Capitolo 59. Oblio

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Tre anni prima...

Eugenio era in piedi davanti alle grandi vetrate del suo studio.
La luce fioca di un pomeriggio invernale si rifletteva nei suoi occhi di un intenso color nocciola.
Era un giovane distinto, dai tratti delicati e dallo sguardo tormentato.
La sua cravatta era allentata, e il primo bottone della camicia aperto ne tradiva la tensione. Attorno a lui, scaffali pieni di libri raccontavano una vita dedicata a studiare, comprendere e, forse, a sognare una via di fuga.

Filippo era seduto su una poltrona di velluto. Il suo completo scuro era perfettamente stirato, ma gli occhi celavano una stanchezza che nemmeno i giovani anni potevano nascondere.

L'amico si voltò verso di lui, portandosi una mano alla fronte, il gesto di chi cerca di sostenere un peso troppo grande.

"Sono stanco di questa guerra," disse con voce rauca, quasi soffocata.
"Non riesco più a dormire la notte. Ogni passo che faccio, ogni decisione che prendo, sembra portarmi sempre più vicino al baratro. Ma tu lo sai già, vero?"

Il giovane annuì lentamente, fissandolo con quei suoi occhi blu cobalto, compassionevoli e attenti.
"Lo so, Eugenio. Lo so meglio di quanto tu vorresti. Ma da questa situazione non se ne esce se non con la morte. Già il fatto di trovarci qui a parlarne potrebbe essere considerato come un tradimento."

Eugenio sorrise amaramente, accendendosi una sigaretta con mani tremanti.
"Tradimento... verso chi, Filippo? Verso uomini che ci considerano solo pedine? Verso una famiglia che non esita a sacrificare i propri figli per mantenere il potere? Io non voglio più subire...non voglio un destino così."

"E cosa vorresti fare?" replicò l'altro, il tono più freddo del previsto.
"Fuggire? Lasciare tutto? Non è così semplice, Eugenio. Tu sei un Fini, io sono un Guerra. Il nostro cognome è una condanna."

L'amico a quel punto si avvicinò al tavolo di legno massiccio, afferrò un libro di poesie poggiandolo davanti a lui.

"Guarda queste parole. Rappresentano libertà, speranza, un mondo in cui nessuno ci costringe a scegliere tra la vita e la morte. Ma tutto questo è solo un'illusione per noi."

Filippo si sporse leggermente, fissando il titolo del libro: "I fiori del male" di Baudelaire.
Una risata breve e amara gli sfuggì.
"Poesie, Eugenio? Credi davvero che queste possano salvarci?"

Lui lo fissò intensamente, le mani appoggiate sul tavolo.
"No, ma possono ricordarci che siamo ancora uomini, che non siamo solo le maschere che indossiamo."

Un lungo silenzio calò nella stanza, rotto solo dal ticchettio di un orologio antico. Il giovane si alzò in piedi, avvicinandosi alla finestra accanto a Eugenio.
Guardò fuori, osservando la città sotto di loro, il crepuscolo che si stava facendo strada tra gli edifici.

"Hai mai pensato a come sarebbe morire?" chiese, quasi sottovoce.

Eugenio rabbrividì, ma non distolse lo sguardo da lui.
"Non ho paura di morire. Ho paura di vivere così, senz'anima, senza speranza."

Filippo lo guardò, il volto contratto in un'espressione che tradiva la lotta interiore.

"Ti prometto una cosa, Eugenio. Se mai arriverà il giorno in cui uno di noi dovrà pagare per tutto questo... io mi ricorderò di quello che hai detto oggi."

L'altro sorrise tristemente, ma comunque grato.
"Filippo, voglio solo che tu trovi un modo per non diventare come loro. Non perdere la tua anima, per quanto difficile possa essere."

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Presente...

La città sembrava addormentata sotto una coltre di nebbia, ma Filippo non riusciva a chiudere occhio.
Le ore passavano e lui rimaneva immobile nel buio della sua stanza, il pensiero che tornava continuamente al passato, a Eugenio e alle risposte mai date a Giulia.

L'ultimo incontro al quartier generale aveva messo a dura prova la sua lucidità. Aveva cercato di proteggerla, ma nel farlo l'aveva allontanata ancora di più, facendole credere di essere lui il nemico.

"Lei merita la verità," pensò.
Ma come avrebbe potuto dirgliela, quando lui stesso non era sicuro di quale fosse la sua?

Le sue mani si strinsero attorno al cuscino. Il respiro sempre più irregolare. Non poteva continuare a vivere così, intrappolato in un limbo che lo portava ad odiarsi ogni giorno di più. Lui, come Eugenio, era intrappolato in un gioco che non comprendeva fino in fondo, un destino segnato dalla violenza e dalla vendetta.
E la domanda che lo tormentava era sempre la stessa: cosa succederà alla fine di tutto questo?

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