"Nessuno fu abbastanza pietoso da ucciderla"

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Scusateci... ma dovevamo.

POV: ANDRADA

Cosimo era tornato da quasi un mese a Palazzo e mancavano poche settimane a Natale ma Andrada non lo vedeva più spesso di quando si trovava ancora all'accampamento. Andava a palazzo Vecchio, che era stato scelto come sede della sua dittatura provvisoria, la mattina prestissimo e tornava quando l'oscurità era ormai calata da diverse ore. A volte venivano a chiamarlo anche a notte fonda mentre dormivano per aggiornarlo sugli sviluppi della guerra se giungevano notizie importanti o a presiedere assemblee straordinarie. Era dimagrito e sul suo volto pallido risaltavano in contrasto le profonde occhiaie livide, frutto delle moltissime notti insonni. Andrada di giorno in giorno era sempre più preoccupata per lui ma si sforzava in tutti i modi di non darlo a vedere e di essere la sua forza. Spesso rimaneva in piedi ad aspettarlo anche solo per avere l'occasione di dargli un bacio e scambiarci due parole prima che lui si chiudesse nel suo studio per continuare a lavorare fin quasi all'alba o, nelle poche notti in cui gli impegni lo permettevano, crollasse esausto sul letto senza nemmeno avere la forza di togliersi i vestiti. In quei rari e preziosi momenti lei passava quasi tutta la notte a guardarlo con le lacrime agli occhi e il cuore carico di angoscia: benché fosse fiera di lui, del grande potere che aveva ottenuto, dell'impegno sovrumano e dell'instancabile dedizione che riservava alla loro amata città, sentiva che non avrebbe potuto reggere a lungo il peso della responsabilità che quell'immane onore comportava. Aveva perfino messo in pausa le lezioni con mastro Brunelleschi perché non riusciva a concentrarsi su niente e le sembrava di star solo facendo perdere tempo prezioso al geniale architetto. Anche il modo in cui lei stessa veniva trattata era enormemente mutato, era sempre stata rispettata e onorata perché erede di una delle famiglie nobili più importanti di Firenze ma ora era diventata per il suo popolo qualcosa di molto simile ad una regina e come tale tutti la trattavano e si aspettavano che si comportasse. Nella sfilata seguita al ritorno di Cosimo in città in qualità di Dittatore i due erano stati portati in trionfo su una spettacolare carrozza aperta decorata di velluto e pellicce di ermellino e trainata da sei meravigliosi purosangue neri come la pece per permettere a tutti i cittadini di rendere loro i dovuti onori e inneggiare alla loro salute. Suo marito aveva provato a evitare quell'inutile ostentazione ma il neonato Senato che aveva preso temporaneamente il posto del corpo dei Dieci di Balia e si era allargato al numero di trenta membri era stato irremovibile: Firenze doveva mostrarsi più forte e splendida che mai di fronte alla diplomazia internazionale se voleva intimorire i propri nemici e rendere più propensi ad alleanze gli altri Stati. Inoltre il popolo, che era stato costretto a subire una nuova pesante tassa per poter sostenere la guerra e che si andava ad aggiungere alla siccità che ormai li tormentava da mesi, aveva bisogno di guardare con ammirazione ad un idolo. Aveva bisogno di un nuovo eroe in cui credere e che li avrebbe condotti alla vittoria. Il giovane Dittatore aveva dovuto ammettere che il Senato non aveva tutti i torti nel sostenere quello sfarzo estremo ma si era promesso che non si sarebbe limitato ad apparire come un eroe della sua gente indossando splendidi gioielli e mantelli porpora ma li avrebbe anche salvati concretamente e avrebbe sfruttato l'improvviso potere che gli era piovuto addosso per agevolarli in qualunque modo possibile. Ogni volta che usciva in strada Andrada doveva farsi accompagnare da una scorta di almeno cinque guardie e due ancelle gettavano petali di rosa di fronte ai sui piedi mentre tutti si inchinavano reverenti al suo cospetto. Tutto ciò ben lungi dal lusingarla la innervosiva moltissimo con grande divertimento di Selene che la prendeva in giro ad ogni occasione tanto che la giovane dittatrice aveva preso l'abitudine di evitare a tutti i costi qualsiasi uscita non assolutamente necessaria e a consumare il suolo del giardino interno di Palazzo de' Medici a forza di camminare nervosamente avanti e indietro senza sosta. Perfino la sua amata e solitamente sempre dolce e serena sorella era diventata in quelle settimane malinconica e irritabile a causa dalla preoccupazione per Lorenzo che era tornato in quel mese solo una volta a Firenze e si era trattenuto per al massimo un paio di giorni prima di tornare sul fronte. La povera ragazza non poteva contare nemmeno sul conforto del fratello che, come una trottola impazzita, faceva continuamente avanti e indietro tra Firenze e Lucca per portare le lettere e le notizie di Lorenzo dal fronte. La tensione in casa si sarebbe potuta tagliare con un coltello e tutti gli abitanti si sentivano soli anche quando si trovavano in una stanza piena di gente. Ad aggravare il tutto si erano aggiunte delle strane complicazioni nella gravidanza di Andrada che ormai soffriva di dolorose fitte al ventre, nausee e un atroce mal di testa per cui era stata costretta a chiamare un frate guaritore prima e un medico poi che però non avevano saputo come aiutarla e le avevano semplicemente consigliato infusi di piante medicinali e unguenti naturali con cui massaggiarsi la pancia. Di tutti quei preoccupanti sintomi però lei non aveva voluto dire nulla a suo marito per non dargli ulteriori motivi di preoccupazione e ne aveva tenuto all'oscuro perfino Selene incontrando di nascosto gli uomini di scienza e i guaritori perché sapeva che la sorella, pensando di farlo per il suo bene e con le migliori intenzioni, ne avrebbe sicuramente parlato con Cosimo. Era arrivata perfino a imporre con durezza il silenzio assoluto alle serve e al resto del personale del Palazzo a cui non poteva nascondere gli incontri assolutamente segreti con uomini estranei. Una volta aveva colto per sbaglio una conversazione tra due giovani servette che, bisbigliando con indignazione, facevano congetture se la Signora avesse cominciato a tradire il Dittatore approfittando delle sue frequenti assenze dovute agli impegni politici e non aveva saputo se ridere o piangere. Per fortuna era intervenuta a quel punto Michela a sgridare aspramente le due e ad accusarle di essere buone solo a spettegolare sciocchezze togliendo Andrada dall'imbarazzo di decidere se rivelarsi o fingere di non aver udito nulla. Sentiva di poter scoppiare da un momento all'altro ma trovava una certa consolazione nel parlare spesso al bimbo che si agitava dentro il suo ventre per cercare di calmare almeno lui. Aveva anche scoperto che la musica contribuiva a tal fine molto più di qualsiasi medicinale le fosse stato consigliato e, con gioia di Selene e di tutti gli altri abitanti del Palazzo, suonava la sua arpa dorata ogni giorno a lungo cimentandosi in sempre nuove e più complesse e struggenti armonie. Quella sera il cielo era scosso da fragorosi tuoni e inquietanti fulmini illuminavano quasi a giorno quel cielo nero di luna nuova. Benché fosse passata oramai la mezzanotte, Cosimo ancora non tornava da Palazzo Vecchio quindi, colta da uno dei suoi terribili e ormai fin troppo frequenti mal di testa, Andrada si coricò con una pezza bagnata sugli occhi nella speranza di trovare un minimo di sollievo. Non si rese nemmeno conto di essersi addormentata perché le sembrarono passati solo pochi istanti dal momento in cui aveva chiuso gli occhi quando un dolore sconvolgente la riscosse improvvisamente dal torpore in cui era calata. Non aveva mai provato niente di anche solo lontanamente paragonabile e non capiva, non riusciva a trovare un senso a ciò che le stava accadendo. Era come se un qualche mostro infernale si divertisse a sbranare le sue carni, strappandole con brutalità le viscere e, nonostante il dolore le offuscasse del tutto la mente, sentì distintamente uno straziante urlo in grado di far ghiacciare il sangue nelle vene anche al più insensibile degli uomini. Fu solo in un secondo momento, con ulteriore orrore, che si accorse che quel grido di disperazione proveniva proprio dalla sua bocca e che qualcuno stava contemporaneamente chiamando aiuto con la voce tremante per il terrore. Per un intervallo infinito non ci fu nient'altro. Solo quella insopportabile tortura e le sue stesse grida. Nient'altro, neanche il tempo. Passarono secoli, millenni, prima che finalmente quell'agonia diminuisse in modo graduale permettendole di rendersi conto di tre cose contemporaneamente: che il punto da cui proveniva quel pulsante dolore era una parte imprecisata del suo basso ventre, che il letto su cui era stesa era completamente bagnato da una sostanza piuttosto calda e appiccicosa e che intorno a lei varie voci si urlavano addosso e molte persone si affaccendavano lì vicino, sfiorandola qualche volta. Ma la consapevolezza che le soggiunse nel momento stesso in cui riuscì ad aprire gli occhi le fece sembrare nulla la sofferenza che prima l'aveva quasi schiacciata e desiderare con tutta se stessa di tornare in quel doloroso oblio. La realtà era sopraggiunta troppo in fretta: il suo bimbo innocente che non aveva ancora visto la luce del sole non avrebbe mai potuto aprire gli occhi sul mondo. Era morto prima ancora di nascere e con lui Andrada sentì che era volata via anche la sua stessa anima e le sembrò che nient'altro avesse un senso. Non aveva più voce o forze per urlare ma un verso strozzato continuò a lungo a uscire dalle sue labbra mentre lacrime cocenti ma silenziose cominciarono a scendere sulle pallide gote della ragazza. Cosimo era lì accanto a lei e le sussurrava parole di conforto tenendole la mano mentre lacrime di disperazione bagnavano anche il suo volto. Anche Selene era lì. A lei però in quel momento non importava nulla di loro, non riusciva nemmeno a metterne a fuoco i volti. Voleva solo morire ed era quasi certa di averlo ripetuto più volte ad alta voce, di averli perfino implorati: sentiva che non valeva la pena di sopravvivere a un altro battito del proprio cuore. Nessuno fu però abbastanza pietoso da ucciderla subito e porre fine a quella immane sofferenza.

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