POV: COSIMO
Continuavano ad arrivare. Anzi a Cosimo sembrava che, nonostante lui avesse ordinato con decisione a tutta la servitù di cacciare tutti coloro che fossero stati mandati a cercarlo e di non far uscire dalle porte del Palazzo nemmeno una parola di quello che era successo, i messaggeri venissero a bussare sempre più spesso ad ogni ora che passava. Si rendeva vagamente conto di avere delle grandi e importanti responsabilità nei confronti della sua città e di non poter improvvisamente mandare all'aria tutto senza nemmeno degnarsi di dare una spiegazione ma l'unica cosa che riusciva a fare concretamente era sedere con la schiena appoggiata alla parete di fronte alla stanza in cui Andrada si era chiusa e aspettare che quella porta si aprisse una buona volta. In poco tempo, e nonostante la sua giovanissima età, era diventato uno degli uomini più influenti del mondo: uno di coloro che reggevano le fila della diplomazia internazionale, manovrando la politica a proprio piacimento e impossessandosi poco alla volta di buona parte del mercato italiano e non solo, ma in quel momento si sentiva completamente inutile e impotente. Aveva fallito in tutti i modi in cui un uomo poteva fallire: non riusciva a piangere come si doveva la morte di suo figlio, non riusciva a occuparsi della sua città come aveva giurato di fare il giorno in cui era stato eletto Dittatore, ma soprattutto (e questo era ciò che lo uccideva dall'interno un po' di più col lento passare di ogni secondo dal momento in cui sua moglie si era isolata da tutto e tutti e rifiutava anche solo di rispondergli) non riusciva a stare accanto alla persona che più amava nel momento in cui maggiormente aveva bisogno di lui. Rimaneva lì immobile a fissare la porta per ore, ogni tanto bussava e cercava di parlarle nella speranza che lei lo stesse ascoltando ma ogni volta la voce gli si spezzava e rimaneva lì fermo a guardare il vuoto per un altro periodo di tempo indefinito torturandosi inutilmente immaginando come sarebbe potuto essere da grande quel figlio che ormai non sarebbe mai nato. Ad un certo punto le membra lo condussero nel suo studio dove Selene venne a fargli compagnia e a provare a portargli un po' di conforto, o almeno gli sembrava che fosse successo ma non poteva dirlo con certezza perché non ricordava nemmeno come fosse tornato di fronte a quella porta o quando fosse calato il buio o ancora chi gli avesse portato il vassoio con quella ciotola di minestra ormai fredda che si accorse di avere accanto. Forse si era addormentato ad un certo punto. O forse no. Aveva sprazzi confusi di ricordi (o forse erano stati soltanto sogni?) in cui alcune persone a lui note come Rinaldo e poi la nobildonna sua moglie erano andati a bussare a quell'entrata da lui incessantemente vegliata prima tristi ma fiduciosi di poter essere di conforto alla loro amata nipote e in seguito, dopo parecchi inutili tentativi, scoraggiati e delusi. Albizzi probabilmente doveva essere tornato sul fronte ma aveva in mente, con strana lucidità, uno sprazzo di ricordo in cui quell'uomo lo minacciava di prendersi cura di Andrada meglio di quanto era stato in grado di fare fino a quel momento. Questo almeno era successo davvero, no? Gli doleva la schiena e il freddo gli era penetrato fin dentro le ossa a causa delle molte ore che aveva trascorso seduto lì e di cui aveva ormai perso il conto. Ricordò a un certo punto che quel giorno avrebbe dovuto incontrare il Doge di Venezia per pattuire una possibile alleanza segreta volta a fronteggiare l'ormai imminente rischio di una triplice alleanza di Lucca e Ravenna con lo storico nemico di Firenze, Milano. In quel momento non gli importava nulla, però. Si rendeva conto con un certo stupore che avrebbero benissimo potuto espugnare Firenze quella notte stessa e che lui non si sarebbe nemmeno mosso da lì per guardare dalla finestra. L'unica cosa che lo tormentava davvero era il silenzio, quella insopportabile e terribile assenza di qualunque suono o rumore che era l'unica risposta proveniente dalla stanza alle suppliche che ormai era costretto quasi a sussurrare a causa della voce roca. Aveva davvero dormito? E se lei avesse dato segni di vita proprio mentre lui era incosciente e, non udendo nulla, si fosse sentita completamente abbandonata da tutti? Un muto terrore si impossessava lentamente di ogni parte del giovane Medici mentre un insistente tremore gli si diffondeva in tutte le membra al pensiero di quello che, in preda alla disperazione più nera, lei avrebbe potuto fare ma allo stesso tempo il pensiero di sbagliarsi e di peggiorare le cose non rispettando il suo bisogno di stare da sola in quel terribile momento lo tratteneva dal buttare giù quella maledetta lastra di legno che continuava a restare irrimediabilmente serrata. Il dubbio lo straziava tanto che, non riuscendo più a stare fermo a causa di tutta l'energia negativa che si era accumulata nel suo corpo durante quella tormentata attesa, scattò bruscamente in piedi ed entrò come una bufera nella prima stanza che trovò senza nemmeno pensare a chi potesse appartenere. Solo quando i suoi occhi si furono abituati alla penombra riconobbe lo spazio a cui nelle ultime settimane aveva dedicato lunghe ore della sua vita e che aveva deciso di adibire a cameretta per il suo primo erede. Aveva iniziato ad allestirla già prima dello scoppio della guerra con Lucca per fare una sorpresa ad Andrada e aveva trovato il tempo di occuparsene, a insaputa della moglie, perfino in quelle frenetiche settimane da quando era diventato Dittatore e stava già lentamente cominciando a prendere la forma che aveva immaginato, ora, però, non sarebbe più servita a nulla. Solo a quella triste vista si rese pienamente conto dell'immensità di ciò che aveva perso e, invaso da una furia che non ricordava di aver mai provato prima, si scagliò con violenza inaudita contro tutte le cose che si trovò a tiro: rovesciò un tavolino che aveva fatto intagliare con scene idilliache facendo cadere a terra e rompere i colorati balocchi che vi erano posati sopra, distrusse il lettino di legno chiaro che stava ancora costruendo lui stesso, strappò le delicate tendine di pizzo bianco lavorate a mano e avrebbe di certo continuato nella sua opera distruttrice se due forti paia di braccia non lo avessero circondato da entrambi i lati e trattenuto a stento. -Basta!- gli gridò nelle orecchie una voce che gli era nota quanto la propria. -Questi oggetti non ti hanno fatto niente di male e di certo non sono in grado di difendersi. Se hai bisogno di sfogarti fallo con qualcuno che può tenerti testa!- continuò suo fratello con una nota di amara ironia nella voce. -E tu lascialo andare una buona volta! Non ho bisogno del tuo aiuto e mi pare che nessuno abbia richiesto i tuoi servigi, guardia.- disse poi con disprezzo rivolgendosi chiaramente a Marco Bello. Trascorsero parecchi secondi senza che succedesse una qualunque cosa , mentre la tensione nella cameretta distrutta cresceva a dismisura, prima che Cosimo sentisse il braccio sinistro libero e la porta sbattere segnalando che la guardia se n'era andata. Il Dittatore non disse nulla per riprendere Lorenzo per il suo comportamento nei confronti di quello che lui ormai considerava uno dei suoi più cari amici. Semplicemente in quel momento non era abbastanza lucido perchè gli importasse di qualcuno che non fosse Andrada. -Ora tu vieni con me fuori dal Palazzo. Non intendo dare a Selene altri motivi di preoccupazione.- concluse quindi suo fratello prima di cominciare a trascinarlo a viva forza in giardino. -Avanti! Fammi vedere il peggio che sai fare.- lo incitò dopo averlo spintonato lontano da sè ed essersi messo in posizione quando ormai si trovarono in mezzo ad un ampio campo appena rischiarato da poche fredde stelle e da un flebile spicchio di luna crescente. Il freddo invernale pungeva loro le guance e penetrava come un coltello attraverso il sottile tessuto delle camicie mentre i due si studiavano immobili. -Dai non fare quella faccia da donnicciola di bordello! Cosa c'é, ora non fai più il duro? Sei arrabbiato, ferito? Beh, ti dico qualcosa che potrebbe sorprenderti parecchio: lo siamo tutti fratellone! Non sei il centro del mondo quindi smettila di comportarti da idiota e fai l'uomo per una volta nella tua vita.- vociò il minore dei Medici guardando Cosimo con sfida. Questo non riusciva a credere a quello che sentiva. -Tu non sai niente! Hai capito?- urlò con rabbia prima buttarsi su Lorenzo. - Sei solo un bambino viziato e capriccioso che non ha mai davvero sofferto per nulla in vita sua perché ha sempre avuto ogni cosa su un piatto d'argento. Non hai nessun diritto di giudicarmi! Tutto quello che ho fatto ha sempre avuto per fine il bene di questa Famiglia, le ho dedicato anima e corpo in ogni istante. Scusami tanto se il mondo mi è crollato addosso da un momento all'altro!- non aveva mai perso il controllo in quel modo ma le parole di suo fratello lo avevano punto nel vivo ed era stanco di essere quello responsabile, colui che manteneva il controllo in ogni situazione. -Se questo è davvero il meglio che riesci a fare evidentemente non hai le qualità e faresti meglio a farti da parte.- furono le dure parole del minore dei Medici e non appena ebbe finito di pronunciarle Cosimo tirò un pugno che beccò in pieno la mascella dell'altro. Quest'ultimo non si scompose più di tanto e fu rapidissimo a rispondere a sua volta. Ma il giovane Dittatore era assistito da quel genere di forza che pervade coloro che sono completamente in preda alla rabbia e hanno superato di parecchio il limite del buon senso e non ha più alcun tipo di inibizione quindi in poco tempo riuscì ad atterrare il fratello minore. Solo dopo averlo colpito più e più volte si rese conto che questo non stava più rispondendo e con orrore capì finalmente quello che Lorenzo stava facendo per lui. Lo aveva insultato e sfidato solo per farlo sfogare e non appena la consapevolezza di ciò ebbe rischiarato la sua mente offuscata scattò in piedi allontanandosi bruscamente come se il corpo di suo fratello lo avesse bruciato. Gli doleva lo zigomo sinistro e aveva le nocche della mano destra ricoperte da piccole ferite laddove la pelle si era aperta ma il più giovane dei Medici era ridotto di gran lunga peggio e quando si rialzò a sua volta emise un gemito soffocato. -Perché l'hai fatto!?- gridò Cosimo non appena i loro occhi si incontrarono. Lorenzo sputò una boccata di sangue prima rispondere -Ne avevi bisogno-. La semplicità con cui lo disse fece imbestialire il primo che lo gelò con quel terribile sguardo che gli trasformava le iridi in schegge affilate di cristallo. Passarono lunghi istanti a sfidarsi con lo sguardo prima che il maggiore gli si avvicinasse con fare minaccioso e lo abbracciasse con forza, sorprendendo se stesso per primo. -Sei un idiota.- fu l'unica frase che sfuggì dalle labbra serrate di Cosimo mentre stringeva a sè il fratello. Non si erano ancora staccati quando il rumore di un cavallo al galoppo si diffuse nell'aria grigia che preannunciava l'imminente arrivo di una nuova alba. Erano tornati a cercarlo. Ancora. Lorenzo percepì chiaramente i muscoli delle spalle di suo fratello contrarsi per il nervosismo e si affrettò a rassicurarlo. -Pensa ad Andrada. Di Firenze mi occuperò io. Comunque non posso tornare al fronte e lasciarvi soli in questo momento.- disse con fermezza stringendogli con forza le spalle. Aveva un occhio nero e già la mascella cominciava a gonfiarsi e, quando si voltò per andare ad accogliere i messaggeri, Cosimo notò che teneva le spalle curve e gli tremavano le mani ma nel suo sguardo aveva letto una nuova determinazione e mentre tornava a vegliare sua moglie capì che quello non era più il suo fratellino distratto e con la testa perennemente tra le nuvole. La morte di Giovanni e la guerra prima e quella nuova tragedia poi avevano cambiato anche lui.
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I Medici
FanfictionSelene Salviati e Andrada de' Albizzi non potrebbero essere più diverse: popolana l'una, nobile l'altra; fragile e ingenua l'una, forte e coraggiosa l'altra. Eppure le loro vite saranno destinate a incrociarsi quando entrambe entreranno in contatto...