POV: SELENE
Grigio. Il cielo era grigio. Selene sapeva perfettamente che non significava che avrebbe piovuto, ormai la pioggia era diventata quasi come una Resurrezione: miracolosa, misteriosa, apparentemente lontana dalla concretezza del reale e della vita vissuta. Non ricordava quasi più la sensazione delle gocce che le bagnavano la pelle, nè tantomeno la sensazione di libertà assoluta che lo scroscio del temporale le dava fin dall'infanzia. Sembrava che la vacuità dell'atmosfera si prendesse gioco di una popolazione dilaniata, che volesse metterla di fronte a quell'ennesima piaga, come a voler affermare che sì, il cielo poteva essere il più plumbeo di tutti i tempi, ma che comunque non avrebbe piovuto. La giovane donna si strinse nell'abito azzurro con un movimento eccessivamente brusco, ma che non riuscì a controllare. Lei, ma soprattutto coloro che le stavano accanto, ci si erano abituati. Il suo corpo aveva preso a manifestare con scatti a volte quasi violenti il bisogno necessario che aveva di qualcosa: se aveva freddo, si gettava una pelliccia addosso con un gesto secco; se aveva caldo, solitamente la lanciava via senza ripiegarla; se aveva sete, rischiava di far cadere l'acqua dalla brocca nel tentativo di versarla nel bicchiere con estrema foga. Non lo faceva coscientemente, ma era come se il suo essere sfruttasse ogni occasione possibile per affermare la propria vita reale e tangibile, dopo essere stato a un passo dal perderla per sempre. Camminava velocemente, per quanto le sue condizioni ancora precarie glielo consentissero, per i vicoli della sua città. Aveva una mèta ben precisa: S. Maria del Fiore e i quartieri poveri che si aprivano dietro la Cattedrale. Erano passate alcune settimane dall'incendio devastante che aveva distrutto Palazzo de' Medici. Settimane di inferno, di cui Selene non aveva memoria. Trascorreva intere nottate seduta alla finestra con Lorenzo in braccio a tentare in ogni modo di rimembrare qualcosa di quei giorni e delle ore maledette che ad essi avevano portato, ma inutilmente. Nella sua mente si accumulavano solo immagini confuse, voci lontane, grida. Soltanto un elemento era costantemente presente nei suoi ricordi e, quelle poche volte in cui riusciva a riposare, anche nei suoi incubi: le fiamme. Il colore rosso era per lei divenuto insostenibile; la sola vista di un caminetto, seppur spento, la faceva impazzire. Credeva di aver guardato in faccia il Diavolo, percepiva scorrere nel suo sangue indelebile la presenza dell'Inferno. Si sentiva sporca, tremendamente sporca, come se tutto il fumo inalato nell'incendio le fluisse ancora dentro. Erano sensazioni che le giungevano però solo dal suo inconscio, come un qualcosa di troppo forte e distruttivo per poter essere ricordato ma anche di troppo grande ed estremo per non lasciare un segno indelebile. La sua memoria tornava al momento in cui si era risvegliata, in un letto troppo grande e duro perchè potesse confonderlo con il suo. Solo per un istante, un brevissimo istante di confusione paragonabile a quei pochi momenti di incoscienza e di conseguente felicità che precedono il risveglio vero e proprio, aveva creduto di essere a casa sua, accanto a Lorenzo. Ma poi si era resa conto che così non era e un terrore inspiegabile si era impossessato di lei, una paura estrema resa ancora più folle dall'assenza di qualsiasi spiegazione logica per la sua esistenza. Lorenzo, Marco Bello e Andrada avevano dovuto tenerla ferma per poterle parlare con calma. Suo marito le si era seduto accanto e l'aveva stretta forte al petto, baciandole la fronte e dicendole che andava tutto bene, che c'era stato un incendio terribile, ma che ce l'avevano fatta. Solo quando le avevano messo Lorenzo Ugo fra le braccia però, era riuscita a riacquistare il controllo di sè e a tranquillizzarsi. Le grida senza fiato di suo figlio, contrariamente a tutto il resto, ce le aveva ben impresse nella mente e quando le avevano spiegato che era solo grazie a lei se il piccolo era ancora vivo, aveva capito di aver compreso qual era il senso dell'esistenza umana: amare i propri figli, proteggerli, metterli al mondo e assicurarsi di farli crescere a qualsiasi costo, rischiando tutto. Lentamente, i racconti degli altri e soprattutto di Lorenzo l'avevano aiutata a riacquistare quelle poche immagini confuse che ora tormentavano le sue notti. La voce le era mancata per molti giorni, così come la forza di alzarsi in piedi. Erano state Michela, Elsa e Andrada ad aiutarla ogni mattina ad alzarsi, lavarsi e vestirsi ma sovente quest'ultima aveva chiesto alle altre due di lasciarla sola con sua sorella. Per Selene quei momenti con lei erano preziosi: Andrada era la sua roccia. Sapeva infatti che Lorenzo aveva vissuto un dramma psicologico immenso quanto lei, ma lui ricordava tutto. Nonostante suo marito dividesse tutto il suo tempo fra il suo capezzale, quello di Cosimo e il piccolo Lorenzo e cercasse in ogni modo di sostenerla, nei suoi occhi ancora sconvolti lei vedeva il fuoco brillare. Andrada non aveva vissuto quella tragedia dall'interno, così come Marco Bello, e stare insieme a loro era un balsamo per la sua anima ferita. Quando poi sua sorella le aveva confessato, fra le lacrime, di aspettare un bambino, lei non aveva detto nulla. Non avrebbe saputo cosa dire. L'aveva solo stretta forte a sè, con una potenza inaspettata per una ragazza indebolita da una lunga degenza e da uno stato di salute psichico devastato. Il momento più toccante era stato però quello in cui aveva rivisto Cosimo: l'ex dittatore, sorretto da Lorenzo e da Marco Bello, era riuscito ad arrivare fino in camera sua, alcuni giorni dopo il suo risveglio. "Tu hai salvato la vita di mio figlio, Cosimo. Vorrei tanto poterlo ricordare...grazie, grazie dal luogo più profondo della mia anima." Gli aveva detto, mentre lacrime di commozione rigavano il volto di entrambi. Erano riusciti a stringersi in un abbraccio, nonostante le tremende bruciature di lui e la difficoltà a respirare di lei. Cosimo aveva immaginato che quella riconoscenza che Selene provava fosse un qualcosa di troppo speciale per poter essere compreso da chi non aveva figli, tanto speciale da far passare completamente in secondo piano il fatto che lui avesse salvato anche lei e Lorenzo e lì, sulla spalla di sua sorella, aveva pregato affinchè il frutto dell'amore infinito che provava per sua moglie riuscisse a vedere la luce. Non appena il maggiore dei due Medici ebbe riacquistato quel minimo di forze necessarie per stare in piedi da solo e per poter imporre le proprie volontà di capofamiglia, non aveva voluto sentire ragioni: non sarebbe rimasto un momento in più in casa di Rinaldo de' Albizzi. Lorenzo si era dunque recato presso il quartiere commerciale ed aveva acquistato a nome di Cosimo de' Medici una piccola villa un po' distante dal centro della città. Gli attriti passati fra lo zio e il marito di Andrada infatti avevano spinto quest'ultimo a non preoccuparsi nè della spesa nè della possibile sconvenienza politica di quel gesto: il loro Palazzo non esisteva più e di certo lui non avrebbe mai accettato di far restare la sua famiglia in casa di colui che non esitava a definirlo un usuraio fino a quando non fosse stato completamente ricostruito. Andrada era ben consapevole del rapporto contrastato esistente fra i due e in più la gioia per non aver perso suo marito e la preoccupazione estrema per la vita che portava in grembo erano emozioni troppo grandi per lasciarle il tempo di polemizzare o pensare ad altro. Nella nuova casa li aveva presto raggiunti anche Piccarda. I Medici avevano tributato solenni funerali alle tre vittime dell'incendio e l'anziana matrona, nonostante avesse accettato di tornare a vivere con la sua famiglia, si era chiusa ancora di più in sè stessa dopo la morte della sua serva più fidata. La relativa pace era però durata pochissimo: solo un paio di giorni dopo il trasferimento proprio dinanzi la porta della nuova abitazione era stato trovato il cadavere di un uomo. Le grandi piaghe e le orribili escoriazioni delle pelle non avevano lasciato spazio a dubbi e quando il chirurgo chiamato d'urgenza da Lorenzo per cercare di capire per quale assurda motivazione quel corpo si trovasse lì aveva pronunciato dinanzi a tutti i Medici riuniti la tremenda parola "peste", Selene si era sentita mancare la terra sotto i piedi. La voce si era sparsa in un batter d'occhio: la siccità aveva dato i suoi frutti. Il morbo si stava diffondendo già da settimane all'interno dei quartieri più sudici e degradati della città, che le ingenti donazioni dei Medici dell'ultimo anno non erano riuscite a recuperare completamente, ma tutti all'inizio avevano pensato a dei casi sporadici di persone che venivano uccise dai batteri dilaganti in quei luoghi e dalle malattie dovute all'affollamento all'interno delle piccole abitazioni. Solo quando la situazione era peggiorata al punto da non poter essere ormai più scambiata per una casuale concatenazione di morti la città aveva preso coscienza. I Dieci di Balia, riuniti in un consiglio urgente al quale Cosimo aveva voluto a tutti i costi prendere parte, avevano deliberato una serie di provvedimenti indifferibili e in poche ore Firenze si era riempita di medici della peste e di lugubri carri destinati al trasporto dei cadaveri lontano dalle mura, dove nessuno poteva avventurarsi con il rischio di contrarre la malattia. I quartieri poveri dove il morbo era scoppiato erano stati posti in quarantena ma il giovane Medici, sostenuto da pochi altri, si era assicurato che i suoi concittadini non venissero abbandonati a sè stessi e che fossero prontamente assistiti e curati da guaritori qualificati che in passato avevano già contratto la malattia e ne erano usciti indenni e che quindi ora non rischiavano di ammalarsi nuovamente. Inoltre, erano stati allestiti due lazzaretti. "Dobbiamo andarcene di qui, il prima possibile. Firenze è irriconoscibile ormai, nelle sue strade si respirano solo morte e distruzione." Erano state le decise parole che Lorenzo aveva pronunciato una sera. I quattro Medici erano riuniti tutti insieme nella sala da pranzo della villa. Andrada e Cosimo erano seduti su un rigido divano di pelle, di fronte a loro Selene teneva in braccio il bambino che dormiva placidamente, mentre il minore dei due fratelli era in piedi, in mezzo. "Cosa? Lasciare Firenze? Spero tu stia scherzando Lorenzo..." esclamò sua moglie, visibilmente scossa dalla fermezza con cui l'uomo aveva pronunciato quella frase. Il banchiere la osservò con aria stupita, ancor più sconvolto di lei nel constatarne l'incredulità. Fu Cosimo a intervenire. "Lorenzo ha ragione, Selene. Ogni giorno che trascorriamo in questa città corriamo grandissimi rischi. Abbiamo una villa nella campagna toscana, voi non ci siete mai state, ma è grande quasi quanto lo era Palazzo de' Medici ed è immersa nel verde, vi piacerà. La peste si contagia con estrema facilità. Io e te ci portiamo ancora visibilmente addosso i segni di quello che abbiamo vissuto, Lorenzo ha solo pochi mesi e Andrada è incinta. Non rischieremo. Dobbiamo predisporre la partenza il prima possibile, già dopodomani potremmo metterci in viaggio. Ti prometto che non lasceremo i fiorentini in balìa di questo Inferno, finanzieremo i frati guaritori e la disinfestazione, ma non lo faremo da qui." Selene era ammutolita. Le sembrava folle, assurdo, abbandonare in un momento tanto difficile la popolazione che aveva rischiato di morire per salvarli, che si era mobilitata in massa per tirarli fuori dalle fiamme. Come potevano essere tutti così insensibili? Lasciare Firenze, a maggior ragione appena dopo aver comperato una nuova villa, era quanto di più insensato potesse mai immaginare. La giovane però non aveva trovato l'appoggio di nessuno: Andrada era d'accordo con i due fratelli, così come Marco Bello, Donatello, Elsa, Filippo e Michela. Dovunque cercasse sostegno, la ragazza incontrava solo dinieghi. Marco soprattutto, che era stato così vicino al vederla morta, non voleva sentire ragioni: sarebbe dovuta partire per la campagna, e subito. "Non preoccuparti, resterò io qui e mi assicurerò che i nostri concittadini abbiano tutto il sostegno e l'aiuto che meritano e di cui hanno bisogno. Li soccorrerò personalmente, sai che posso farlo. Te lo prometto." Le aveva assicurato. La guardia infatti, molti anni prima, prima ancora che lei nascesse, si era ammalato gravemente di peste, durante un'altra ondata tremenda di quel male che aveva colpito la città toscana prima dell'avvento del 1400. Per fortuna, ne era uscito indenne, ma la consapevolezza razionale che suo fratello non avrebbe rischiato nulla non aveva alcun effetto sull'animo di Selene. L'unico che, paradossalmente, sembrava condividere con lei l'idea che quella partenza fosse assurda era Rinaldo. Lo zio di Andrada infatti non aveva perso l'occasione di sbugiardare pubblicamente Cosimo e i Medici non appena si era diffusa la notizia del loro allontanamento: era convinto che la peste fosse una malattia che si diffondeva solo nei borghi putridi e che non avrebbe mai raggiunto le regali dimore dei ricchi, tacciava la famiglia dell'ex dittatore di "vigliaccheria" e aveva colto al volo l'occasione di poter scherzare, seppur in privato con pochi intimi, sul fatto che i Medici probabilmente avevano di che temere, avendo sangue popolano in famiglia. Andrada aveva tentato in tutti i modi di convincere suo zio ad andare in campagna con loro, ma Rinaldo era stato categorico. La ragazza però era riuscita a guadagnarsi l'appoggio di sua zia Alessandra e così quest'ultima sarebbe partita con lei assieme al piccolo Ormanno. Al gruppo si aggiunsero presto anche Elsa Brunelleschi e i suoi figli, mentre Filippo sarebbe restato a Firenze: la residenza campagnola dei Medici era abbastanza grande da poterli ospitare tutti. Selene aveva dovuto rassegnarsi all'inevitabile, ma la rabbia per quella decisione che le veniva imposta contro il suo volere non la fece dormire la notte successiva e la mattina della partenza, nonostante Cosimo avesse raccomandato a tutti la massima puntualità, si era alzata, vestita ed era uscita di nascosto. Non le importava nulla nè della debolezza che ancora le impediva di restare a lungo in piedi e che le causava violenti sbalzi di pressione, nausea e mal di testa, nè della stanchezza dovuta alla mancanza di sonno, nè tantomeno della peste contagiosa: voleva andare a trovare i suoi concittadini, stringere le mani dei loro familiari disperati, rassicurarli sul fatto che anche se loro erano costretti ad andare via, non li avrebbero abbandonati per nessuna ragione al mondo. S. Maria del Fiore, che ancora ospitava le vittime dell'incendio e che era stata trasformata in uno dei lazzaretti istituiti in diverse zone della città, spuntò quasi all'improvviso dietro un angolo. Due soldati presidiavano l'ingresso e un grande carretto, al quale erano legati gli inquietanti campanelli che avevano il compito di segnalarne la presenza, era fermo ai piedi dell'entrata. Sapeva che lì dentro non sarebbe mai potuta andare, ma si avvicinò ugualmente alle guardie che, avendola riconosciuta e dopo averla messa al corrente della temporanea assenza di Donatello, non esitarono a soddisfare il suo desiderio di chiamare e di far sopraggiungere dall'interno della Cattedrale due frati guaritori. Questi ultimi, profondamente stupiti nel vederla lì nel giorno in cui i Medici sarebbero dovuti partire per la campagna, la incitarono a lasciare immediatamente quei luoghi, ma lei non volle sentire ragioni e quando i due udirono la sua richiesta, ovvero quella di accompagnarla a visitare i malati e i loro familiari nelle proprie abitazioni, il loro stupore crebbe a dismisura. Cercarono in ogni modo di dissuaderla da quel folle proposito, ma Selene fu irremovibile e dinanzi al loro rifiuto categorico di "mettere in pericolo la nostra signora" affermò risoluta che non avrebbe avuto bisogno di accompagnatori e si avviò per un vicolo posteriore alla Cattedrale che conduceva ai quartieri poveri. I due frati si videro costretti a seguirla: almeno loro sapevano dove condurla per farla stare più al sicuro e lontana dal morbo. La visita della giovane Medici ai malati di peste si svolse in un'atmosfera surreale. Una folta coltre di nebbia era calata sulla città e quel grigiore indistinto all'interno del quale tutto ciò che la circondava era difficilmente riconoscibile si rispecchiava nel grigiore e nella pesantezza che attanagliavano il suo animo. Stringeva le mani a madri disperate che erano costrette a guardare impotenti i propri figli morire, le abbracciava e sentiva il suo cuore lacerarsi al solo immaginare che al suo posto avrebbe potuto trovarcisi lei e al posto dei loro bambini agonizzanti il suo piccolo Lorenzo. Ascoltò per ore le storie di padri costretti a rinunciare ad andare a lavoro per accudire le loro famiglie, visitò coppie di anziani che stavano per andarsene insieme nella Terra del Signore dopo anni vissuti in simbiosi. Quello che le faceva più male però, erano proprio i bambini. Perchè suo figlio, Ormanno de' Albizzi e i piccoli Brunelleschi avevano la possibilità di fuggire da quell'Inferno e di rifugiarsi in un luogo sicuro mentre quelle piccole anime innocenti erano costrette a morire fra atroci sofferenze? Sapeva il rischio enorme che correva, ma si avvicinò a loro e tese una mano quasi fino a sfiorarli. "Dio, proteggili." Riuscì solo a sussurrare. Parlò con i guaritori e si fece ragguagliare sulle condizioni di salute di ognuno dei malati che incontrava, sulle possibilità di guarigione che avevano e su tutti i mezzi di cui loro avrebbero avuto bisogno per aiutarli. "Le casse dei Medici sono a vostra completa disposizione. Dovete salvare tutti coloro che possono essere salvati, avete capito?" Affermò risoluta. Solo dopo ore si risolse ad andare. Non voleva lasciarli, non voleva lasciare la sua città. Improvvisamente quel pensiero, mentre i frati guaritori che con estrema tensione l'avevano accompagnata lungo tutto il tragitto la seguivano preoccupati, le provocò una vampata di calore estrema, un giramento di testa improvviso e una debolezza inaudita. Dovette appoggiarsi ad un muro per rimettere. Quando si rialzò e notò lo sguardo terrorizzato con cui i due uomini la fissavano, fu glaciale. "Tranquilli, non mi hanno trasmesso la peste, non sono un untore pericoloso. Queste sono le normali conseguenze di quel maledetto incendio, nient'altro. Mi succede tutti i giorni." Disse. Poi, senza nè ringraziarli nè aspettare una risposta, se ne andò, mentre loro la fissavano sconvolti. Era cambiata. L'incendio l'aveva segnata psicologicamente e a tratti si spaventava lei stessa per i suoi atteggiamenti ostili e poco concilianti, così lontani dall'immagine dolce e ingenua della ragazza che era solo un anno prima, ma in quel momento era profondamente arrabbiata e da sempre, quando si arrabbiava, lei si trasformava radicalmente. Nel momento in cui arrivò davanti la Villa notò un grandissimo fermento. Tre grandi carrozze, cariche di persone e di bauli pieni di vestiti e beni di prima necessità, erano ferme nel giardino antistante l'entrata, con i cavalli aggiogati e pronti a partire. Decine di servi, fra cui Michela e Lucrezia, e due soldati si aggiravano in modo frenetico nella zona, capitanti da Lorenzo e Marco Bello, le cui espressioni erano esattamente per metà furiose e per metà preoccupatissime. Fu suo marito a vederla per primo. "Selene!" Quasi gridò, attirando l'attenzione di Marco, di tutti gli altri uomini e donne che la stavano cercando e di coloro che si trovavano dentro le carrozze: Alessandra ed Elsa con i bambini e Piccarda. "Dove sei stata? Sareste dovuti partire tre ore fa...stai bene?" Chiese Marco, avvicinandosi a lei. La guardia però conosceva troppo bene sua sorella per non rendersi conto dall'espressione dei suoi occhi che era profondamente arrabbiata in quel momento. "Sono stata in mezzo ai nostri concittadini, quelli che mi chiamano "mia signora", quelli che si fidano ciecamente di questa famiglia e che sperano con forza che noi facciamo tutto il possibile per star loro vicino e per salvarli. Ho provato a spiegare a quelle persone perchè invece ce ne stiamo andando in campagna a vivere come principi fino a quando lo schifoso morbo che li tormenta non sarà scomparso e non potrà più contagiare il nostro sangue signorile." Rispose, evitando di guardare suo fratello negli occhi. Marco Bello ammutolì. Fu Lorenzo che prese allora la parola. Con sguardo torvo e sconvolto e con passo lento ma deciso si mise di fronte a sua moglie. "Che cosa hai fatto?" Sibilò, afferrandole il polso, non con violenza, ma con quella sorta di volontà di possesso che l'ira unita all'amore è capace di infondere nell'animo delle persone. In quel momento, uscirono dalla Villa anche Andrada, piuttosto affannata, e Donatello. La moglie di Cosimo, il quale non aveva potuto partecipare alle ricerche di sua sorella per la debolezza ma che ora osservava allibito la scena dalla sedia sulla veranda della Villa dov'era seduto, stava per esprimere la gioia e lo stupore nel vedere Selene ma uno sguardo di suo marito le fece capire che non era il caso. "Ah, vedo che avete fatto le ricerche in grande." Esclamò sarcastica la sorella di Marco Bello, osservandoli. "Selene che cosa hai fatto?" Ribattè Lorenzo. La ragazza lo fissò negli occhi, senza dire una parola. "Sei consapevole dell'immenso pericolo nel quale ti sei messa, vero?" Continuò lui. Aveva una strana rabbia, che lei non gli aveva mai visto, neanche quando avevano litigato all'accampamento. Una rabbia profonda, che per un attimo fece vacillare la sua certezza. "Non sei tu a dover giudicare una mia scelta, Lorenzo. Sono abbastanza grande per poterlo fare da sola. Voi, tutti voi, mi avete imposto contro la mia volontà di lasciare Firenze e i miei concittadini. Avete avuto fin troppa libertà nelle mie scelte di vita già solo con questo. Spero che tu non abbia pensato di aver sposato un burattino, perchè non sono il tipo di donna che si fa dire dal marito cosa è giusto e cosa non è giusto fare. E non lo farò mai." Rispose, liberandosi il braccio con uno scatto violento. Tutte le persone che erano lì osservavano quello scambio con il fiato sospeso. Alcuni non riuscivano neanche a tenere lo sguardo alto. Andrada dovette sedersi accanto a suo marito quando comprese, da quelle poche parole, dove Selene era stata. "Tu sei folle. Ti sei salvata...ci siamo salvati da un incendio che ha distrutto la nostra casa e ucciso tre persone pochissimo tempo fa. Ho avuto la certezza che saresti morta, ho stretto fra le mie braccia il tuo corpo inerme e ti ho giurato che non ti avrei salvata se questo avesse significato non salvare nostro figlio perchè me l'avevi chiesto tu! Mi hai detto che avrei dovuto sposare un'altra donna ed essere felice con lei se tu non ce l'avessi fatta, ho pensato di doverti uccidere con le mie mani per non farti morire bruciata viva e tu sei talmente folle da mettere stupidamente e inutilmente a rischio la tua vita in piena coscienza! Cosa c'è che non va in te?" Urlò il giovane Medici, fuori di sè. La ragazza sembrava però impassibile. "Non puoi mettermi sotto una campana di vetro perchè ho rischiato di morire. Non resterò ferma a vivere una vita passiva Lorenzo solo perchè tu hai paura di perdermi!" Sentenziò. "Se non vuoi farlo per te stessa o per me, se non ritieni la tua vita e il mio amore abbastanza importanti da evitare di compiere gesti sconsiderati, almeno fallo per tuo figlio. Vuoi morire? Bene, non posso di certo impedirtelo io. Ma se tu ti ammalassi, trasmetteresti il morbo a chiunque ti si avvicini. Non ti dico di farlo per me, o per tua sorella che è incinta, o per Cosimo che è ancora indebolito dall'incendio, perchè a quanto pare non ti importa nulla di noi. Ma potresti uccidere tuo figlio, con il tuo stupido egoismo e i tuoi atteggiamenti presuntuosi e infantili potresti ammazzare Lorenzo. E se anche questo non accadesse e morissi tu, lui non avrebbe più sua madre. E lui merita che tu viva. " Furono quelle parole, pronunciate con una freddezza quasi spaventosa e fissandola negli occhi, a farla crollare. Selene si guardò intorno, vide gli sguardi preoccupati di suo fratello, di Andrada, di Cosimo, dei suoi amici. Nel suo animo cominciò a farsi strada un dolore improvviso, lacerante come se quell'ultima affermazione di Lorenzo avesse squarciato senza pietà il muro della sua ostinazione. Lei era cresciuta senza genitori, sapeva benissimo cosa significava perderli e per la prima volta si rese conto che ora non era più completamente padrona della sua vita. Si rese conto che Lorenzo Ugo ne avrebbe sempre avuto il controllo, che avrebbe sempre influenzato le sue decisioni. Non poteva sopportare l'idea che lui non avesse più la sua mamma. Ma soprattutto, la consapevolezza di non aver minimamente pensato alle conseguenze che il suo gesto avrebbe potuto avere su di lui seminò nella sua psiche un senso di colpa che continuò a tormentarla per tutta la vita. Uccidere suo figlio. Uccidere quel piccolo essere che le era stato donato affinchè si prendesse cura di lui e lo proteggesse da ogni male. Era arrivata a tanto, quando solo poco tempo prima aveva messo a rischio la propria vita per salvare quella di lui. "Dov'è?" Domandò a suo marito quasi sussurrando. La sua espressione si era trasformata, ora nei suoi occhi non c'era più quella glacialità di prima e nonostante Lorenzo non potesse dire che la giovane avesse cambiato completamente idea sul viaggio sapeva di aver colpito nel segno e vide lentamente ma inesorabilmente la determinazione diventare presa di coscienza, terrore. Il volto della sorella di Marco Bello riacquistò un'espressione umana, vulnerabile. "Nella carrozza con Elsa." Le rispose. Andrada e Cosimo si resero conto di quanto fosse incredibilmente forte il potere dell'amore per un figlio, e si ritrovarono a stringersi la mano, covando nel cuore la stessa speranza che al contempo li terrificava. Selene deglutì, annuendo. Sapeva di non essere stata contagiata, perchè nonostante la sua determinazione, aveva seguito fedelmente tutte le indicazioni dei frati guartitori e si era tenuta sempre a debita distanza dai malati e dai luoghi infetti. Si voltò lentamente e si avvicinò a Donatello. Lui sarebbe restato. "Vorrei tanto rimanere qui, Donatello. Ma non posso. Resta a Firenze anche per me, ti prego. E abbi cura di te." Gli disse. Lui la strinse forte. "Ti prometto che andrà tutto bene", le sussurrò. Poi la giovane salutò Marco. Era la prima volta, fatta eccezione per il breve periodo che lui aveva trascorso in carcere quando erano ancora giovani, in cui si separavano. E non sapevano quando si sarebbero rivisti. Fu salutando lui che tutta la pressione accumulata finalmente esplose nell'animo della ragazza e le lacrime iniziarono a rigarle il volto. In fondo, era sempre lei, sensibile e ingenua. "Oh no mia piccola Luna, vieni qui...non piangere. Lo sai che non può succedermi nulla, e ci rivedremo presto, molto prima di quanto immagini!" Tentò di consolarla, abbracciandola e baciandola sulla tempia. La ragazza lo strinse forte e per un attimo si sentì una bambina, piccola e indifesa, che vedeva nel suo fratellone la sua unica certezza. Mai avrebbe immaginato di dover salutare Marco Bello e si staccò dal suo petto solo quando fu lui, con dolcezza, a sciogliersi dall'abbraccio. Le prese il volto fra le mani e le diede un lungo bacio sulla fronte. Lorenzo nel frattempo, per non turbare sua moglie, aveva distolto l'attenzione di tutti dai due aiutando Cosimo, insieme ad Andrada, a salire sulla carrozza. Quando finalmente anche Selene fu pronta, Marco si avvicinò alla carrozza e strinse il braccio a Cosimo. Quel gesto, il lungo sguardo che i due si scambiarono, e la carezza quasi impercettibile che la guardia fece al volto di Andrada, non ebbero bisogno di nessuna parola di commiato ad accompagnarli. Selene prese delicatamente dalle braccia dell'amica il piccolo Lorenzo e come sempre le accadeva da quando era divenuta mamma, il suo volto tenero e paffutello attenuò la tristezza di quel momento. Presto tutti furono pronti a partire e, mentre Ormanno de' Albizzi e Paolo Brunelleschi ridevano e scherzavano per la loro amicizia ritrovata, i Medici si apprestavano a lasciare Firenze, senza sapere quando l'avrebbero rivista.
Angolo autrici:
Purtroppo siamo entrate nel periodo più frenetico a scuola e da ora in poi, fino a dopo la maturità, non possiamo più garantirvi l'aggiornamento ogni due settimane che abbiamo fatto fin'ora. 😔 Noi comunque ci proveremo ma tra gli impegni personali di ognuna e lo studio infinito che ci aspetta difficilmente riusciremo a rispettare quel termine che ci eravamo prefissate quindi abbiamo ritenuto giusto avvisarvi. Grazie per la comprensione e alla prossima. ❤
STAI LEGGENDO
I Medici
FanfictionSelene Salviati e Andrada de' Albizzi non potrebbero essere più diverse: popolana l'una, nobile l'altra; fragile e ingenua l'una, forte e coraggiosa l'altra. Eppure le loro vite saranno destinate a incrociarsi quando entrambe entreranno in contatto...