirò forte, sentendo la rabbia scorrere dentro di lui come se fosse una seconda pelle.
Poi guardò Enrico, perfettamente a suo agio nel suo nuovo ruolo, come se avesse già previsto tutto.
Strinse i pugni, lo sguardo carico di frustrazione.
"Non sono qui per sostituirti, ragazzo," intervenne il cugino, la voce priva di emozioni.
"Sono qui per evitare che tu faccia cazzate."
Filippo esplose in una risata amara.
"Certo, come no," replicò sarcastico.
Don Aldo lo fissò per un lungo istante, poi si voltò verso il nipote.
"Fallo ragionare. E fallo in fretta."
Egli sapeva che la ribellione di Filippo andava contenuta in qualche modo, prima che la situazione degenerasse.
Il messaggio era chiaro: non aveva scelta.
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Prega per me
General FictionNella Verona più oscura, dominata da segreti e rivalità famigliari, Giulia Fini, una giovane donna dalll spirito ribelle e dall'indole fiera, si trova improvvisamente trascinata in un gioco di potere. Una sera, per caso, si scontra con Filippo Guerr...
