Capitolo 85. Dietro la maschera

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Il passo di Giulia riecheggiava sul pavimento lucido, ritmato, deciso.
Ma dentro, tremava.
Si stava dirigendo verso la sala riunioni, quando la figura di Rocco Marini emerse dall'ombra come un predatore affamato.
Camminava lento, il passo felpato, preciso. Il volto rilassato, quasi divertito. Ma i suoi occhi raccontavano un'altra storia.

"Sei sempre così di fretta al mattino?" chiese, la voce bassa, piena di sottintesi.
La ragazza provò ad aggirarlo, il viso tirato in una maschera d'indifferenza.
Lui fu più veloce.
Le tagliò la strada, afferrandole il braccio con forza. In un istante la spinse contro il muro, il corpo di lui addosso.

"Rocco..."

"Shh."

La teneva stretta, il braccio premuto contro la sua schiena. L'altra mano scivolò senza vergogna lungo la curva della sua vita, stringendola a sé.
Il respiro caldo sul suo collo le scombinò l'equilibrio.

"Colpiremo stasera, bellezza."
Le parole sussurrate, lente, sembravano quasi un veleno.
"Filippo è fuori dai giochi. Non ci serve il suo aiuto per vincere."

Lei tremò. Non di paura, ma di rabbia.
O forse entrambe.

Marini si strusciò contro di lei, il bacino che premeva con violenza.
"Potremmo iniziare i festeggiamenti già adesso... Ti basterebbe allargare un po’ le gambe."

Lei chiuse gli occhi un istante, il cuore che batteva come un tamburo isterico.
Sentiva ogni singolo millimetro del suo corpo sotto il dominio di quelle mani, di quel fiato, di quella voce.
E si odiava per non essersi ancora divincolata.

L'umidità delle sue labbra le sfiorava la pelle. Si irrigidì, ma non lo spinse via. Non ancora.
Doveva resistere.
Doveva fingere.

La bocca di Marini si fece più audace. Un bacio umido sul collo, poi la lingua, lenta, scivolò fino all'orecchio.
Un gesto che non aveva nulla di romantico, ma viscido, al punto tale da lasciarle un brivido freddo sotto la pelle.

La giovane voltandosi leggermente, finse un'attrazione che non provava, sorridendogli con malizia costruita.

"Non ora, Rocco," sussurrò, la voce bassa, calcolata.
Gli passò una mano sul petto, lenta, lasciva, come se avesse voglia davvero.
Ma dentro le si rivoltava tutto.
"Voglio vedere fin dove sei disposto a spingerti... E poi, se ti comporti bene, avrai molto di più che una stretta di cosce contro un muro."

Un'esca.
Un'illusione.
Marini sorrise, un ghigno basso, famelico.
Era convinto di avere il controllo.
"Tu sai come farmi impazzire, piccola."

Lei non rispose.
Il cuore in tumulto.
La pelle bruciata da quel contatto.

Nascosto dietro l'angolo, Filippo aveva visto tutto.
Il respiro rotto.
Il pugno chiuso.
La mano, ancora ferita, pulsava come se la pelle volesse squarciarsi.
Il cuore? Ancora peggio.

---

Entrò nell'ufficio sbattendo la porta.
Il viso era impassibile, ma gli occhi... quegli occhi azzurri erano tempesta.
Quando Giulia varcò la soglia, qualche minuto dopo, lo trovò in piedi accanto alla finestra. La luce del giorno gli tagliava il viso.
Freddo. Bellissimo. Ferito.

Si tolse il cappotto lentamente, poggiandolo sulla sedia, assieme alla borsa. I capelli raccolti in una coda disordinata lasciavano scoperto il collo arrossato, cosa che non sfuggì minimamente a lui, bruciandogli più dell'offesa. Indossava un pantalone grigio ampio, elegante, e una camicetta bianca, scollata quanto bastava per sembrare distratta.
O provocante.
Filippo la osservò, gelido.

"Avete vinto voi," disse con un tono che non era né rabbia, né delusione.
Era veleno.
"Non parteciperò all'operazione. Ma ricordati una cosa, Fini... se pensi di piegarmi così facilmente, sei fuori strada. Rimango pur sempre io il capo qui dentro."

Un lampo di dolore attraversò lo sguardo di Giulia, ma fu un istante.
Poi si morse il labbro, guardandolo con quel suo modo di fare ambiguo, indecifrabile.

"Mi sembravi stanco, Guerra. Forse è meglio così."

Lui rise. Un suono secco, senza gioia.

"Ti sei venduta bene. Marini ti addestra a recitare o ti viene naturale quando sei... a letto con lui?"

Il colpo fu diretto.
Lei lo incassò senza batter ciglio, ma il petto le tremò impercettibilmente.
Si avvicinò, a passo lento, quasi provocante.
"Faccio quello che devo fare," rispose, la voce fredda come il marmo sotto i suoi piedi.
"Non sei più tu a decidere."

Lui la guardò, dall'alto in basso, con disprezzo calcolato.
Ogni secondo era una tortura, un'umiliazione che si infliggevano a vicenda.
"Deve averti promesso molto quel verme, per farti strisciare così."
La sua voce era bassa, roca, quasi un ringhio.

Cercava la minima incrinatura.
Un tremolio negli occhi.
Ma nulla.
Lei non rispose, non si scompose.
Gli restituì uno sguardo limpido, perfetto.

Strinse i pugni lungo i fianchi.
Non lo accettava.
Non poteva accettarlo.

"Sai qual è la parte migliore?" proseguì, con un sussurro sporco, carico di veleno.
"Non importa quanto ti faccia schifo... alla fine ti piacerà stare sotto di lui."

Si fermò un istante, come per assaporare l'effetto delle sue parole su di lei. E lo vide: il corpo di lei si irrigidì, come se un colpo l'avesse trafitta. Tuttavia non smise di provocarla.

Fece un passo avanti, riducendo di nuovo la distanza.
"Ti ci abituerai, sai?" continuò, lentamente.
"Alla sua bocca addosso, alle sue mani sporche su di te. E forse un giorno ti ritroverai pure a gemere per lui. Come una bestia ben addestrata."

L'ultima frase gliela sibilò direttamente nell'orecchio, il fiato caldo che le bruciava la pelle.

Giulia sentì il sangue ribollirle nelle vene. Una rabbia cieca, profonda, lacerante la invase.
"Non osare."
Si girò di scatto e con tutta la forza che aveva gli mollò uno schiaffo.
Un colpo secco, violento, che riecheggiò nella stanza vuota.
"Non hai idea di chi sono."

Filippo accettò il colpo senza arretrare di un centimetro.
Il suo volto si mosse appena per l'intensità di quel gesto, ma quando tornò a guardarla nei suoi occhi passò qualcosa, dolore, rimorso forse... ma sparì subito, inghiottito dalla rabbia.
Quella donna che fino a un secondo prima sembrava di pietra ora si stava incrinando.

Giulia ansimava, il petto che si alzava e abbassava freneticamente.
Gli occhi verdi colmi di lacrime ancora trattenute, la gola stretta in un nodo di dolore e furia.

Il giovane si passò lentamente la lingua sul labbro inferiore, come ad assaporare il sapore della rabbia di lei. Una piccola rivalsa, per far fronte a tutto quel dolore che aveva in corpo.

"Eccola," disse piano, la voce bassa e intrisa di qualcosa di oscuro.
"La vera Giulia."

Lei lo fissava, tremante.
Avrebbe voluto urlargli addosso tutta la sua rabbia, la sua delusione.
Avrebbe voluto colpirlo ancora, strappargli di dosso quella maschera crudele.
Ma si trattenne.
Perché capiva.

Capiva che tutto quell'odio era disperazione.
Che quelle parole sporche erano il grido di chi stava perdendo qualcosa che amava troppo.
E fu questo a farle più male di tutto il resto. Restarono lì, fermi, entrambi feriti. Prigionieri del loro orgoglio, del loro dolore.

L'uno davanti all'altra.
A un passo dal disastro.

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