Capitolo 60. Colpe

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Adelfio sedeva immobile nello studio dello zio Attilio. La stanza, austera e intrisa di un'aria solenne, era pervasa da un'ombra di rigidità che sembrava riflettere il peso di tutte le sue preoccupazioni.

Gli ultimi eventi lo avevano esasperato, ma ciò che lo tormentava di più era l'incoscienza di sua sorella Giulia. Cercare la verità su Eugenio era un conto, ma infilarsi nel quartier generale dei Guerra era stata una follia. Un rischio che non avrebbe mai dovuto correre.

La porta dello studio si aprì con un cigolio, rivelando la figura robusta e impacciata di suo cugino Marcello.
Lo vide avvicinarsi alla scrivania, le mani infilate nelle tasche della giacca, per poi fermarsi a qualche passo da lui.

"Mio padre vuole riproporre l'ennesima cena con i De Falco," annunciò con il solito tono vivace ed energico.
"Dice che potrebbe essere utile per consolidare l'alleanza."

"Non è di loro che mi interessa parlare in questo momento..." rispose Adelfio tagliente.

Marcello si bloccò, confuso.
"E di cosa allora?"

L'uomo si alzò di scatto, facendo scricchiolare la sedia sotto di sé.
"Di Giulia," dichiarò, scandendo ogni parola.
"Si è messa nuovamente nei guai. E lo sai bene, perché sei stato tu a darle quella soffiata su Filippo Guerra. Sapevi a cosa sarebbe andata incontro."

Il volto del cugino impallidì.
"Le ho detto la verità," rispose, stringendo la mascella.
"Perché negarlo? È lui l'ultima persona che Eugenio ha visto. Non posso cancellarlo."

Adelfio fece un passo avanti, lentamente, come se volesse colmare la distanza non solo fisica ma anche morale che li separava.
"E pensi davvero che basti questo? Che basti dire una verità a metà per sentirti pulito?"

"Non sono io quello che ha le mani sporche," ribatté l'altro, la voce incrinata da un fremito.
"Non questa volta."

"Non cercare scuse, Marcello. Sai cosa potrebbe succedere se il patriarca dei Guerra venisse a sapere quello che sta succedendo?"

"Non sei l'unico ad essere preoccupato per lei, Adelfio. E poi, quel ragazzo, Filippo... in ogni caso sono convinto che la proteggerebbe."

"Non essere ingenuo!" urlò l'uomo sbattendo un pugno sul tavolo.
"Filippo è solo un burattino nelle mani di suo padre. Se casualmente si sentisse minacciato, non esiterebbe a fare ciò che deve per proteggersi. Giulia sta giocando con il fuoco, e tu l'hai aiutata ad avvicinarsi troppo."

Un silenzio teso calò nella stanza, mentre Marcello abbassava lo sguardo, incapace di rispondere.
Adelfio si passò una mano tra i capelli, cercando di calmarsi.

"Dobbiamo fermarla, prima che sia troppo tardi. Non posso permettere che possa succederle qualcosa di brutto."

Mentre discutevano, la porta dello studio si aprì nuovamente, e questa volta fu Attilio ad entrare.
Il suo volto era serio, gli occhi che si muovevano rapidamente verso i due volti nella stanza.

"Cos'è tutta questa agitazione?" chiese, la voce aspra.
"Spero che non abbiate dimenticato la posta in gioco. Qualunque problema abbiate, risolvetelo subito."

Adelfio si voltò verso di lui, cercando di mascherare la tensione.
"Non c'è nulla di cui preoccuparsi, zio. Niente che non può essere risolto," minimizzó.

Il vecchio lo fissò per un lungo istante, poi annuì lentamente.
"Bene. Ma ricordatevi che la famiglia viene prima di tutto. E se c'è qualcosa che non va, voglio saperlo."

Quando Attilio uscì dalla stanza, i due cugini si scambiarono uno sguardo pesante. Il silenzio ricadde tra loro, denso come fumo.

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