Giulia era davanti allo specchio, gli occhi fissi sull'immagine riflessa.
La stanza era immersa in una luce soffusa, e il silenzio della notte sembrava carico di attese non dette.
Sentiva il battito del suo cuore accelerare, la mente persa in pensieri di cui non riusciva a liberarsi.
Lentamente, si liberò dell'abito da sera. Il tessuto scivolò dalle sue spalle, finendo a terra in un sussurro silenzioso. La sua pelle nuda si mostró in tutta la sua fragilità, senza maschere né finzioni. Sapeva che quella bellezza era solo una facciata, un'armatura che non riusciva a proteggere la sua anima tormentata.
Un suono lieve, il fruscio delle lenzuola.
"Come è andata?"
Una domanda che la riportò bruscamente alla realtà.
Si voltò lentamente, mentre i suoi occhi si posavano sulla figura di Gisella. La giovane donna era seduta sul bordo del letto, le gambe incrociate. Il pigiama rosa confetto la rendeva quasi infantile nella sua attesa ansiosa. L'espressione era curiosa, impaziente di un resoconto rapido e dettagliato del "dramma" che, a suo modo, aveva il fascino di una fiction ben scritta.
Giulia non rispose subito.
Si limitó a fissarla per un attimo, un breve istante che sembrò durare un'eternità. Non sapeva cosa dirle, le parole le morivano in gola.
Le doveva qualcosa, sì.
Le doveva quella sera, quella fuga, quel vestito, quei due mastini che l'avevano scortata come se fosse una reginetta in missione diplomatica.
Le doveva anche il silenzio.
Ma ormai era troppo tardi per restare zitta.
E ora era lì, in quell'attico lussuoso che solo una ragazza esclusiva come Gisella poteva permettersi. Sembravano amiche, o forse potevano diventarlo.
"Sono riuscita a raggiungere un accordo con Marini, ma a un caro prezzo..." sospirò, la voce un sussurro stanco. Afferrò la camicia del pigiama, le dita che sfioravano il tessuto grigio perla con un'inconsapevole delicatezza.
Gisella inarcò un sopracciglio.
"A che prezzo?"
Lei esitò.
La mente tornò alle parole di Marini, al modo in cui l'aveva guardata, alla consapevolezza di essersi legata a lui in un modo che non le piaceva.
"Non sono fiera di quello che ho dovuto accettare."
Si voltò nuovamente verso lo specchio, mentre la donna la fissava con un misto di curiosità e divertimento.
"E Filippo?"
La giovane abbassò lo sguardo, mentre le dita tremanti afferrarono i pantaloni del pigiama, ma non riuscì a tirarseli su. La gola era serrata, e quel nome le scoppiava nel petto come un pugno sporco e crudele.
"Io e lui ci odiamo."
La De Falco rise, una risata graffiante e beffarda, mentre incrociava le braccia sul seno prosperoso.
"Ti avevo prestato quel vestito per ammaliarlo... non dirmi che sei stata gelida come al tuo solito?"
Giulia si sedette al suo fianco, lo sguardo perso nel vuoto.
Ammaliarlo?
Lei?
Mai stata quel genere di donna.
E anche se ci avesse provato, Filippo Guerra non era uno che si faceva incantare da occhi dolci o sorrisi falsi.
Men che meno da lei.
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Nel frattempo, nel parcheggio del casinò, l’aria odorava di benzina e asfalto bagnato. Il ronzio distante del traffico cittadino sembrava ovattato, reso insignificante dal peso dello scontro che stava per avvenire.
Filippo lo individuò subito.
Marini era appoggiato al cofano della sua berlina nera, una sigaretta spenta penzolava dall’angolo della sua bocca. Sorriso pronto, mani in tasca.
"Che c'è, Guerra? Non ti aspettavi che la tua piccola puttana venisse a farmi visita?" lo provocò con quella voce ruvida da strada.
Il giovane si fermò a un soffio da lui, gli occhi azzurri che brillavano di una furia inaudita.
"Cosa vi siete detti?"
Il biondo rise, una risata forte, spudorata. Un suono che lo fece esplodere. Lo afferrò per il bavero della giacca e lo spinse con violenza contro il muro di cemento.
L'urto fu secco, il respiro gli si bloccò per una frazione di secondo, ma il sorriso non svanì.
"Sei più nervoso del solito, Guerra."
Lui strinse i denti.
La sua mano salì, serrandogli la gola.
Le dita premettero finché non lo costrinsero a deglutire a vuoto.
"Parla."
"Perché dovrei? Hai paura di avermi lasciato troppa libertà con la tua ragazza?"
La pistola uscì dalla fondina con un movimento secco, la canna contro la sua gola.
"Dimmi cosa cazzo vi siete detti!"
Il sorriso di Marini si fece più sottile, gli occhi fissi su di lui, senza paura, senza esitazione.
"Non darmi un motivo per staccarti la testa, bastardo!"
Silenzio. Solo il rumore del vento tra le auto parcheggiate.
L'uomo inclinò appena la testa, e un lampo di divertimento sporco gli attraversò lo sguardo.
"La ragazza è più sveglia di quanto pensassi…"
Filippo si irrigidí.
Le dita pronte a stringere il grilletto.
"Sei cotto, eh, principe?"
"Ti ho detto parla."
L'altro si lasciò andare a un sospiro teatrale.
"Mi ha proposto un'accordo. E io ho accettato."
"Che cazzo significa?"
"Significa che ora ha un debito con me."
Lui non riuscí più a trattenersi.
Il calcio della pistola centrò in pieno la mascella di Marini, un colpo secco che lo fece barcollare.
Il sangue iniziò a colargli dal labbro spaccato, la testa leggermente piegata dal colpo. Rimase fermo un istante, il respiro pesante. Poi passò la lingua sulla ferita, assaporandone il sangue come fosse vino.
E rise.
Una risata bassa, sporca, che echeggiò nel parcheggio. Si raddrizzò, sistemandosi con calma la giacca sporca di sangue.
"Stai attento, Guerra."
La sua voce era bassa, quasi un sussurro velenoso.
"Il tuo problema non sono io, ma è quella ragazza: ti frega quando meno te lo aspetti."
Poi si voltò, lasciandolo lì, con la pistola ancora in mano e il cuore in subbuglio.
Filippo rimase fermo, il respiro affannato, la rabbia che ancora gli pulsava nelle vene.
Guardò la mano stretta attorno all'arma, le dita bianche per la forza con cui la stringeva.
Giulia.
Marini aveva ragione.
E in quel momento, capì una cosa:
non poteva più fidarsi di lei.
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Prega per me
General FictionNella Verona più oscura, dominata da segreti e rivalità famigliari, Giulia Fini, una giovane donna dalll spirito ribelle e dall'indole fiera, si trova improvvisamente trascinata in un gioco di potere. Una sera, per caso, si scontra con Filippo Guerr...
