"Spine" (seconda parte)

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POV: COSIMO

Dopo aver fatto vari respiri profondi come per calmarsi e farsi coraggio, prese finalmente a parlare con la voce incrinata. "Ho ucciso io il nostro bambino." esordì. In un primo momento Cosimo non comprese il senso di quella frase e si limitò a fissarla con le sopracciglia aggrottate ma quando ne afferrò il significato il suo cuore perse qualche battito e fu solo quando Andrada proseguì il suo discorso, senza mai alzare gli occhi da terra, che si tranquillizzò capendo che erano soltanto i suoi sensi di colpa a parlare. Si affrettò a contraddirla e a rassicurarla ma lei reagì con una rabbia che non le aveva mai visto prima. "Fammi finire! Dopo aver sentito tutto quello che ho da dire non sarai più tanto pronto ad assicurarmi che i miei sensi di colpa sono immotivati." scandì con una calma a dir poco spaventosa che fece correre un brivido freddo lungo la colonna vertebrale di Cosimo. Gli sembrava di star osservando lo scintillio ingannevole di un lago ghiacciato sotto i raggi del sole, un momento prima che quello stesso ghiaccio si spaccasse e ti inghiottisse nella profondità congelata delle sua acque. "Nelle ultime settimane prima dell'aborto comparvero alcune strane complicazioni che mi fecero preoccupare tanto da decidere di rivolgermi ad alcuni medici e guaritori. Nemmeno loro però seppero dirmi cosa mi stava succedendo di preciso: supposero dopo varie visite che l'iniziale mancanza dei sintomi che solitamente tormentano le donne in stato di gravidanza si fosse tradotta in un ampliamento delle stesse nella seconda parte. D'altro canto non era mai capitato loro un caso come il mio quindi mi consigliarono di approfondire ulteriormente la questione ma io a quel punto avevo già preso la decisione di non farvi sapere nulla perché non lo ritenni grave e non volli darti motivi di inutile preoccupazione in quella situazione tanto complessa. Scelsi di continuare a incontrare i guaritori di nascosto e imposi loro il silenzio e la massima discretezza, non ne feci parola nemmeno con Selene. Dopo l'aborto seppi di dovertelo dire, mi dissi che era tuo diritto conoscere la verità e sapere che razza di mostro ero diventata e che ero stata io la causa principale della nostra infelicità. Meritavi di sentire queste parole mesi fa ma non ho mai trovato il coraggio di dirtelo. Vedevo come temevi che io ti odiassi. Non sai quanto ti sbagliavi. Sei tu ad avere tutto il diritto di ripudiarmi. La verità è che non potevo sopportare di leggere nei tuoi occhi un amore immeritato e che tu anche solo sfiorassi la mia pelle, inconsapevole di star accarezzando un mostro. Io non potrò mai perdonare me stessa quindi capisco benissimo che nemmeno tu potrai mai farlo. Era anche tuo figlio e io l'ho ucciso con la mia stupidità." man mano che parlava la maschera di pacatezza che aveva cercato di indossare era crollata miseramente a pezzi e lacrime di disperazione erano tornate a scorrere senza sosta sulle sue gote pallide e sull'ultima frase il tono della sua voce si era abbassato al punto che Cosimo fece fatica a sentirla. Un ricordo della prima infanzia a cui non ripensava da moltissimo tempo si fece prepotentemente spazio nella testa del giovane: doveva aver avuto non più di sei anni e, dopo essere sfuggito alla vigilanza della sua nutrice, impegnata con una freddatura del fratellino, che aveva molto impensierito tutti a Palazzo, si era arrampicato su uno dei meli nel giardino interno per cogliere uno di quei bellissimi frutti non ancora completamente maturi. Giunto ormai in prossimità del suo obiettivo si era però sporto troppo e, perso l'equilibrio, era precipitato giù: ne era uscito meglio di quanto chiunque potesse sperare, con qualche brutta contusione e una caviglia rotta che a volte nelle giornate di cattivo tempo faceva ancora sentire qualche piccola fitta. Quello che, però, non avrebbe mai dimenticato era stata la sensazione di perdere qualunque appoggio e il vuoto allo stomaco nei lunghissimi istanti in cui si era sentito precipitare. Quando la sua mente confusa riuscì finalmente a elaborare le parole pronunciate da sua moglie, per la prima volta più di diciannove anni dopo quell'episodio, si sentì la terra sfuggire da sotto i piedi e gli sembrò di precipitare in una voragine senza fine come quel giorno. Si sentiva perso, smarrito nell'immensità dell'accusa che Andrada aveva fatto a se stessa. Totalmente destabilizzato perché aveva sempre pensato all'aborto come a una tragedia imprevedibile e inevitabile che si era abbattuta sulla loro felicità come un fulmine a ciel sereno, un terribile e crudele scherzo del destino ma mai, nemmeno per una volta, anche solo negli angoli più remoti della sua mente, era giunto a concepire l'idea che ci sarebbe potuto essere un modo per evitarlo se solo i segnali che erano stati concessi loro fossero stati colti nel modo giusto... Sapeva che Andrada si stava addossando anche colpe che non aveva e che probabilmente, covando quella consapevolezza errata senza condividerla con nessuno per tanto tempo, era vicina ad un punto di non ritorno e che lui doveva assolutamente reagire, rassicurarla per aiutarla a uscirne. Sapeva tutto questo e avrebbe davvero voluto dire o fare qualcosa ma si sentiva raggelato perché la verità era che non riusciva a non pensare che lei avrebbe dovuto dirlo, che lui aveva il diritto di sapere, che per quell'errore ora entrambi stavano pagando un prezzo altissimo. Era arrabbiato, furioso come non era mai stato in tutta la sua vita e il suo corpo agì quasi di spontanea volontà: non si rese conto di quello che stava facendo finché il fastidio alle nocche divenne dolore vero e proprio ma anche allora non si fermò. Continuò a prendere a pugni il muro crepato in vari punti e incrostato di muschio della casupola abbandonata cui Andrada si era poggiata con la schiena quando era crollata prima della sua sconvolgente confessione, a pochi centimetri da lei, finchè non si rese conto che ormai sua moglie singhiozzava piano, totalmente sfiancata dalle sue stesse emozioni, completamente rannicchiata su se stessa: sembrava volesse rimpicciolirsi tanto da occupare sempre meno spazio fino a sparire dalla faccia della Terra. Non solo non la stava aiutando ma probabilmente l'aveva persino spaventata con la sua ira violenta. Finalmente, dopo mesi, la vide davvero e capì. In quell'istante di fulminante lucidità comprese perché era tanto arrabbiato e scosso ma la certezza che ne derivò non lo fece sentire affatto meglio. Era furioso con lei, ma la cruda verità era che non la incolpava di non aver fatto abbastanza per salvare il loro primogenito o per non aver condiviso con lui qualcosa che non aveva alcun diritto di nascondergli. No, dopo la rivelazione di Andrada aveva cercato si mentire a sè stesso. Non riusciva, però, a continuare a farlo perché la ragione per la quale era quasi impazzito era stata solo l'idea che lei avesse messo al primo posto il suo benessere trascurando il proprio, che avesse cercato di proteggere lui mettendo a rischio se stessa. "Come hai potuto farmi questo? Per due volte. Lo hai fatto per due volte, Andrada! Non capisci quello che sei tu per me?! Come hai potuto essere così stupida da pensare che nascondermi che tu fossi in pericolo avrebbe potuto evitarmi della sofferenza? Se tu... se tu fossi... saresti potuta... a causa dell'aborto..." esplose cogliendola di sorpresa: sbraitava in modo sconnesso, balbettando quasi, in preda ad un panico cieco e incontrollato non riuscendo ad articolare in modo coerente il turbinio confuso dei suoi pensieri agitati. "Ti rendi conto che se tu fossi morta su quel letto io sarei morto di dolore prima ancora che il calore abbandonasse il tuo corpo? Dici di amarmi ma per ben due volte tenti il suicidio! Perché in entrambi i casi di questo si è trattato, è inutile far finta di niente ed evitare l'argomento in tutti i modi come abbiamo fatto fin'ora: non so cosa è avvenuto di preciso in quel bagno ma ricordo benissimo le condizioni in cui ti ho trovata. Da allora mi tormenta l'incertezza se tu abbia preso la decisione di fermarti prima che fosse troppo tardi o se semplicemente fossi svenuta prima di completare la tua opera e ora scopro che non era nemmeno la prima volta che sceglievi di porre la tua vita sul filo di un rasoio! Pensavo che lo avessi compreso anche tu: c'è una catena che lega le nostre anime e se tu dovessi reciderla io non esisterei più. Hai forse dimenticato le parole del rito nuziale: vuoi unire la tua vita alla mia? È questa la domanda che ci siamo rivolti e per me è così. Letteralmente. Dimmi perché mi fai questo quando sai bene che tu sei la mia unica ragione di vita! Spiegamelo perché io non riesco proprio a capirlo." le scandì a pochi centimetri dal volto pallido e gonfio di pianto quasi implorandola. "Non lo so. Quando si tratta di te non riesco mai a ragionare... in modo coerente." riuscì a sussurrare lei con quegli occhi neri come gli abissi più reconditi dell'Universo, solitamente così magnetici ed espressivi, vuoti. "Non ho scusanti. A volte penso che se questo matrimonio non fosse mai stato combinato e noi non ci fossimo mai incontrati saresti stato meglio. Ti ho rovinato la vita." continuò poi mentre lacrime silenziose tornavano a scenderle lungo le gote scavate dalla disperazione. "Ti sei pentita?" le domandò lui a bruciapelo col cuore in gola. "No! Non pensarlo mai, ti prego." gli rispose con decisione e Cosimo si sentì subito meglio leggendo la sincerità nei suoi occhi. "Sai credo che tu abbia ragione. Ho appena scoperto che forse avrei potuto evitare la morte di mio figlio ma la cosa non mi sconvolge come dovrebbe. Quello che davvero mi ha dato il colpo di grazia è stato scoprire quanto vicino sono stato al perderti. Sarei stato probabilmente un pessimo padre perchè si dovrebbe amare i propri figli al di sopra di ogni cosa ma io non riesco nemmeno a immaginare di poter amare chiunque quanto te. Se la morte mi desse la possibilità di riavere la sua vita in cambio della tua non ci penserei due volte a rifiutare. Il vero mostro dei due sono io semmai." disse prendendo le mani di sua moglie tra le sue e baciandole con dolcezza. Il tormento chiaramente percepibile nella sua voce. "Non mi conosci abbastanza se pensi che potrei mai odiarti. Tu sei il mio più grande punto debole e questa consapevolezza a volte mi spaventa ma non posso farci niente, ho troppo bisogno di te." le sussurrò tanto vicino da vedere il proprio riflesso negli occhi di lei. La guardava in modo rassicurante, come si potrebbe fare con un animale selvatico per non spaventarlo, mentre faceva scorrere le mani sulle sue braccia fino alle spalle e poi ancora più su per fermarsi sul suo viso sul quale cancellare coi pollici le ultime lacrime solitarie che ancora vi brillavano come diamanti incastonati nella roccia. "Tu non sei un mostro e... forse non lo sono nemmeno io. Dobbiamo solo imparare dai nostri errori e aiutarci a vicenda per curare le nostre ferite. O per lo meno per alleviarne il dolore." ammise lei con un sorriso triste prima che Cosimo facesse unire con forza le loro labbra. Lorenzo e Selene li attesero inutilmente per pranzo. Quelle infatti furono le ultime parole che si dissero prima di essere travolti dalla passione che avevano represso per mesi e la casupola abbandonata fu il silenzioso teatro del loro ricongiungimento. I due amanti non sentirono il freddo pungente né il fastidio del duro pavimento impolverato perché niente in quel momento esisteva per loro al di là della pelle e del calore dell'altro.

Angolo autrici:
Scusate il ritardo ma siamo impegnatissime 😭😭 Stiamo facendo il possibile 😙

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