71. È tutto come allora

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«Oddio... mi hanno assegnato il paziente della camera 0! E adesso che faccio?» esclama con aria turbata una mia collega.

«Davvero? Che disdetta! Pare che sia una spia e anche che sia pericoloso.» sbuffo, mentre sistemo dei batuffoli di cotone su un carrellino. Quante cavolate spara la gente. «Ho sentito dire che viene dal fronte italiano.»

Spalanco gli occhi. In Italia?

«Era su un treno ed è stato vittima di un'esplosione. Si è ferito per salvare quella puzzola.» ribatte un'altra mia collega, con intorno delle infermiere curiose ad ascoltarla.

Una ragazza ridacchia.
«Ecco perché quell'animale gli è così fedele.»

Durante questi giorni sento un sacco di altre voci, che mi fanno sempre salire un nodo alla gola:

Pare che su quel treno ci fosse una spia sospettata di omicidio...

Non ricorda nulla e nessuno conosce la sua vera identità, per questo si crede sia proprio lui la spia.

L'hanno portato in questo ospedale perché in preda al delirio continuava a ripetere "America" e "Chicago"

Anche i dottori ne parlano spesso, e si lambiccano il cervello chiedendosi se dovrebbero salvarlo oppure no.

Ma cosa ci faceva in Italia? Credevo si trovasse in Africa...

Con Popi in braccio, che per ora l'ho trasferita di nascosto in camera mia, mi dirigo nella stanza di Albert. Appena entro nella stanza 0 posso subito notare un letto di ferro, in cui lui è sdraiato. Questa è la stanza peggiore di tutto l'ospedale.

Osservo il volto del mio amico, sembra stremato... non ho mai visto una persona più pallida di così.

«Non sapevo ti fossi tinto i capelli, il biondo così chiaro ti dona!» mormoro, sperando che mi senta, anche se dubito. «E sei molto più bello senza gli occhiali.» sorrido dolcemente. «Spero ti sveglierai presto...»

Non avrei mai voluto incontrare Albert in queste circostanze. La piccola Popi sale sul letto, e guarda il suo padrone. Le accarezzo il pelo morbido.

«Popi, non devi preoccuparti. Mi occuperò io della salute di Albert, e mi prenderò cura anche di te! Vi proteggerò entrambi.»


Passo le mie giornate di lavoro pensando costantemente a lui.

Chissà se si è svegliato, almeno potrò parlargli. Penso mentre cambio le bende ad un paziente.

Spero solo che i dottori gli stiano facendo visita regolarmente. Beh, non credo lo abbandonerebbero a se stesso.

Sto camminando nel corridoio quando ad un certo punto sento uno strillo acuto, e una mano poggiarsi sulla mia spalla.

«AHHHH! Che dolore! Infermiera, mi serve il suo aiuto!» sobbalzo spaventata e tiro un urlo, voltandomi verso la persona che mi ha poggiato la mano sulla spalla.

Incontro degli occhi azzurri che conosco molto bene, nascosti dalle lenti degli occhiali.

«Stear! Che ti è successo?» urlo più sconvolta che mai, vedendo la sua testa tutta bendata.

«Infermiera, io mi sono fatto male alla gamba...»

«E io mi sono rotta un dito.»

Due persone sbucano da dietro un corridoio, sorridendo.

«Archie, Annie...» sussurro confusa, facendo passare lo sguardo dall'uno all'altro. «Ma che è successo?»

Stear mi fa l'occhiolino, con un ghigno scherzoso stampato in volto.
«Siamo solo passati per prenderti un po' in giro.»

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