"Uno spiraglio di luce"

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Sofia Brunelleschi guardò Selene con un'espressione estremamente solenne. "Sono riuscita a farlo addormentare. Mi raccomando, non fare troppo rumore o si sveglierà!". La serietà con cui aveva svolto il compito che si era autonomamente assegnata di far addormentare il piccolo Lorenzo strappava sempre un sorriso alla ragazza. "Grazie, mia piccola principessa. Non saprei come fare senza il tuo prezioso aiuto!" Le disse infatti la giovane arruffandole dolcemente i lunghi capelli castani e rendendola orgogliosa di se stessa. "Ora và a giocare fuori con gli altri, resto io qui con lui!" Continuò. Sofia non se lo fece ripetere due volte e sgattaiolò nell'ampio giardino di Villa Colchide dove le sue sorelle, suo fratello e Ormanno de' Albizzi si stavano cimentando in una versione alternativa del loro classico "principesse contro pirati" sorvegliati a vista da Elsa. Selene sospirò. Era passato più di un anno da quando aveva conosciuto per la prima volta la terzogenita di Filippo Brunelleschi il giorno in cui sua madre l'aveva smarrita durante le nozze dei due Medici e la bambina era cresciuta tantissimo. A volte le sembrava che il tempo volasse e nonostante cercasse di godersi ogni istante consapevole che non sarebbe più tornato indietro ci riusciva sempre meno: i tetri pensieri e le preoccupazioni che ormai albergavano stanzialmente nella sua testa glielo impedivano. Controllò che il piccolo Lorenzo dormisse tranquillamente nella sua culla e poi si sedette sul letto per ripiegare e rimettere in ordine alcuni abiti appena lavati. Quando poteva, aiutava ancora le serve e questo le era utile anche per tenere la mente occupata, soprattutto ora che l'incendio aveva distrutto il suo laboratorio, bruciando oltre ai disegni già realizzati anche quelli in fase di preparazione e i raccoglitori e i carboncini ancora nuovi. La ragazza non se ne era resa conto subito, troppa era stata la paura per la salute propria e dei suoi cari e l'arrivo improvviso della peste l'aveva agitata ancor di più, ma quando aveva capito che il suo piccolo mondo era andato distrutto completamente aveva iniziato a sentirne una mancanza atroce. Quello che le faceva più male però era che fra le centinaia di schizzi perduti per sempre c'erano anche i disegni della cupola e di Lorenzo che si esercitava nel combattimento, i quali le ricordavano dolcemente i primi tempi della relazione con suo marito. Non aveva confessato a nessuno però quel suo intimo dolore: si riteneva estremamente fortunata e sapeva che sarebbe risultata egoista e crudele se si fosse lamentata per dei disegni bruciati quando invece a Palazzo c'era chi non aveva avuto la sua stessa favorevole sorte. Aveva proposto al marito di Emilia di restare a lavorare per loro insieme ai suoi bambini, che sarebbero potuti crescere con i suoi figli e quelli di Cosimo e Andrada, ma l'uomo aveva rifiutato, preferendo lasciare Firenze per sempre. La ragazza non riusciva a immaginare, se non con estrema difficoltà, la sua città devastata e distrutta dalla peste e dalla siccità così come veniva descritta da Marco Bello nelle sue numerose lettere. Suo fratello le mancava, ma più che per lui, aveva paura per Cosimo. Quando il giovane aveva annunciato risolutamente che sarebbe partito per risolvere la situazione con lo zio di Andrada, lei lo aveva appoggiato e sostenuto, ma in cuor suo era devastata dal terrore che anche lui potesse contrarre quel maledetto morbo che stava uccidendo centinaia di persone. Non avrebbero sopportato un'altra perdita, nessuno di loro. Avevano bisogno di pace, avevano bisogno che tutto andasse bene. Cosimo era un ottimo politico e Selene si fidava di lui come di poche altre persone e sapeva anche che Marco non lo avrebbe lasciato solo neppure un istante ma dopo che la peste si era infilata attraverso la cortina apparentemente insuperabile di Villa Colchide contagiando sua suocera non si sentiva più sicura di nulla. Il terrore che le aveva invaso l'animo quando aveva visto i due bubboni infetti sul collo di Piccarda, così vicini alle mani di Andrada che si era istintivamente piegata per sorreggere l'anziana donna, era comparabile a quello provato quando era stata certa che sarebbe morta in mezzo alle fiamme. Ricordava di aver urlato istintivamente il nome di sua sorella e che poi, in pochissimo tempo, sia la moglie di Cosimo sia Piccarda erano state trasportate in due diverse stanze da letto e isolate da tutti gli altri. L'ex dittatore aveva fatto venire i guaritori migliori di cui si aveva notizia per assicurarsi che sua moglie stesse bene. Andrada era rimasta isolata con loro per alcuni giorni nella propria stanza da letto e quel periodo a Selene e a tutti gli altri era sembrato infinito. L'ansia li aveva lacerati e Cosimo aveva rimandato la partenza: la peste si trasmetteva con estrema facilità al contatto e il solo pensiero che la fanciulla potesse essere stata infettata li faceva impazzire. La moglie di Lorenzo aveva tentato di stare vicino a suo fratello in tutti i modi, ma non era facile calmarlo e lei stessa doveva occuparsi del suo bambino e anche evitare di provare troppe emozioni, poichè i postumi dell'incendio, sebbene ormai quasi completamente scomparsi, non l'avevano ancora abbandonata del tutto e il respiro poteva risultarle faticosissimo se solo si agitava un minimo. Per loro fortuna Lorenzo era stato meraviglioso ed era riuscito a mettere da parte la sua ansia e a stare accanto ad entrambi, sostenuto da Michela e da Elsa, e a prendersi contemporaneamente cura del bambino. La notizia che Andrada e suo figlio erano in perfetta salute era arrivata un paio di giorni dopo e Selene aveva pianto di gioia. Quando aveva finalmente potuto riabbracciare sua sorella aveva creduto che sarebbe impazzita se solo quell'agonia fosse durata poche ore in più. "Grazie a Dio stai bene, mi hai fatto morire di paura..." le aveva sussurrato stringendola forte. Cosimo era partito il giorno successivo e da quel momento, era passata circa una settimana, di lui non avevano più avuto notizie. "Stà tranquilla Andra, sono tempi difficili ed è quasi impossibile trovare un messaggero sano e fidato o qualcuno a cui affidare le lettere" tentava continuamente Selene di rassicurare la futura mamma, ma non era facile. Lo stress psicologico a cui quest'ultima era sottoposta era notevole e l'assenza di suo marito non faceva che peggiorarlo. La gravidanza inoltre non era delle più tranquille: da qualche tempo la giovane aveva cominciato ad avere delle piccole perdite di sangue che, seppur assolutamente risibili, affatto dolorose e costantemente tenute sotto controllo dai frati guaritori che erano ormai di casa alla Villa, avevano risvegliato nel suo cuore il terrore mai sopito di perdere nuovamente il bambino e tenerla il più possibile tranquilla, soprattutto dopo la partenza di Cosimo, era un compito che Selene e Lorenzo si erano prefissati. La maggior parte delle volte però a far rilassare e distrarre per un po' la ragazza ci riusciva solo il bambino. Il piccolo Lorenzo Ugo infatti era l'unica gioia della famiglia Medici. Aveva da poco compiuto cinque mesi e aveva anche imparato a sorridere, a sollevare un po' la testa e sembrava riconoscere il volto di sua madre, perchè ogni volta che i suoi occhi incontravano quelli di Selene un "uuuuh" di meraviglia fuoriusciva dalla sua piccola bocca. La giovane mamma non poteva credere che era stata a un passo dal vederlo morire e la gratitudine che provava nei confronti di Cosimo non era quantificabile. Quel piccolo esserino, così minuto e indifeso, nascondeva in realtà un grande potere. Era emozionante per lei vedere Andrada finalmente accennare un tenero sorriso quando lo stringeva fra le braccia e gli baciava teneramente il nasino. "Se solo Dio le desse la possibilità che merita sarebbe una mamma stupenda, anche se lei continua a dire che non potrà mai essere migliore di me." Aveva mormorato Selene una sera, stretta a Lorenzo mentre erano seduti nel loro letto poco prima di andare a dormire. Lui le aveva baciato il collo e l'aveva abbracciata da dietro, senza dire nulla: troppe parole nel loro rapporto erano sempre state superflue. Il giovane Medici aveva reagito come Andrada alla notizia del ritorno di Cosimo a Firenze: i due avevano un carattere molto simile ed entrambi non riuscivano a comprendere come l'ex dittatore avesse potuto volontariamente scegliere di correre un pericolo così grande. Lorenzo si era a lungo sentito lacerato da un tremendo dubbio: doveva andare anche lui in città per sostenere suo fratello e non lasciarlo da solo oppure doveva restare in campagna a prendersi cura delle donne e dei bambini? Aveva passato un'intera notte in bianco nel tentativo di decidere il da farsi, dopo aver avuto la conferma della perfetta salute di sua sorella, ma il mattino successivo aveva abbandonato quel folle proposito e aveva promesso al fratello che durante la sua assenza si sarebbe preso cura non solo di Andrada e Selene, ma anche di Piccarda. Se le condizioni della giovane nipote di Rinaldo infatti si erano rivelate tranquille quelle dell'anziana matrona peggioravano invece di giorno in giorno: nessuno riusciva a spiegarsi come avesse potuto contrarre la peste in quel luogo lontano e isolato dal mondo e tutti si tenevano alla larga dalla stanza nella quale era allettata ma nonostante Piccarda non fosse esattamente la persona più amata in famiglia sapere che si trovava in quello stato non rendeva felice nessuno e dover gestire l'ambiguità delle sensazioni provate oltre a tutti i problemi di tipo pratico non era facile neanche per una persona volenterosa come Lorenzo. A interrompere il flusso di pensieri della giovane fu il rumore di una mano che bussava sulla porta in legno che la piccola Sofia aveva in realtà lasciato aperta. Selene si riscosse e alzò lo sguardo. Quando vide sua sorella abbozzò un sorriso, cercando di non farlo sembrare troppo forzato. "Andra, vieni a sederti qui con me." La invitò indicando il letto. La moglie di Cosimo, preceduta dalla pancia ormai ben visibile, entrò nella stanza ma prima di prendere posto accanto alla sua migliore amica si soffermò accanto alla culla del nipotino. "E' così bello..." susssurrò, più a sè stessa che non a Selene. Quest'ultima sospirò e abbassò lo sguardo sulla casacca che aveva fra le mani, finendo di ripiegarla e sistemandola in un angolo accanto a sè sulla coperta. Pur essendo sempre stata una persona estremamente sensibile infatti, le risultava difficile capire come stare vicino ad Andrada nel migliore dei modi e in quel momento si sentiva talmente svuotata e triste da provare addirittura un pizzico di apatia che non la avrebbe di certo aiutata a trovare le parole migliori per alleggerire l'animo della sorella. Per sua fortuna però, non fu necessario. Andrada non aveva avuto neanche il tempo di avvicinarsi al letto infatti che l'atmosfera malinconica e quasi sospesa venne improvvisamente rivitalizzata dall'arrivo di Michela. Anche la giovane serva era naturalmente afflitta per la situazione, ma il suo eterno buonumore non era venuto a mancare e anzi, fungeva sempre da antidoto per la tristezza di tutti gli altri. "Andrada, Selene...buo-buongiorno! Scusate se non ho bussato ma sono molto...molto..." esclamò la servetta entrando trafilata nella stanza. Le due sorelle la guardarono stupefatte: ormai la conoscevano bene e il suo atteggiamento euforico non era più una sorpresa per loro, ma non ricordavano di averla mai vista con quello sguardo trasognato, gli occhi persi dietro non si sa quale fantasticheria e incapace persino di reggersi in piedi. "...felice!" Sbuffò terminando la frase che aveva iniziato entrando e lasciandosi letteralmente cadere sul letto accanto a Selene, nel posto fino a poco prima riservato ad Andrada. Fu solo quando constatò lo sguardo esterrefatto delle sue interlocutrici che si rese conto di quanto effettivamente la sua comparsa sulla scena dovesse essere sembrata folle. "Oh...oh mio Dio! Scu-scusami...non mi ero minimamente accorta che stavi per sederti!" Esclamò rivolta ad Andrada alzandosi di scatto dopo aver gettato uno sguardo preoccupato al suo ventre prominente. "Figurati Michela, non fa nulla..." rispose la nobildonna titubante, scambiandosi l'ennesima occhiata stupita con Selene che, dal canto suo, non aveva ancora proferito parola. Proprio in quel momento però, la giovane moglie di Lorenzo notò qualcosa scintillare al dito della servetta e in un attimo le fu tutto chiaro e un grande sorriso involontario le si dipinse sul volto. Andrada, colpita da quel repentino cambio d'umore, seguì con gli occhi lo sguardo della sorella e quando individuò anche lei l'anello all'anulare sinistro di Michela non riuscì ad ignorare lo scintillìo che il piccolo diamantino ivi incastonato riluceva. La serva si accorse ben presto dei sorrisi nascosti delle due amiche e tirò un sospiro di sollievo, lasciandosi cadere di nuovo sul letto, dimenticando ancora una volta Andrada e il suo stato interessante. "Menomale...ve ne siete accorte da sole! Non avrei saputo come dirvelo! Giuliano mi ha fatto la proposta questa mattina, quando sono andata...ehm...a trovarlo alle stalle per fare una...una passeggiata...non è bellissimo?" Esclamò gioiosa, riprendendosi dall'imbarazzo e mostrando alle due Medici il gioiello. Giuliano infatti le aveva seguite a Villa Colchide per prendersi cura di Aurora, Venere e di tutti gli altri cavalli delle scuderie che, trovandosi lontano dal centro del Palazzo, erano scampati all'incendio al contrario dei piccoli animaletti che vivevano invece nel giardino. L'anello era stupendo nella sua semplicità e Andrada e Selene immaginarono che il giovane stesse mettendo da parte i suoi guadagni da mesi per poterselo permettere. La moglie di Lorenzo prese delicatamente la mano dell'amica fra le sue e ammirò il prezioso che per un istante sfiorò l'anello di Anna: fu come se la grande storia d'amore fra i genitori di Marco e Selene stesse placidamente dando la sua benedizione a quella nuova storia che stava per nascere. "E' meraviglioso, davvero!" Disse la ragazza, lasciando poi che anche sua sorella lo ammirasse. Con la mano libera, Andrada si accarezzò il pancione, visibilmente commossa. Poi, una alla volta, abbracciarono entrambe la servetta. Quella notizia era come uno spiraglio di luce e di speranza che si accendeva insperato nel grande buio delle loro vite degli ultimi mesi.

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