110.

80 3 9
                                    

Proprio come la scorsa volta anche qui ho pubblicato le traduzioni delle frasi in spagnolo nei commenti.

Davina Foster's pov

Finii di pulire il piano della cucina di casa mia e presi il giornale che avevo comprato quella mattina, sfogliai le pagine leggendo solo i titoli in evidenza per poi spostare la mia attenzione sull'orologio della stanza.

Ero in ritardo, come tutti i giorni!

Da quando mi ero trasferita a Buenos Aires avevo perso le mie vecchie abitudini: la precisione non faceva più parte di me, leggere libri era diventato il mio hobby preferito e ogni settimana mi prendevo una giornata libera per rilassarmi seppur io non avessi nessuno con cui passare il tempo.

Avevo passato sei mesi nella capitale dell'Argentina e non mi ero mai sentita peggio, quel mese non si era nemmeno mai presentato Joseph a tirarmi su il morale come era suo solito fare ma almeno mi divertivo a rifiutare le avance del mio collega.

Per una studiosa come me, avrei potuto puntare più in alto sicuramente nella scelta della professione ma quando Andrew a Solvang mi aveva chiesto cosa volessi fare la voglia di farmi passare per una nuova ragazza che tornava tra i banchi di scuola a sentire noiose lezioni sparì completamente.

Almeno in quel bar non avevo tempo per relazionarmi con gli altri se non quando i vecchietti arruginiti mi parlavano della loro giornata: alcuni andavano a prendere la pensione, altri invece preferivano rimanere a fare una partitina a carte mentre la maggior parte al contrario aveva visite mediche a cui presentarsi.

A volte erano buffi, non si ricordavano spesso le cose più importanti ma quelle più insignificanti invece le memorizzavano tutti. Come i tentativi di flirt di quel giovane ragazzo dell'università. Quelli li ricordavano tutti!

Scesi dall'ascensore e chiusi il portone della palazzina, incamminandomi verso il bar a qualche metro di distanza. «Faith.» avevo fatto fatica ad abituarmi a quel nome, ma non mi dispiaceva poi più di tanto. Lo trovavo carino, come trovavo carino il fatto che la signora del negozio della frutta se lo ricordasse.

«Buongiorno.» la salutai, continuando a camminare indisturbata mentre suo marito mi lanciò una mela rossa. «Non mi piace.» gliela ritirai con un leggero sorriso in volto.

Per quanto fossi un'estranea in quella città, dopo i primi mesi avevo cercato di non fare l'arrogante quindi mi ero ritrovata a sorridere anche se non ero pienamente contenta e ringraziare anche se di ringraziare non ne avevo la minima voglia.

Tutto di Solvang mi mancava: la mia camera, la mia casa, la mia macchina seppur paragonabile ad una scarsa e inutile ferraglia. Pff, mi mancava anche la scuola!

Ma ciò che mi mancava più di tutti, insieme alla mia famiglia, non erano i miei due migliori amici. Ciò che mi mancava così tanto era quel ragazzo moro dalla statura prorompente che per sei mesi aveva catturato ogni mio sogno più romantico.

Sognavo che mi sarebbe venuto a prendere, che si presentasse sotto la finestra di casa mia con una chitarra pronto a suonare una canzone romantica, sognavo che mi avrebbe mandato un messaggio anche semplice e banale. Sognavo tante cose anche se in cuor mio sapevo che lui non avrebbe fatto nulla di tutto quello che pensavo perché io a lui non ero mai interessata e mai gli sarei interessata.

Il problema era invece che a me interessava ancora, e anche tanto, e non riuscivo a pensare a nessun ragazzo perché la sua figura mi si piazzava davanti agli occhi e non se ne andava nemmeno sotto tortura.

Lo vedevo con le labbra socchiuse e la sigaretta tra le labbra, con i capelli neri spettinati al vento e quelle magliette a tinta unita che indossava continuamente. Lo vedevo dappertutto, anche quando attraversavo la strada per andare al centro commerciale o quando il telefono si illuminava a causa dell'arrivo di una notifica.

UNhappyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora