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Jaden Reyes's pov

La mia vita era un continuo paragone tra me e mio fratello, la mia vita non era così felice come un normale ragazzo di diciott'anni avrebbe dovuto avere.

Avevo sviluppato con il tempo un comportamento immaturo, arrogante e spesso egoista ma ovviamente, come si è sempre detto, ogni azione porta a delle conseguenze. E io di azioni ne avevo vissute e provocate troppe per un ragazzo di soli tredici anni che aveva ancora tutta la vita davanti!

Uscii da casa di Curtis con un sorriso in volto: anche l'ennesima partita di basket era andata alla grande e la nostra squadra del cuore aveva portato a casa una vittoria. Sprizzavo gioia da tutti i pori, mi sentivo veramente contento.

Arrivai a casa con qualche minuto di ritardo perché nonostante casa di Curtis fosse abbastanza vicino alla mia, mi fermai al bar a metà strada per prendere un dolcetto a Dylan che sarebbe tornato a casa a momenti dagli allenamenti a scuola.

Entrai nel locale e annusai il dolce profumo dei biscotti appena sfornati, prelibatezza del locale. Sorrisi gentilmente alla proprietaria del bar che mi salutò con un cenno del capo.
«Piccolo Reyes, come mai tutto solo?» frequentavo spesso quella pasticceria, ma tutte le volte ci ero andato sempre con mio fratello.

Lui era molto impegnato in quel periodo, si allenava quasi tutti i giorni per la sua squadra scolastica e raramente quando tornava aveva voglia di guardare con me la televisione o giocare con me alla Play. Mi ero ormai abituato perché per quanto amassi mio fratello, lui era decisamente più grande di me e aveva ovviamente i suoi impegni.

«Buon pomeriggio.» la signora mi sorrise, asciugandosi le mani sul piccolo grembiule nero.
«Cosa prendi piccolo?» guardai la vetrina con in esposizione una grandissima varietà di dolcetti.
«Potresti mettermi da parte questo?»

Indicai un pasticcino al pistacchio con alcune gocce di cioccolato: era il dolcetto preferito di Dylan e io volevo così tanto farlo contento dopo un estenuante allenamento.
«Certo, lo porti a casa?» annuii.
«È per Dylan, si sta allenando ora.» ammisi senza pensarci.

«Come sta quel giovanotto? È da un pezzo che non lo vedo, non è che ha smesso di frequentare questo posto solo perché sta crescendo?» scherzò la donna, porgendomi il piccolo sacchetto bianco.
«Noo, è che non può mangiare molto le cose dolci. Credo sia per la dieta ferrea del coach a scuola.»

«Che peccato!» sorrisi.
«Va beh, ma ci sono sempre io, no?» lei si allungò per scompigliarmi i capelli e per strapazzarmi di coccole.
«Oh certo piccolo, tu ci sarai sempre.» annuii freneticamente e le circondai il collo asciutto quando cercò di allontanarsi dal mio corpicino minuto.

«Ci sarò sempre.» le lasciai un tenero bacio sulla guancia e poi indietreggiai per guardare un ragazzo uscire con un bicchiere enorme tutto colorato. «Luna?» la barista si girò verso la direzione del mio sguardo e sorrise divertita. «Che cos'è?» chiesi, sperando di poterlo avere.

«Un frullato, lo vuoi?» i miei occhi brillarono e io non aspettai ad annuire e sorridere freneticamente.
«Sì sì, certo che lo voglio.» scoppiò a ridere e si avvicinò al frullatore. «Puoi farne uno anche per Dylan?»

«Certo piccolo Reyes.» sorrisi. «Come stanno i tuoi genitori?» io non lo sapevo realmente come stavano i miei genitori, spesso non mi parlavano per i troppi impegni e in quel periodo mamma era sempre fuori casa così rimanevo sempre com papà che però aveva sempre dei lavori nuovi da fare ogni giorno in giardino.

«Stanno bene, non lo so.» afferrai i due bicchieri e appoggiai le banconote che avevo nel piccolo portafoglio dentro le tasche sopra il bancone del locale.
«Perfetto Jaden, ecco a te il resto.» ripresi le varie monetine e le inserì in tasca con qualche difficoltà.

«Promettimi che mi porterai quello screanzato di tuo fratello.» sorrisi, uscendo dal bar e iniziando a camminare verso casa.

Quando spalancai il cancello di casa, con fatica a causa dei vari oggetti che portavo tra le mani, vidi mio fratello steso sull'erba e udii i suoi singhiozzi anche a qualche metro di distanza.
«Dylan, Dylan che ti è successo? Ti sei fatto male?» mi scaraventai su di lui, ma con una mano mi spinse indietro facendomi cadere a terra.

«Vattene Jaden, vattene via.» scossi la testa e tornai al suo fianco. In quel momento mio fratello aveva bisogno di me e io non lo avrei mai abbandonato!
«No, resto qui Dylan.»

«Che cos'è successo? Perché stai piangendo fratellone?» appoggiai la mano sulla sua schiena e iniziai ad accarezzarlo nel tentativo di farlo calmare almeno un po'.
«È successo che non ti devi mai innamorare Jaden, non ti innamorare perché si soffre e basta.»

«Perché?» non riuscivo a capire cosa volesse dirmi.
«Perché l'amore fa male, perché l'amore brucia l'anima finché non riesci più a respirare. Non innamorarti, non amare mai nessuno Jaden.» scossi la testa.
«Ma innamorarsi è bello.»

«Senti tutte quelle farfalle nello stomaco, ti brillano gli occhi quando parli di lei e non vedi l'ora di passare sempre più tempo con la tua ragazza. L'amore, secondo me, è bellissimo.» Dylan si tirò su senza darmi attenzioni e iniziò a camminare verso il portone di casa.

«Cazzate, tutte cazzate.» deglutii spaventato. «L'amore fa schifo, l'amore è solo un punto debole e tu non devi essere vulnerabile. Non devi avere punti deboli Jaden.» presi il sacchetto con il dolcetto e il bicchiere di frullato, rimasto ancora intatto.

«Promettimi che non ti innamorerai mai Jaden, promettimelo. Fallo.» scossi la testa mentre chiudevo la porta d'ingresso dietro di noi.
«No, io voglio innamorarmi.» mi ritrovai in un secondo con la schiena schiacciata contro il muro e le mani di mio fratello alla gola.

«Promettimi che non ti innamorerai.» urlò al limite della pazienza.
«Te lo prometto.» sussurrai spaventato e lui finalmente mi lasciò a andare. «Ti ho portato un dolcetto al pistacchio e un frullato, lo lascio in cucina se vuoi prenderli.» lui iniziò ad allontarsi.
«Non le mangio quelle schifezze.»

Mi rintanai in camera mia e iniziai a giocare ai videogiochi mentre sentivo dei rumori strani provenire dalla camera di mio fratello, percorsi il corridoio e bussai leggermente alla sua porta confuso.

«Non entrare.» sapeva già che ero io perché papà entrava senza bussare e mamma era sempre al lavoro nell'ultimo periodo.
«Perché non vieni a giocare con me?» aprii la porta e gli mostrai il mio joystic nero perfettamente lucidato.

«Perché mi sto allenando moccioso, torna a fare le cose che fanno i bambini della tua età e non rompermi il cazzo.» guardai le sue mani nude e il sacco da boxe che colpiva ininterrottamente.
«Quindi non vieni?» mi appoggiai allo stipite. «Va bene, ma potresti fare più piano? Non sento nulla.»

«No, faccio quello che voglio e come voglio.» annuii triste e poi richiusi la stanza, pronto a tornare in camera mia per passare l'ennesima serata solo, con la televisione e i miei giochi come unici amici.

Se solo avessi ascoltato le parole di mio fratello mi sarei solo preservato: l'amore era dolore e io lo avevo capito bene quando Nate mi aveva dato quella notizia.

Innamorarsi faceva schifo, ma era l'amore il piano su cui verteva tutto. L'amore era il punto fisso di molte persone, era la felicità, per me solo un sentimento che non sapevo riconoscere e che mi stava procurando solo troppo dolore.

L'amore.
Quel fottutissimo amore.
Il mio amore per lei.
Tutto il dolore.

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