"La Pace"

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*UN MESE E MEZZO DOPO*

POV: ANDRADA
Tutte le campane della città echeggiavano contemporaneamente e i suoni che si sovrapponevano allegramente servivano ad annunciare la lieta notizia a tutti i cittadini. Per le strade si udivano canti di gioia e brindisi ad ogni angolo: "la guerra è finita" era la frase che ricorreva di bocca in bocca fin dall'alba. L'esercito fiorentino rientrava all'interno delle mura della città circondato dalle acclamazioni del popolo in festa. In realtà la guerra non era stata esattamente vinta: c'era stato un solo vero scontro armato finito praticamente alla pari e poi un accordo segreto stipulato con Nobili. Il fautore della rivolta di Lucca aveva, infatti, accettato di ritirare le proprie truppe e riportare la città toscana alla precedente condizione di vassalla fiorentina in cambio di un perdono totale e della carica di governatore a vita. Da Polenta, rimasto ormai solo e vedendosi circondato da nemici su ogni fronte, aveva, a sua volta, abbandonato il campo di battaglia ed era tornato a rintanarsi con la coda tra le gambe a Ravenna anche se tutti sapevano che non era finita lì e che certamente stava covando vendetta per quello scacco. -Viva il Dittatore! Viva i Medici!- era il grido più spesso ripetuto: quella dell'accordo segreto infatti era stata un'idea di Cosimo e il sollievo per la conclusione di un conflitto che avrebbe potuto rivelarsi catastrofico per la popolazione, già indebolita da una carestia ormai alle porte e dovuta a quella perpetua siccità, aveva fatto dimenticare a tutti i lunghi giorni in cui il giovane Dittatore aveva trascurato completamente gli affari della città che aveva giurato di proteggere e guidare. D'altronde Lorenzo lo aveva sostituito egregiamente proseguendo il suo progetto e coprendo abilmente l'assenza del fratello maggiore. Soltanto i pochi ammessi a Palazzo Vecchio erano a conoscenza del breve scambio di guardia tra i due Medici ed era stata loro imposta la massima discrezione. Il mandato di Dittatore di Cosimo si sarebbe concluso entro un paio di giorni e presto si sarebbero riprese le tradizionali istituzioni politiche ma i Medici erano stati abilissimi nel condurre la loro politica di propaganda, infatti avevano fatto ricadere su se stessi tutti i meriti e la famiglia usciva da quella guerra rafforzata come non mai. La notizia dell'aborto di Andrada era prevedibilmente trapelata e perfino il popolino ne era a conoscenza ma loro dovevano mostrarsi forti e uniti per consolidare quel potere che avevano tanto faticosamente conquistato. La nobildonna comprendeva benissimo il valore della ragion di Stato e dell'importanza di diffondere la giusta immagine quindi anche lei era lì in Piazza della Cattedrale, splendida nel suo abito avorio fasciato perfettamente sul seno e intorno alla vita nuovamente sottile e slanciata da un nastro nero con sulle spalle elegantemente drappeggiato un mantello di velluto scuro come una notte senza luna e foderato di seta viola, i capelli neri, lasciati sciolti ad arte, le ricadevano in delicate onde oltre la vita e sembravano quasi brillare di luce propria nei deboli raggi di quella mattinata invernale. Lei e Cosimo sedevano immobili e altezzosi su due meravigliosi scranni intagliati posti in cima alla scalinata di Santa Maria del Fiore. Selene stava in piedi alle spalle dell' ingombrante seduta di Andrada e le teneva una mano delicatamente poggiata sulla spalla: sarebbe potuto passare agli occhi di chiunque come un gesto casuale ma in realtà dalla calda stretta di sua sorella la giovane comprendeva benissimo che stava cercando di farle forza. E le era estremamente grata. Non sapeva come ma in poche settimane il loro rapporto sembrava essersi rovesciato ed ora era lei ad avere bisogno del suo aiuto per non andare in frantumi definitivamente e Selene sembrava rendersene perfettamente conto perché in ogni occasione ingoiava le lacrime che, per sua natura, era portata a versare e rinchiudeva la debolezza in un cassetto della sua anima per starle accanto. Per simmetria Lorenzo si era posizionato ritto alle spalle del trono di Cosimo: indossava l'armatura completa con sopra una tonaca con l'emblema dei Medici finemente intessuto sul petto e la spada lunga al fianco: in quel momento l'apparenza era fondamentale e quello di cavaliere era il ruolo che più si addiceva per tradizione a un secondo figlio. La piazza era straripante ma in quel momento la guardia cittadina riuscì finalmente a far stringere la folla per creare un passaggio sufficiente alla tappa finale dell'esercito in marcia trionfale. Le truppe vennero annunciate centinaia di metri prima dalle trombe e dal martellare dei tamburi militari così come dalla crescente agitazione dei cittadini alla loro vista. Per primo venne suo zio: splendido come lo stesso Marte, il dio classico della guerra, nella sua armatura dorata in piedi su un carro aperto trainato da quattro cavalli bianchi, e al suo seguito sfilarono i nobili, poi i cavalieri e per ultimi i numerosissimi fanti. Una stretta familiare le fece distogliere lo sguardo da quella che considerava una misera farsa, utile senza dubbio ma squallida. Cosimo le aveva preso la mano e le stava accarezzando le nocche con movimenti circolari del pollice. Doveva averle visto tremare le mani. Ricambiò la stretta anche se una parte di lei avrebbe desiderato respingerlo, non voleva che lui toccasse quelle mani sudice del sangue del loro unico figlio, e si concesse di guardarlo per un breve istante con la coda dell'occhio: sembrava uno di quegli imperatori ritratti sulle antiche monete romane conservate con cura nell'archivio della città. I ricci castani sostenevano una corona di foglie di alloro dorate e scendevano in piccole onde sul collo rasato di fresco sfiorando il colletto di pelliccia di soffice ermellino della cappa porpora che gli era stata donata assieme al titolo di Dittatore. Era splendido. E pur non avendo nelle vene nemmeno una goccia di sangue aristocratico emanava un'aura di nobiltà invidiabile a cui senz'altro contribuiva la struggente malinconia che i suoi occhi azzurri non riuscivano a celare e l'eleganza invidiabile dell'atteggiamento. Ebbe un lampo: la visione di un altro giovane uomo con quegli stessi occhi seduto su uno scranno simile ma che sorrideva con impertinenza e soddisfazione scrutando il brillante destino che lo avrebbe aspettato. E per un momento un sorriso sincero comparve sulle labbra della Dittatrice, fulgido come la stella del mattino. Fu solo un istante e, prima ancora che quella immagine meravigliosa e tanto reale da poterla questo sfiorare sfumasse del tutto, la crudele realtà le crollò addosso congelandole il sorriso e facendola impallidire. Il gelo dalle labbra si diffuse a tutto il suo corpo e dovette chiudere gli occhi e prendere lunghi respiri prima di calmarsi e riprendere la maschera di serena altezzosità che aveva indossato con tanta cura per il momento. L'aver trascorso tutta la vita tra la finzione e gli inganni della nobiltà di sangue le venne in soccorso e riuscì a riacquistare il controllo del suo volto prima che chiunque se ne accorgesse. L'istante in cui aveva deciso di impegnarsi a tornare a vivere dopo l'improvviso gesto di Selene aveva anche accettato la sofferenza che ne sarebbe derivata ma non era quello il momento. Ormai si prospettava che la festa pubblica si protraesse ancora per le lunghe perché venti minuti più tardi suo zio, seguito a pochi passi dal resto degli ufficiali, era appena salito sulla piattaforma dove stavano loro e Cosimo si era alzato per onorarli come dovuto. Andrada si sentiva spossata e avrebbe solo desiderato andare a rifugiarsi nell'angolo più buio di Palazzo de' Medici per piangere tutte le sue lacrime in solitudine ma sapeva di dover attendere e si rassegnò all'inevitabile. Fu soltanto quando udì un flebile sospiro e la voce alterata di suo fratello che intimava alla giovane moglie di andare a riposarsi che si voltò leggermente e notò il sudore freddo che imperlava le tempie di Selene e il modo in cui spostava il peso da un piede all'altro accarezzandosi il pesante pancione. -Vai a sederti in carrozza, Selene. Hai bisogno di riposare lontano dagli occhi di tutta questa gente- sussurrò dopo aver attirato l'attenzione della sorella toccandole il braccio. -Non posso. Tu ti stai comportando egregiamente nonostante le grande sofferenza che ti attanaglia il cuore. E' la prima volta che metti piede fuori del Palazzo dopo... e sei fantastica... Voglio essere degna di te e del nome che porto, sono stufa di essere l'anello debole della catena. Non scapperò solo per un po' di stanchezza.- rispose piegando leggermente il capo verso di lei. Andrada notò che Lorenzo alzava gli occhi al cielo, esasperato. Immaginò che stesse cercando di convincerla da tempo, con scarsi risultati. -Falla finita. Non è questione di debolezza, sei incinta all'ottavo mese di gravidanza. Fidati di me nessuno noterà che te ne stai andando. Quando ti faccio cenno vai!- esclamò allora decisa, inchiodando con gli occhi la ragazza. Le permise di distogliere lo sguardo solo dopo che ebbe annuito. -Attraversa Santa Maria del Fiore ed esci della porta posteriore. La carrozza è parcheggiata proprio lì davanti.- aggiunse. Pochi minuti dopo Cosimo aveva terminato il suo discorso e stava consegnando dei riconoscimenti quindi lei approfittò del momento. Non appena Selene, seguendo le sue istruzioni, si voltò per entrare nella Cattedrale si alzò con grazia dallo scranno e cominciò a scendere lentamente i gradini alla base dei quali era radunato il popolo di Firenze. Tutti gli occhi erano puntati su di lei, quasi ipnotizzati dal suo incedere incredibilmente elegante e dal sorriso che si era impressa sul volto. Sentiva dietro le spalle anche lo sguardo stupefatto e preoccupato dei due Medici ignari di quali fossero le sue intenzioni. Giunta alla base dei gradini la folla si aprì in modo sponteneo come il biblico Mar Rosso al cospetto di Mosè e degli ebrei in fuga dall'Egitto e lei camminò in mezzo a loro senza fretta accarezzando le teste di tutti i bambini che incontrava e stringendo le mani callose e incrostate di sporco frutto di ore e ore di lavoro massacrante di tutti gli adulti che si accalcavano per guardarla da vicino e toccarla. Qualcuno le porse dei fiori invernali, qualcuno le sussurrò parole di rammarico per la sua perdita ma tutti la acclamarono e lei a tutti sorrise. Alla vista di quei volti, scavati dalla fame e dalle dure condizioni, raccolti tutti insieme per festeggiare la vittoria, commuoversi per lei e sentendo nelle loro parole di conforto e nelle benedizioni una sincerità sconosciuta al mondo in cui era nata e vissuta la finzione si trasformò in realtà e lei provò una pace in cui ormai non sperava più. In seguito tutti avrebbero lodato la sua bontà e avrebbero discusso con orgoglio di quello che aveva dato a quelle povere persone, Selene le sarebbe stata grata per aver pensato a lei, ma ciò che nessuno avrebbe mai capito era quello che loro le avevano inconsapevolmente regalato. L'avevano fatta sentire viva, l'avevano fatta essere, anche se per poco tempo, la vera Andrada. La parte di sé che credeva morta la notte in cui il suo primogenito aveva lasciato quella terra che non aveva mai avuto il privilegio di conoscere. Ma quei pochi minuti avevano allargato la breccia creata da Selene in una fredda mattinata di un mese e mezzo prima. Mentre tra le mura di Firenze si festeggiava la ritrovata pace un'omonima benedizione cominciava a germogliare nel petto di Andrada.

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