Capitolo 11. Agguato

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Il soggiorno era avvolto da una penombra soffocante.
Adelfio sedeva sul divano, lo sguardo fisso nel vuoto, perso in pensieri che si attorcigliavano come serpenti.
Il profilo fiero e il naso aquilino sembravano tagliare l'aria, mentre le mani, sottili e nervose, stringevano il bicchiere di whisky facendolo tintinnare appena.

Giulia non era in casa, e lui sentiva un'ansia sottile scorrergli sotto la pelle. Quando il telefono squillò, sobbalzò leggermente, fissando il ricevitore come se avesse già intuito il contenuto di quella chiamata.
Afferrò la cornetta, e quando rispose sentì una voce spezzata, tremante.

"Adelfio... sono Marcello."
La voce del cugino arrivava soffocata, filtrata dal dolore.
"Mi hanno colpito... un agguato... gli uomini di Guerra..."

L'uomo strinse il telefono con più forza, le nocche che sbiancavano. "Dove sei? Sei grave?"

"Mi hanno colpito ad una spalla... l'altro proiettile sono riuscito a scansarlo in tempo... mi hanno seguito, sapevano dove trovarmi," ansimò lui sofferente.
"È un avvertimento. Vogliono farci sapere che non c'è posto sicuro per noi."

La rabbia montò in Adelfio, ma si costrinse a rimanere calmo.
La voce tornò a essere quella ferma e tagliente che usava nei momenti di tensione.
"Non preoccuparti, radunerò i nostri uomini. Gliela faremo pagare. Chiama qualcuno e fatti medicare, poi vieni subito qui."

Chiuse la telefonata, posando il ricevitore con una calma apparente.
Le mani gli tremavano appena, ma non per paura: era la sete di vendetta che iniziava a prendere il sopravvento.

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