"Ars oratoria"

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POV: COSIMO

Cosimo osservava con un miscuglio di nostalgia e noia il sole basso sull'orizzonte attraverso una delle vetrate di Palazzo della Repubblica. Erano passate ore e ore da quando il consiglio ristretto dei Dieci di Balia si era radunato in quella ampia sala per discutere a porte chiuse gli ultimi avvenimenti e prendere le decisioni che i fatti richiedevano. Erano soltanto loro dieci. Non era stato ammesso nessun altro, nemmeno i servi, e il giovane uomo sedeva annoiato sul suo scranno foderato di velluto con un calice di cristallo riempito per metà di vino bianco ascoltando solo distrattamente le parole dei più influenti uomini politici di Firenze che si urlavano addosso come avrebbero potuto fare dei macilenti ragazzini di strada per un pezzo di pane. Avevano i volti paonazzi e Rinaldo de' Albizzi si era persino alzato in piedi per minacciare Palla Strozzi mentre l'altro gesticolava come un ossesso in risposta. Gli occhi del giovane Medici incontrarono per un istante quelli di Niccolò Uzzano: l'unico altro uomo che come lui non stava partecipando attivamente alla discussone e Cosimo pensò che stava invecchiando male e troppo in fretta. Lo ricordava come era un tempo quando da bambino suo padre lo portava con lui in Repubblica perché cominciasse a prendere confidenza con la politica: un uomo che aveva già superato gli anni più fiorenti della maturità e aveva le tempie e la barba striate di grigio ma ancora vigoroso e capace di mettere a tacere chiunque altro con poche parole. Dello statista e dell'oratore straordinario che era stato anni prima rimaneva ormai solo un anziano con i capelli completamente bianchi e lo sguardo stanco e acquoso. Era ancora un politico notevole e influente, un uomo saggio e dall'intelligenza acuta, ma tutti quegli anni di discussioni, inganni e grandi responsabilità che pesavano come macigni sulle spalle lo avevano fatto invecchiare in modo prematuro. Guardandolo l'ex Dittatore non poteva evitare che il pensiero gli volasse a suo padre, sui ricordi di quello che Giovanni de' Medici aveva detto e fatto in quella stessa sala e sulle fantasticherie di come sarebbe potuto essere se quel giorno non avesse bevuto il veleno che avrebbe dovuto uccidere lui. Chissà se anche suo padre sarebbe invecchiato in fretta come Messer Uzzano. "Medici! Smettetela di fissare il vuoto come un balordo ubriaco e prestate attenzione. Sto parlando con voi." la voce di Andrea Pazzi lo riscosse brutalmente da quei tristi pensieri. "Pensate forse che ci siamo dimenticati come niente fosse il fatto che avete deciso così di testa vostra di trasformare la Cattedrale principale della nostra splendida città in un accampamento ambulante per quei pezzenti senza nemmeno degnarvi di consultarci prima?!" continuò ad inveirgli contro con la sua voce stridula e Cosimo sentì che quella sera avrebbe dovuto fare sicuramente i conti con un brutto mal di testa. "Vi ho già spiegato il motivo della mia decisione. E se non sbaglio vi ho anche ripetuto varie volte che non c'era il tempo di convocare un consiglio. Sono ore che discutiamo qui dentro senza aver raggiunto nessun risultato e in quel momento quelle povere persone scosse da una catastrofe e rimaste ferite e prive di tutti i loro beni non potevano certo attendere ulteriormente." gli rispose Cosimo con lo stesso atteggiamento freddo e impassibile per cui era ormai diventato famoso. "Non guardatemi con quell'espressione di sufficienza! Avete abusato del vostro potere e preso una decisione che andava ben oltre le vostre competenze. Dovreste ricordare che non siete più Dittatore, quella era soltanto una carica temporanea dettata da una situazione di emergenza. Ora avete la stessa valenza di ognuno di noi, tenetelo bene a mente." c'era una sfumatura palesemente minacciosa nel tono di voce di Pazzi ma Cosimo decise di ignorarla. Gli rivolse un sorriso che sembrava più il ghigno di un predatore e che non aveva nulla di allegro prima di rispondere. "Non ho mai avuto la pretesa di un'autorità superiore alla vostra e sono certo che ognuno dei Dieci di Balia avrebbe agito esattamente come me se si fosse trovato sul posto in quel momento. Il nostro motto non dice forse che noi siamo al servizio di Firenze e non viceversa?" sapeva di aver colpito nel punto giusto: aveva scelto con cura le parole e nessuno avrebbe potuto contraddirlo senza mettere al contempo in discussione il corpo stesso dei Dieci e con esso le istituzioni della città. Andrea Pazzi fu costretto a stringere i denti e a restare in silenzio ma Cosimo fu molto attento a non mostrare alcun segno di soddisfazione per quella piccola vittoria oratoria, c'erano delle leggi non scritte in politica che tutti indistintamente rispettavano, un codice molto simile a quello cavalleresco per parecchi versi che imponeva di non mostrarsi mai superbi o compiaciuti se non si voleva ottenere in cambio rancore e vendetta. Era un terreno pericolante e addentrandovisi bisognava prestare grande attenzione ad ogni passo. D'altronde, come gli aveva sempre ripetuto suo padre quando si lamentava per le interminabili lezioni di retorica, la parola era l'unica arma degna di uno statista e poteva essere molto più pericolosa ed efficace di qualunque lama. Il giovane Medici sapeva che quello era il momento opportuno per presentare la sua richiesta: era stato chiamato a intervenire nella disputa e ormai non poteva più tornare indietro perché non gli si sarebbe ripresentata un'occasione tanto propizia. Avrebbe voluto avere suo fratello accanto a sé perché la sua sola presenza sapeva infondergli coraggio e il desiderio di non deludere le sue aspettative aveva il potere renderlo più sicuro di sé e deciso ma sapeva bene che non poteva caricare i suoi cari di responsabilità che erano soltanto sue in quanto capofamiglia. Aveva condiviso tanto con loro ma quello del potere era un peso che doveva sobbarcarsi da solo. Dopo aver fatto un paio di respiri profondi per essere certo di avere il totale controllo sulla sua mente si era, quindi, alzato in piedi e aveva sollevato la mano destra in alto con il palmo completamente aperto in un antichissimo gesto che si diceva venisse usato dai mitici oratori dell'Atene classica per richiedere formalmente la parola durante un'assemblea nell'agorà. Era per tutti loro un segno solenne e carico di significati ma poco usato e di certo abbastanza insolito da attirare immediatamente l'attenzione di tutti. Cosimo aveva valutato bene la reazione che avrebbe provocato su quegli uomini educati nella venerazione per il mondo classico: aveva bisogno che il suo discorso trovasse il terreno più fertile possibile nel Consiglio. Le cose andarono proprio come aveva previsto e tutti si zittirono immediatamente e si concentrarono su di lui con un misto tra stupore e curiosità dipinto sui visi accaldati per le accese discussioni che si erano susseguite. "Ora che abbiamo ancora una volta e più attentamente chiarito le situazioni passate e presenti bisogna che i custodi di Firenze pensino al futuro e a ciò che ancora deve essere fatto." esordì solo quando fu certo di aver catturato l'attenzione di tutti. "Sono passati giorni dalla sfortunata catastrofe che si è abbattuta sulla nostra splendida città radendo praticamente al suolo un intero quartiere. Giorni da quando alle vittime più sfortunate di questo terribile accidente sono state tributate le giuste esequie. Giorni da quando i frati dei conventi vicini si occupano di coloro che sono rimasti feriti senza tregua o compenso, mettendo anzi a loro disposizione i miseri frutti dei loro piccoli orti. Giorni, infine, trascorsi senza che noi, le loro guide e i loro protettori designati, ci decidessimo a intervenire per donare finalmente a questi cittadini colpiti da una sorte avversa la giusta speranza. Il tempo degli indugi è finito. Lo Stato è come un corpo umano: ogni cittadino ne rappresenta una piccola ma fondamentale parte e noi, che siamo la mente che anima e mette in moto questo corpo, dobbiamo seguire quello che è un naturale e giusto istinto di autoconservazione e curare la ferita che su di esso è stata inflitta." Cosimo percepiva con chiarezza ogni espressione sui volti che componevano il suo uditorio e sapeva di averli totalmente catturati e avvinti al suo discorso come marinai imprescindibilmente attratti, seppure a malincuore, dal canto delle sirene. Per lui il tempo si era dilatato tanto da permettergli di riflettere ogni parola, di soppesarla con attenzione e di inserire pause d'effetto nel flusso di frasi che scorreva dalla sua voce suadente in modo da dar loro il tempo di assorbire a fondo ogni sfumatura. "È giunto il momento di mostrare al mondo intero che la forma migliore di governo è la nostra, che Firenze è l'Eldorado e l'unica e vera erede della Res Publica Romana." concluse chiudendo il cerchio. Aveva realizzato una costruzione perfetta giocando le sue carte nel migliore dei modi possibili e presentando la situazione dal punto di vista più utile al conseguimento del suo obiettivo come gli era stato insegnato dei migliori retori. Colse il sorriso ammirato e consapevole di Messer Uzzano e seppe prima ancora che si passasse alla votazione di aver vinto. Pochi minuti dopo la proposta di ricostruire il quartiere popolare a spese della città era passata con sette voti favorevoli a fronte di due contrari e di un astenuto.

Mentre, dopo la conclusione di quella seduta straordinaria dei Dieci di Balia, tornava a casa in sella a Bucefalo non poteva evitare di sorridere da solo come un bambino felice. Gli sembrò di scorgere della perplessità nell'espressione dell'uomo che aveva preso per alcuni giorni il posto di Marco Bello come sua guardia personale ma a Cosimo non poteva importare di meno cosa potesse mai pensare di lui. Il giorno seguente o al più tardi quello ancora successivo il suo più fedele amico e Andrada sarebbero tornati da Venezia e quell'uomo sarebbe tornato al suo solito incarico. Non vedeva l'ora di raccontare alla sua famiglia tutto e mentre imboccava il cancello di Palazzo de' Medici si chiese se valeva la pena scrivere una lettera a sua moglie ma si disse che con ogni probabilità lei lo avrebbe raggiunto in carne ed ossa prima che la posta facesse in tempo a consegnargli una sua risposta.

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