Capitolo 21. Ferito

80 7 10
                                        

Filippo giaceva nel suo letto immobile, sofferente. Il dolore pulsava costante, un promemoria fisico di ciò che era successo la notte precedente, ma più della ferita, era l'eco delle sue azioni a tormentarlo. La luce soffusa della stanza accentuava il pallore del suo viso, stanco e tirato, come se ogni colpo esploso lo avesse svuotato di qualcosa di prezioso e irrecuperabile.
I suoi occhi blu erano melanconici e tristi.

Un’ora prima, Don Aldo Guerra aveva varcato la soglia senza bussare.
Il suo sguardo si era soffermato sulla benda insanguinata e, per un attimo, un velo d'orgoglio aveva attraversato la durezza del suo volto.

"Hai fatto quello che dovevi, figliolo," aveva detto, con un accenno di ammirazione che raramente gli riservava.
"I Fini adesso sanno chi comanda, e tu sei stato la mia arma."

Il giovane abbassò lo sguardo, incapace di ribattere. Annuì soltanto, mentre dentro di sé il vuoto cresceva, divorando ogni certezza.

La quiete tornò a regnare fino a quando il cellulare vibrò sul comodino. Sullo schermo comparve il nome di Rocco Marini.
Filippo esitò, poi rispose.

La voce del biondo era entusiasta, quasi festosa: "Questo colpo è un segnale per tutti...abbiamo colpito esattamente dove quei bastardi sono più deboli."

Quelle parole, piene di esaltazione, risuonarono come un fastidio dentro di lui. Per quanto cercasse di lasciarsi trascinare da quel senso di vittoria, il pensiero di Giulia lo tormentava più di ogni altra cosa.

Come a punirlo, il telefono squillò nuovamente. Questa volta era lei: Giulia. Il cuore accelerò.
Per un istante pensò di rispondere, di dirle tutto. Ma la vergogna lo paralizzò. La sua mano rimase sospesa per alcuni secondi, tremante, poi lasciò scivolare il telefono sulla coperta, ignorando la chiamata.

---

Dall'altra parte della città, Giulia fissava lo schermo del suo telefono.
"Perché non risponde?" mormorò, la voce incrinata dall'ansia.

---

Intanto, Adelfio Fini era nel suo ufficio, furioso. Il pugno si abbatté sul tavolo con uno schianto secco, facendo vibrare i fogli sparsi.
L'assalto da parte dei Guerra non era solo un colpo agli affari di famiglia, ma un affronto personale che richiedeva vendetta.

"Questo gioco non può continuare," ringhiò, con uno sguardo pieno d'odio.
"Non resteremo in silenzio. Hanno osato colpirci, e qualcuno pagherà caro questo affronto."

---

Quella notte, la città sembrava avvolta da un silenzio surreale.
Entrambe le famiglie erano come un vulcano sul punto di eruttare, e Filippo, consumato dal rimorso e dal conflitto interiore, si chiedeva se fosse ancora possibile salvare quello che più gli stava a cuore.

Prega per meDove le storie prendono vita. Scoprilo ora