"Fuochi"

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POV: ANDRADA

"Ahi! Questa scotta tantissimo..." si lamentò sommessamente Andrada sentendo l'acuto dolore che la pietra, resa incandescente dal fuoco, le generò a contatto con la delicata pelle del basso ventre. Cercò istintivamente di sottrarsi a quella pena ma la donnona che le stava accanto la immobilizzò, con ben poca delicatezza, allo scomodo lettino su cui era adagiata per evitare che facesse cadere a terra le pietre. Sapeva che era una donna perché le era stata presentata come la moglie del didaskalos, come questo amava farsi definire, ma in lei non si poteva cogliere nulla di femminile: era parecchio più alta del marito, aveva un collo taurino, spalle larghe e braccia muscolose, poco seno e nessuna forma. Possedeva perfino un folto paio di baffi che avevano fatto inorridire di disgusto la ragazza la prima volta che l'aveva vista. Andrada si era detta di non poter giudicare una persona soltanto della prima impressione e aveva provato a conversarvi gentilmente ma poi aveva scoperto in lei una cattiveria e una rozzezza che l'avevano sconvolta perfino più del suo aspetto fisico. "Non vi agitate, mia signora, vi supplico. Il mio è un lavoro di estrema precisione, non avete idea di quanto è difficile trovare gli snodi della vita. Pensate che presto sarà tutto finito e stringete i denti, vostra grazia altissima. Qualche altra seduta e il calore che normalmente il ventre di una madre deve possedere per ospitare la formazione di una nuova vita, e che il vostro ha sicuramente perso, tornerà e un erede sano come un pesce e forte come un toro vi crescerà dentro. Ve lo assicuro. Sono un vero professionista io, non come quei ciarlatani che si spacciano per maghi e alchimisti. Io uso metodi scientifici ed empirici e i risultati sono sempre assolutamente certi. Vi ho sicuramente raccontato di come i miei servigi siano stati utili alla corte di Francia!" cercò di incoraggiarla il sedicente didaskalos, un omino basso e calvo che alla ragazza sembrava un furetto, mentre si affaccendava per la sudicia stanzetta, che aveva avuto il coraggio di definire suo studio, per attizzare il fuoco e porre nuovi sassi sulla fiamma viva. Era quasi una settimana che si sottoponeva ogni giorno a quella che aveva cominciato a considerare un'inutile tortura senza risultati. Il primo giorno, quando suo zio lo aveva presentato a lei e Cosimo raccontando che una sua conoscenza di un certo prestigio economico e sociale glielo aveva raccomandato calorosamente, era stata entusiasta. Se c'era qualcosa che non andava nel suo corpo, come aveva a lungo temuto, ora avrebbe potuto rimediare agli errori della Natura. Col trascorrere dei giorni e lo sbollire della decisione e sicurezza iniziale si era resa conto che forse Cosimo aveva avuto ragione a sconsigliarle di provarci. Era stata troppo ingenua. Testardamente non aveva ascoltato nessuno di quelli che avevano provato a farle cambiare idea: la speranza aveva accecato le sue capacità di distinguere un ciarlatano da un vero uomo di scienza. Certo non sarebbero state delle pietre incandescenti poste sul suo ventre a renderla fertile se non lo era. "Basta. Toglimele di dosso." ordinò con tono imperioso fulminando quell'insignificante omino con gli occhi. "Vostra signorile... signorilità, ve l'ho già spiegato, qualche altro minuto e avremo finuto. Le scienze necessitano di...- "Toglimele in questo stesso istante di dosso e dì a questo mostro di lasciarmi o giuro che mi metto a gridare e ti assicuro che le guardie che sono qui fuori hanno ricevuto ordini ben precisi da mio marito per quanto riguarda la mia incolumità." lo minacciò decisa visto che tardava ad obbedire. Ormai si sentiva ribollire dentro la rabbia: quell'uomo aveva messo a dura prova la sua pazienza durante gli ultimi giorni con le sue cure campate per aria. Era infuriata con se stessa per essersi lasciata ingannare tanto a lungo e non riusciva a capacitarsi di come se ne fosse resa conto solo in quel momento. "Va... va bene. Francesca, lascia andare la nostra illustre signora. Evidentemente oggi abbiamo esagerato, voi siete una donna delicata e avete bisogno di cure meno brutali, sono stato uno stupido. Ma non vi preoccupate, vostra... immensità, troverò un modo più consono per curare la vostra sterilià. Voi tornate domani alla stessa ora e troverete la soluzione pronta, ho già molte idee... sì idee empiriche... assolutamente sostanziali, e lavorerò tutta la notte per voi..." cominciò a blaterare a ruota libera mentre toglieva con le mani, coperte da stracci umidi e tremanti per l'agitazione, le pietre. Andrada non lo lasciò finire e, appena fu liberata, si alzò attenta a non far scivolare il telo di lino che le copriva il seno e andò a rivestirsi dentro alla fatiscente stanzetta da bagno che aveva usato anche nei giorni precendenti. In pochi minuti fu presentabile e senza dare a quell'individuo insulso il tempo di aggiugere altre sciocchezze se ne andò come una furia sbattendo la porta alle sue spalle. Le due guardie cui Cosimo aveva affidato la sua incolumità la guardarono come se le fosse spuntato un terzo occhio sulla fronte e il suo nervosismo crebbe "Beh che avete da fissare voi due? Andiamo a casa." esclamò acida e i due uomini scattarono a eseguire gli ordini con delle facce talmente preoccupate che in un momento diverso la ragazza avrebbe potuto trovare tutta quella situazione persino buffa. Non era il momento giusto, però, quindi si limitò a seguirli in cupo silenzio e a salire sulla carrozza senza nemmeno lamentarsi come al solito di quanto odiasse viaggiare su quella traballante scatola su ruote. Alcuni minuti dopo la vista di Palazzo de' Medici e il pensiero dell'imminente bagno caldo che si sarebbe potuta concedere a breve la fecero sentire subito meglio e sbollire in parte il nervosismo tanto che, congedandosi dalle due guardie, una volta scesa dalla carrozza, le salutò in modo affabile per cancellare almeno in parte il comportamento imperdonabile che aveva mostrato poco prima nei loro confronti: in fondo quei due non avevano alcuna colpa se la sua vita andava a rotoli ed erano solo capitati nel posto sbagliato al momento sbagliato. Il suo sforzo però non diede i frutti sperati perché il vederla tanto gentile dopo averli quasi sbranati appena pochi minuti prima contribuì solo a sconvolgerli maggiormente e alla ragazza non sfuggì l'occhiata sconvolta che si scambiarono benché avessero cercato di dissimularla: probabilmente erano arrivati a considerarla una povera pazza. Andrada sbuffò rassegnata ed entrò in casa pensando che forse non avevano tutti i torti. Decise di dirigersi prima di tutto da Selene per raccontarle le sue disavventure e ricevere un minimo di conforto sperando che la gentilezza avesse la meglio sull' ilarità e che sua sorella avesse il buon senso di non ridere di lei. "Non puoi capire che giornata ho avuto!" si lamentò ancora sulla porta della stanza, vedendo Selene seduta sulla sua solita sedia a dondolo che allattava il piccolo Lorenzo. "Cos'è successo?" chiese subito dopo cambiando drasticamente tono avendo notato il pallore della ragazza e i suoi occhi lucidi. "Firenze sta bruciando. Cosimo e Lorenzo sono andati a dare una mano." furono le uniche parole che Selene riuscì a pronunciare ma bastarono a far dimenticare alla ragazza tutto quello che stava pensando prima e a costringerla a sedersi per non rischiare di perdere i sensi.

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