POV: SELENE
Andrada carezzò dolcemente il collo di Aurora. "Quanto mi sei mancata, piccola mia..." le sussurrò all'orecchio, come se lei potesse udirla per davvero. La puledra dorata che suo zio Rinaldo le aveva regalato per i suoi diciotto anni era cresciuta moltissimo grazie alle cure di Giuliano e la vita in campagna sembrava averla fortificata nel fisico e temprata nella mente. "Ecco, andiamo! Non sei contenta Venere? Finalmente oggi potrò cavalcarti!" La voce di Selene, allegra e forte, giunse alla nobildonna da dietro le spalle. Quando si voltò, vide sua sorella che la raggiungeva: teneva la sua cavalla per le briglie e sorrideva serenamente. Era l'inizio di Marzo e i primi tepori della primavera imminente riscaldavano l'ampia campagna toscana. Gli alberi stavano fiorendo e i boccioli di fiori che si affacciavano timidamente sui rami erano il simbolo di una tanto agognata e desiderata rinascita. La tremenda siccità era solo un terribile ricordo, che si allontanava sempre di più dalle menti delle due giovani ogni qualvolta sentivano un uccellino cinguettare o vedevano le foglie verdi radunarsi lucide e brillanti sui rami. "Sono arrivate le nostre studentesse, mia signora! Siete pronta a dimostrare di cosa siamo capaci?" Scherzò la moglie di Cosimo rivolgendosi al suo animale. Selene fece una smorfia. "Non te la credere troppo, signora ex dittatrice, nella botte piccola c'è il vino buono." Esclamò carezzando con orgoglio il muso di Venere e alludendo scherzosamente alla sua statura meno elevata di quella dell'amica e alla stazza minore della sua cavalla rispetto a quella di Aurora. Anche la sua puledra aveva tratto giovamento dalla campagna e dalle cure attente di Giuliano ed era cresciuta sensibilmente. "Bene, allora dimostratelo. Innanzitutto, ti insegnerò come si monta. Potrebbe sembrare una sciocchezza, ma è uno dei momenti più importanti: si stabilisce un primo contatto fra cavallo e cavaliere ed è fondamentale che l'animale non percepisca fretta, agitazione o nervosismo da parte di chi sale sulla sella. Il cavallo è un animale molto sensibile e potrebbe facilmente infastidirsi." Cominciò a dire Andrada, avvicinandosi a Selene e mostrandole esattamente come muoversi in quel frangente. Sorprendentemente, la giovane moglie di Lorenzo dimostrò un'abilità innata e si issò sulla sella senza troppa fatica. Andrada strabuzzò gli occhi: sapeva per certo che Selene non aveva mai avuto in vita sua la possibilità di cavalcare e quella naturalezza nei suoi gesti era del tutto inaspettata. Un nitrito di piacere di Venere, che continuò tranquillamente a brucare l'erba e si lasciò accarezzare dolcemente il collo dalla sua padrona, confermò alla nobildonna che l'animale non si era per nulla infastidito. Selene notò la sua espressione e scoppiò a ridere. "Che c'è? Credevi che fossi una pasticciona imbranata che sarebbe caduta al primo tentativo?" Le chiese. "Oh no, assolutamente no..." Rispose la nipote di Albizzi, ancora confusa, ridendo poi a sua volta. "Aspettavo questo momento da troppo tempo!" Esclamò gioiosa sua sorella. "Bene, che aspetti? Vuoi insegnarmi a cavalcare o no? Non sono capace da sola, nonostante il mio innegabile talento!" Continuò poi, scherzando. "Adesso ti faccio vedere io!" Vociò Andrada stuzzicata da quelle parole e, ridendo, salì in un attimo in groppa ad Aurora. Dinanzi a loro si estendeva una prateria immensa, quasi infinita. Nonostante si fossero allontanate di pochi chilometri da Villa Colchide erano circondate dalla natura più incontaminata. Selene non aveva mai immaginato durante quell'anno e mezzo, nemmeno nei propri sogni più rosei, che la sua prima lezione di equitazione si sarebbe svolta in un luogo tanto bello. Si era follemente innamorata della campagna toscana e, nonostante il freddo invernale fosse andato via solo da poco, si era spesso lanciata in avanscoperta nel bosco e nella prateria, trascorrendo ore e ore in solitudine a rilassarsi, leggere, riflettere e pensare. La fine della siccità le aveva concesso anche di poter finalmente riprendere le sua amate "gite" all'esterno sotto la pioggia e Lorenzo e gli altri avevano capito fin da subito che era una battaglia persa tentare di impedirle di uscire, sebbene bardata nei suoi abiti più pesanti, per andare ad inzupparsi completamente da qualche parte. Era una strana abitudine che aveva fin da bambina e l'età adulta non l'aveva certo fatta desistere, inoltre le condizioni nelle quali si trovava, ovvero il soggiorno in aperta campagna e la pioggia che tornava dopo mesi, erano troppo propizie per impedirle di cadere in tentazione. Quel giorno era particolarmente felice. Si era svegliata di buon'ora, aveva dato da mangiare al piccolo Lorenzo, si era vestita indossando dei lunghi calzoni di suo marito sotto una veste comoda e tutt'altro che elegante e degli stivali ben piantati, aveva fatto colazione, legato i lunghi capelli, affidato il bimbo al suo papà ed era uscita allegra e spensierata insieme ad Andrada. Passando dal cancello della villa, aveva notato Michela intenta a raccogliere dei fiori nel giardino. "Selene, questi sono per la festa di domani. Ti piacciono?" Le aveva chiesto la neosposa, la cui vita matrimoniale con Giuliano si poteva indovinare alquanto felice e attiva dalla nuova luce che le illuminava il volto, mostrandole alcuni mazzolini di piccoli fiori e boccioli rilegati con nastro di raso e intrecciati in dei cestini. "Sono stupendi Michela, come al solito sei dolcissima ed efficiente!" Le aveva risposto la matrona ammirandoli. Quei fiori erano parte delle decine e decine di addobbi che tutti si stavano dilettando a realizzare in quei giorni: era infatti il 6 Marzo e il giorno successivo Lorenzo Ugo avrebbe compiuto un anno. Era un bambino bellissimo ed era cresciuto moltissimo, aveva fatto progressi, pronunciato le prime parole come "mamma", "papà", "pappa", "io", "ia", che nel suo linguaggio stentato dovevano significare "zio" e "zia", mosso i primi incerti passi e alcuni piccoli dentini bianchi, il cui arrivo aveva fatto penare non poco tutti quanti poichè innervosivano il bambino e oltre a farlo piangere lo spingevano come se fosse un cucciolo di cane a mordicchiare tutto ciò che gli capitava sotto tiro, gli illuminavano il sorriso sdentato. A Selene sembrava passato così poco dalla sua nascita che quando lo vedeva parlare o muovere qualche piccolo passo sorreggendosi alle braccia dei suoi genitori, di Michela o dei suoi zii, credeva che il tempo le stesse giocando un brutto scherzo e desiderava ardentemente che quei momenti durassero in eterno. Spesso, quando il piccolo allargava le piccole braccia e si avvinghiava ridendo al suo collo, o quando la chiamava "mamma" con la sottile voce più simile al cinguettio acuto di un uccello che a un tono umano, le si stringeva il cuore e le immagini tremende dell'incendio tornavano ad affacciarsi alla sua mente. Ormai erano passati molti mesi, lei e Cosimo si erano completamente ripresi, fatta eccezione per alcune sue difficoltà nel respirare a fondo e per le cicatrici sulla pelle di lui, ma il bambino non poteva stare meglio e la ragazza stessa veniva monitorata da medici esperti che le avevano assicurato che non avrebbe riportato ulteriori danni. Eppure, il trauma psicologico era stato immenso e alle volte ancora si svegliava urlando e piangendo nel cuore della notte e ci volevano tutto l'amore e la dolcezza di Lorenzo per calmarla. In quei momenti aveva bisogno di stringere forte a sè suo figlio, di inspirare il suo respiro, di assicurarsi che stesse bene. Quando lo vedeva sperimentare e imparare cose nuove tremava e le saliva la nausea all'idea che il suo tenero fagottino fosse stato per morire atrocemente. Era così piccolo e già aveva vissuto una terribile esperienza. I bambini però, dimenticano in fretta, e lei lo sapeva bene. A parte una leggera tosse che lo aveva tormentato nei primissimi tempi e qualche crisi incontrollata di pianto, Lorenzo si era completamente ripreso e nel vederlo così allegro e spensierato la giovane si rendeva conto che non aveva nulla da temere: il suo piccolino era vivo, sano e tremendamente felice. Cresceva bene e presto avrebbe compiuto un anno. Alla giovane sarebbe molto piaciuto poter festeggiare a Firenze il primo compleanno del piccolo, ma la nascita prematura del suo nipotino Giovanni, l'Inverno e i lavori ancora in corso di un nuovo, imponente e maestoso Palazzo Medici li avevano convinti a posticipare il ritorno in Primavera e nonostante ormai non ci fossero più ostacoli di sorta che lo impedissero si era deciso di partire direttamente dopo il compleanno di Lorenzo, per non far accavallare troppo gli eventi. In definitiva, Villa Colchide era un posto meraviglioso e il bambino lì si era completamente ambientato e, fatta eccezione per Filippo, Elsa, i loro figli e Donatello nessuno sarebbe mancato. La flautista e la sua truppa di eredi infatti avevano fatto ritorno a Firenze insieme a Filippo dopo il matrimonio di Michela: loro non avevano più motivo di trattenersi in campagna e l'architetto doveva lavorare alla cupola, ormai i lavori erano praticamente ultimati e non poteva abbandonarli proprio adesso. Anche il giovane scultore era tornato in città e a Selene piangeva il cuore per non poter avere al suo fianco delle persone così importanti in un momento tanto bello, ma si era ripromessa di organizzare un grande pranzo per festeggiare con tutti non appena fossero rientrati a Firenze e soprattutto per evitare una sfuriata di Sofia Brunelleschi che, le aveva raccontato Elsa in una lettera, quando aveva saputo che non avrebbe potuto prendere parte alla festa di Lorenzo, si era arrabbiata talmente tanto che ci erano voluti giorni affinchè si calmasse e la promessa di fare al bambino un regalo meraviglioso. "Coraggio, seguimi! Così, brava, rassicurala...mio Dio, sembra che cavalchiate insieme da una vita!" Esclamò Andrada rivolgendosi a sua sorella. Stavano percorrendo, ognuna in groppa alla propria cavalla, uno dei tanti sentieri che attraversavano in lungo e in largo quella enorme distesa d'erba e timidi fiori. Selene si sentiva completamente a proprio agio, non aveva il minimo timore e si stava divertendo da matti. Aveva aspettato per più di un anno di poter finalmente prendere lezioni di equitazione da sua sorella e ora che finalmente quel sogno si era avverato nient'altro avrebbe potuto rendere ancora più speciale quel momento. Andrada la guardava gioiosa e piacevolmente stupita: la giovane moglie di Lorenzo non sembrava affatto alla sua prima cavalcata. Selene sapeva però che quel sorriso che illuminava lo sguardo della sua migliore amica non dipendeva solamente dalla gioia di poter tornare a cavalcare Aurora e di vedere finalmente anche lei in sella alla sua Venere: c'era un motivo più profondo che le permetteva di sorridere in quel modo emozionante e tenerissimo e quel motivo si chiamava Giovanni. Il primogenito di Cosimo e sua moglie era nato il giorno di Natale nella piccola chiesetta del villaggio di campagna più vicino a Villa Colchide, dove i Medici si erano recati per assistere alla funzione religiosa. Lo spavento per il suo arrivo prematuro di due mesi e il terrore che questo potesse provocare delle complicazioni tutt'altro che risolvibili era stato spazzato via dai suoi teneri versi da neonato, dalla furia con cui stringeva le dita di tutti coloro che lo prendevano in braccio e dagli acuti gridolini che emetteva ogni qualvolta gli si rivolgevano. I frati guaritori che lo avevano tenuto sotto controllo costante avevano assicurato ai Medici che non ci sarebbero state conseguenze: il piccolo Giovanni sarebbe cresciuto forte e sano. Selene adorava vedere finalmente anche Cosimo e Andrada felici e appagati da quella grande gioia indescrivibile ed era bellissimo poter condividere con la sua amata sorella l'esperienza della maternità. Andrada le chiedeva spesso consigli. A volte le due donne si prendevano dei momenti tutti per loro e facevano lunghe passeggiate in compagnia dei propri piccoli: vederli insieme era per entrambe il piacere più grande. Dopo la smorfia terrorizzata e la reazione disperata nelle quali Lorenzo era scoppiato la prima volta che aveva visto il suo cuginetto infatti, il bambino si era abituato alla presenza di quello che doveva sembrargli un sè stesso in miniatura e le cose erano andate decisamente meglio: Andrada e Selene ridevano come due matte quando li mettevano l'uno accanto all'altro e Lorenzo allungava le braccia paffutelle a sfiorare incuriosito i riccioli d'oro del cugino. "Giovanni, impara a dire Giovanni...sì, Giovanni..." aveva tentato di insegnare un pomeriggio Andrada al nipotino tenendolo in braccio mentre, insieme anche con Cosimo e Lorenzo, lei e Selene giocavano con i bambini a terra su un grande tappeto del salotto che era stato ormai adibito a "parco giochi". Il bambino però era riuscito a dire soltanto "anni" ma la sua mente sveglia aveva collegato quella parola priva di senso al cuginetto e ogni volta che lo vedeva i suoi occhioni cangianti si illuminavano e gridava "anni", stendendo le manine verso di lui. "Direi che come evoluzione del loro primo incontro non è niente male" affermò Selene un giorno staccando dolcemente le dita di suo figlio dai riccioli del nipote, che stava decisamente tirando un po' troppo. Adorava essere zia, era una sensazione stupenda e già amava follemente quel piccolo scricciolino biondo che appena nato era lungo meno della metà del suo braccio ed in più era estremamente contenta che Lorenzo avesse un cuginetto con cui crescere insieme: con il passare del tempo la differenza d'età si sarebbe attutita e i due bambini, ne era convinta, sarebbero divenuti inseparabili. A casa con loro viveva anche Lucia, la giovane vedova figlia della donna che aveva aiutato Andrada a partorire, insieme alla sua bimba di pochi mesi più grande di Giovanni. Selene non condivideva affatto la scelta di sua sorella di non allattare il proprio bambino: per lei l'allattamento era un momento speciale ed unico al quale non avrebbe mai rinunciato ma sapeva bene che nonostante lei ed Andrada si volessero un bene profondissimo e non potessero vivere l'una senza l'altra provenivano da due mondi completamente opposti ed erano entrambe fiere delle proprie origini e nella loro intimità erano due persone diverse, con tradizioni e idee diverse: dovevano solo imparare a rispettarle senza pretendere di entrare nel mondo personale e privato dell'altra. In più, la dolce Lucia e la sua piccolina erano ospiti più che gradite e la giovane Salviati si era già profondamente affezionata a loro. Quando aveva detto alla ragazza che sarebbe stata estremamente felice se anche loro avessero preso parte alla festa di Lorenzo la nutrice era scoppiata a piangere e l'aveva ringraziata un milione di volte. La moglie del più giovane dei Medici la comprendeva bene: meglio di chiunque altro a Palazzo sapeva cosa quella povera donna doveva aver passato e a Lucia non sembrava vero che una matrona di rango le chiedesse di partecipare alla festa di compleanno del suo erede. In realtà a Selene sembrava estremamente normale che anche Lucia e la sua bimba prendessero parte al ricevimento e non aveva minimamente pensato a doverlo specificare ma per fortuna Andrada le aveva spiegato che avrebbe fatto meglio a dirglielo e per fortuna lei aveva seguito il suo consiglio. Cavalcando, le due donne si erano parecchio allontanate dal campo antistante le stalle dal quale erano partite. Andrada aveva in programma una semplice lezione iniziale nel corso della quale avrebbe insegnato a sua sorella i rudimenti dell'equitazione senza spingersi troppo in là nel bosco ma non aveva messo in conto le qualità da amazzone di Selene del tutto inaspettate e, senza nemmeno accorgersene, si ritrovarono su un ampio e bellissimo prato di narcisi. Selene trattenne il fiato estasiata. "Mio Dio..." mormorò, sconvolta dalla piacevolezza di quella visione. Scese lentamente da Venere e si addentrò in mezzo a quella distesa sterminata. "Non avevo idea che ci fosse questo prato stupendo qui...e alcuni sono già fioriti!" Esclamò Andrada osservando la scena altrettanto meravigliata. Anche lei smontò dalla sua cavalla, carezzandole delicatamente il collo e lasciandola a brucare pigramente l'erba assieme all'altra puledra. Si avvicinò alla sua migliore amica. Fra boccioli e piccolissimi narcisi appena nati spuntavano qua e là fiori grandi e formati e le due sorelle ne rimasero affascinate. "Non li avevo mai visti così da vicino..." sussurrò Selene accucciandosi e sfiorandoli con le mani. Avrebbe voluto coglierne alcuni per la festa o per adornarci i propri capelli ma non aveva il coraggio di strapparli alla terra che li aveva generati. In realtà, Firenze le mancava, ma le piangeva il cuore a dover lasciare Villa Colchide. In città non avrebbe potuto certamente avere tutta la libertà che aveva lì nè tantomento avrebbe potuto trovarvi dei campi di narciso. "E siamo solo all'inizio di Marzo, immagina cosa potrebbe essere questo posto in Estate!" Le disse Andrada, che condivideva esattamente le sue stesse sensazioni. In fondo al prato c'era un ruscello limpido dove fecero abbeverare le cavalle, poi si sedettero su delle pietre abbastanza grandi vicino alla riva, poste all'ombra di due querce secolari. Andrada raccontò a sua sorella il mito greco di Narciso, il ragazzo innamorato della propria bellezza che per riuscire a baciare la sua immagine riflessa in un ruscello vi era caduto dentro, annegando. Il fiore giallo e bellissimo che si estendeva dinanzi a loro aveva preso il proprio nome esattamente da lui. Selene adorava quei racconti e l'atmosfera era talmente rilassante che si assopì per un po'. Nessuna delle due aveva voglia di andare via, ma a casa le attendevano per pranzo e a malincuore, dopo alcune ore, dovettero lasciare quel posto segreto e idilliaco. "Ci torneremo. D'altronde, questa casa è nostra, Lorenzo ha mosso qui i suoi primi passi, è qui che è nato Giovanni. E' un luogo importante per noi. Ci torneremo!" Disse Andrada notando la malinconia nello sguardo di Selene. Quest'ultima le sorrise e, prima di salire di nuovo in sella a Venere, sfiorò un'ultima volta con lo sguardo i gialli narcisi.
"Ecco la mamma! E' tornata! Allora, come se la cava mia moglie? Quante volte è caduta da cavallo?" Esclamò Lorenzo. Le aspettava nel giardino della Villa, seduto su una panchina di legno, tenendo in braccio Giovanni. Il piccolo Lorenzo invece, giocava sull'erba con un gattino e rideva come un matto, sotto l'occhio vigile di suo padre. "Sei proprio scemo!" Borbottò Selene dandogli uno schiaffo sul braccio e stampando invece un dolcissimo bacio sulla fronte di Giovanni, prima di prendere in braccio il figlio e di farlo volteggiare più volte in aria, solo per sentire la sua risata pulita e piena diffondersi nell'aria. "Contro ogni previsione, è stata bravissima. Sembrava fosse una cavallerizza esperta da anni!" Gli rispose la nobildonna prendendo in braccio il suo bambino e stringendoselo al petto. "Cosimo dov'è?" Gli chiese poi, notando che il banchiere era solo con i bambini in giardino. "E' dentro, aveva un po' da fare, stando qui non riusciamo a seguire bene tutti i movimenti e i saldi delle filiali sparse in giro per l'Italia e Cosimo sta intrattenendo una fitta corrispondenza con i nostri collaboratori", rispose. I tre rientrarono in casa con i bambini, nonostante Lorenzo Ugo sembrasse piuttosto contrariato all'idea di dover lasciare fuori i fili d'erba, le coccinelle, il felino e le formichine con i quali si stava divertendo da matti. Il maggiore dei due fratelli Medici era seduto al tavolo del salotto con un'espressione piuttosto inquieta e aveva delle carte davanti, che non sembravano affatto i conteggi della banca. "Amore, che succede?" Gli chiese Andrada preoccupata, appoggiandogli una mano sul braccio. "Oh, siete tornate...ciao tesoro!" Esclamò baciandola e accarezzando dolcemente il nasino del bimbo fra le sue braccia. "Va tutto bene in realtà è solo che...sono arrivate le perizie sulle cause dell'incendio, da Firenze." Disse abbassando lo sguardo sulle carte. Selene si irrigidì e Lorenzo le strinse una mano. Cosimo si sedette al tavolo. "Le ho rilette mille volte, ma sono chiare e inconfutabili: l'incendio non è stato doloso." Disse. Un silenzio carico di confusione aleggiò nella stanza per alcuni secondi. Selene si lasciò andare su una sedia, mentre suo figlio, non trovando al collo della mamma le solite collane, iniziò a giocherellare con i suoi capelli e a emettere versi stridoli. "Com'è possibile? C'erano vari focolari Cosimo e tu lo sai bene. Un incendio naturale si sviluppa in un solo punto, e da lì si estende!" Esclamò Lorenzo. "Lo so fratello, ma qui è tutto spiegato. A quanto pare nessuno ha tentato di ucciderci, semplicemente l'eccessivo caldo di quei giorni ha favorito la nascita di vari focolari vicino ai caminetti, alle cataste di legna e agli infissi delle porte." Gli rispose il maggiore passandogli le carte. Lorenzo le lesse velocemente. "Maaa-mma...amma..." gridò il piccolo Lorenzo Ugo, tirando i capelli di Selene e stampandogli delle piccole manate sul volto, deluso dalla mancanza di attenzioni nei suoi confronti. Selene prese le manine di suo figlio e tentò di calmarlo, ma era turbata. Non sapeva se quella notizia fosse positiva o negativa: era convinta, in fondo al suo animo, che qualcuno avesse appiccato volontariamente l'incendio ma quelle perizie la stupivano. In definitiva, avrebbe dovuto essere una notizia positiva: nessuno aveva cercato di ucciderli, ma perchè allora uno strano turbamento, lo stesso turbamento che riusciva a leggere negli occhi di suo fratello, di sua sorella e di suo marito, le aleggiava nell'animo? Nessuno di loro ebbe tempo di pensarci: la voce allegra di Michela li chiamò per il pranzo e in poche ore tutti furono completamente assorbiti dai preparativi per la festa del giorno dopo e nessuno pensò più a quelle perizie.Nella foto finalmente il piccolo Lorenzo. Ve la dovevamo da molto tempo ed eravamo anche convinte di averla già pubblicata (che teste 😪). Meglio tardi che mai comunque. 😂
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I Medici
FanfictionSelene Salviati e Andrada de' Albizzi non potrebbero essere più diverse: popolana l'una, nobile l'altra; fragile e ingenua l'una, forte e coraggiosa l'altra. Eppure le loro vite saranno destinate a incrociarsi quando entrambe entreranno in contatto...