"Un nuovo inizio"

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POV: SELENE

Era passato poco più di un mese da quando Andrada, obbligata da Cosimo, era uscita dalla prigione nella quale si era volontariamente rinchiusa e l'anno nuovo era iniziato, a Palazzo de' Medici, nella più totale indifferenza dei suoi abitanti. Non era più piovuto e la siccità che affliggeva Firenze, ormai sempre più preoccupante, si mescolava in modo crudele all'aridità che la morte di quella creatura innocente e indifesa aveva lasciato nell'animo di tutti loro. Cosimo era stato costretto a rendere noto all'opinione pubblica l'accaduto e le reazioni di solidarietà da parte dei cittadini e degli altri Signori non si erano fatte attendere. Il giovane dittatore stava però trascurando quasi del tutto i suoi impegni politici per poter restare accanto alla moglie e a sostituirlo egregiamente era Lorenzo, che non aveva fatto ritorno a Lucca. Selene ne era stata contenta, la presenza di suo marito accanto a lei in un momento tanto triste la rassicurava e la faceva sentire protetta, anche se era pur sempre una piccola consolazione di fronte all'immensità del vuoto che la circondava. Ufficialmente, si dava da fare. Insieme a Lorenzo partecipava in vece dei suoi fratelli a tutte le cerimonie e le celebrazioni, stringeva mani, nascondeva il suo dolore dietro sorrisi e discorsi d'ordinanza e in molti avevano cominciato a ricredersi sul suo conto, notando quanto fosse lentamente diventata meno impacciata e più raffinata. Quando la giovane tornava a casa però, e si recava sulla piccola tomba del suo nipotino a pregare, portare fiori e, più spesso, semplicemente a pensare, e si sfiorava con la mano il ventre ormai molto evidente non riusciva ad accettare quell'ossimoro insensato, non poteva comprendere come fosse possibile quella cruda dissonanza di eventi, come potesse lei, con il suo corpo, essere il caldo rifugio di un bambino che presto avrebbe visto la luce e sarebbe cresciuto circondato dall'amore più puro e come invece a così poca distanza il corpo non ancora ben formato del suo nipotino fosse sepolto sotto metri di terra fredda, solo per ora e per l'eternità. Guardava quel cumulo di erba e ripensava a tutte le volte durante le quali con Andrada avevano gioiosamente immaginato quel bimbo, a tutto quello che avevano progettato per lui, ripensava soprattutto alla notte in cui avevano saputo che il suo "Lorenzino" non sarebbe stato l'unico discendente dei Medici che avrebbe portato scompiglio e felicità nelle loro vite di lì a poco. Ricordava la gioia ancestrale di Cosimo, che gli aveva fatto aprire la porta con foga, completamente nudo. Ricordava con un flebile sorriso l'indignazione di suo marito e come fosse sparita per lasciare il posto a un'esplosione di gaiezza nel momento in cui i due sposi avevano comunicato loro quella notizia meravigliosa. Ricordava come aveva abbracciato forte Andrada, aspirando il suo profumo e stabilendo un primo contatto fra quelle due creature destinate a vivere insieme e che invece non si sarebbero mai incontrate per un crudele gioco della sorte. Più di ogni cosa però, ricordava che quella notte era piovuto per l'unica volta in quella tremenda stagione e che aveva smesso poco prima dell'alba. Ora percepiva chiaramente quell'avvenimento, con un brivido che le percorreva la schiena, come un preavviso inquietante. Ma loro erano allora troppo eccitati e felici per poter anche solo immaginare qualcosa di negativo. Non era contemplata, in quegli animi così allegri e colmi di contentezza, la minima possibilità che una disgrazia talmente tremenda potesse abbattersi sulla loro famiglia. Avevano sempre creduto che l'amore li avrebbe salvati da tutto, ma non era stato così. E la guerra si era rivelata, purtroppo, il male minore. Andrada le mancava, le mancava da morire. Come tutti, quando la nobildonna aveva finalmente messo piede fuori dalla sua stanza, Selene era stata pervasa da un moto di speranza. Certo, sapeva che non sarebbe stato facile per sua sorella tornare alla vita di prima, ma era fiduciosa e aveva cercato in tutti i modi di coinvolgerla in ogni tipo di attività che le venisse in mente: l'aveva coperta per bene e portata a trovare Venere e Aurora, le aveva fatto un ritratto, aveva cercato di farle suonare la sua arpa e di cantare per lei ma si era ben presto resa conto che Andrada, la sua Andrada, non c'era più. Al suo posto vagava per i corridoi e per le stanze del Palazzo un involucro vuoto e passivo, incapace ormai di provare emozioni, di ridere come prima, di piangere come prima, incapace di vivere. Il suo corpo era lì, inerte e la sua mente era attiva solo quel minimo che le bastava per accontentare con sufficienza le richieste di Selene, Cosimo, Lorenzo e Michela. Ma Selene non voleva questo, lei voleva che sua sorella tornasse, che combattesse, che si ribellasse all'assurda ingiustizia che l'aveva investita senza pietà ed era disposta a tutto per aiutarla. Non lo faceva per se stessa, però. O almeno in minima parte non poteva negarsi di aver bisogno della sua migliore amica, perchè in quei mesi avevano sviluppato un rapporto talmente profondo che non sarebbero mai state capaci di vivere l'una senza l'altra e in quella situazione era come se Andrada non esistesse, ma lo faceva per lei. Non poteva sopportare di vederla in quello stato: passava le sue giornate a cucire e a visitare la tomba di suo figlio, mangiava pochissimo, rifiutava di vedere tutte le persone care che cercavano spesso di farle visita come Filippo ed Elsa, i quali si erano recati spessissimo a Palazzo, e addirittura non voleva trascorrere del tempo nè con sua zia Alessandra de' Albizzi nè con il piccolo cuginetto Ormanno, a cui mancava tantissimo: si stava distruggendo in un vortice di depressione e questo Selene, che le voleva un bene indescrivibile, non avrebbe mai potuto permetterlo. Inoltre si sentiva in colpa ogni giorno di più. Non riusciva a levarsi dalla testa quell'orribile e stupido gesto di mettersi le mani di Andrada, ancora macchiate di sangue, sulla pancia la notte dell'aborto, non poteva dimenticare la sua espressione ferita, nè tantomeno riusciva a sopportare il ricordo della sfuriata che aveva fatto poco prima dell'inizio della guerra a sua sorella, accusandola di essere perfetta e predicendo che avrebbe avuto un bambino sano e perfetto mentre lei avrebbe dato alla luce un figlio terribilmente malato. Si sentiva in colpa per la sua stessa gravidanza e tentava di nascondere la sua immensa pancia con abiti larghi quando era insieme alla moglie di Cosimo ma contemporaneamente non riusciva a pensare, come d'altronde nessuna madre ci sarebbe mai riuscita, che avrebbe preferito che fosse accaduto a lei. E anche per questo stava male. Il bambino che si muoveva sempre più spesso dentro il suo corpo però, le dava forza. Lo amava di un amore che non aveva mai provato prima per nessun altro e, se doveva essere forte per Andrada, aveva capito che doveva innanzitutto iniziare ad essere forte per se stessa e per suo figlio e a smettere di pensare che quella creatura potesse rappresentare qualcosa di negativo così quella mattina, quando decise che non avrebbe più avuto senso aspettare, indossò dopo giorni un abito normale, che lasciava vedere la sua prominente rotondità. Da quando Lorenzo le aveva raccontato quello che aveva fatto per suo fratello, lasciandosi picchiare, oltre a provare un moto di profondo amore per quell'uomo che le confermava ogni giorno di più che animo immenso avesse, aveva capito che anche lei avrebbe dovuto fare qualcosa per sua sorella dato che tutti i suoi pacifici e amorevoli tentativi non avevano funzionato ed aveva finalmente trovato il coraggio di affrontarla e indossare quell'abito fu un incentivo in più: Andrada doveva accettare quello che le era successo, doveva accettare che lei, per colpa o per destino, non avrebbe potuto avere il suo bambino e doveva compiere questo doloroso passo per ricominciare a vivere. La giovane moglie di Lorenzo si avviò a passo deciso verso la stanza di sua sorella e, quando si trovò di fronte alla grande porta in legno, bussò discretamente. Non aveva in mente nè un discorso da fare nè niente di simile: avrebbe lasciato agire il suo cuore e la sua mente sperando che, guidati da un obiettivo comune, le permettessero di intraprendere la strada giusta per fare breccia nell'animo assente di Andrada. Quest'ultima, come Selene si aspettava, non rispose e così la ragazza aprì lentamente la porta. La nobildonna era seduta su una sedia a dondolo e, con uno sguardo che poteva definirsi inquietante nella staticità dell'impenetrabile espressione che lo caratterizzava, era intenta a ricamare. "Buongiorno Andra...che stai facendo?" Domandò timidamente Selene, entrando nella camera di pochi passi. La nipote di Rinaldo impiegò alcuni secondi che all'altra sembrarono interminabili per alzare il volto e fissare i suoi occhi vitrei in quelli dell'amica. "Ricamo." Disse semplicemente con una voce piatta, spettrale, che fece rabbrividire la moglie di Lorenzo. Nonostante ciò però, quest'ultima si fece coraggio e avanzò ancora di più in direzione dell'altra. "E...cosa stai ricamando?" Chiese poi, dopo un attimo di esitazione. Si rendeva conto però che la situazione era abbastanza imbarazzante e che Andrada non avrebbe mai reagito come lei desiderava che facesse se continuava a parlarle con quel tono quasi sottomesso e che lasciava chiaramente intendere il suo non voler essere inopportuna. Difatti, la giovane nobildonna non rispose e si limitò ad alzare con un gesto quasi impercettibile la bianca coperta che aveva in mano in direzione dell'amica prima di tornare a concentrare su quel lavoro monotono tutte le sue attenzioni. A quel punto ogni buona intenzione di Selene crollò, la giovane fece un respiro profondo e i suoi occhi chiari lampeggiarono: non poteva più sopportare di vedere sua sorella così, non sarebbe uscita da quella stanza senza aver almeno provato a scuoterla ed era stufa di essere gentile e servizievole, non serviva. Aveva provato a compiere un ultimo tentativo, ma non stava avendo successo e lei era arrivata al limite della sopportazione. "Adesso basta, Andrada! Smettila!" Gridò infatti. La moglie di Cosimo inizialmente restò stupita da quell'atteggiamento inaspettato e la guardò con un'espressione meravigliata e di sufficienza, ma poi abbassò di nuovo gli occhi sul suo ricamo. "Mi hai sentita? O sei anche diventata sorda? Smettila di comportarti così, smettila di far finta che io non esista, che il mondo intero non esista! Perchè noi ci siamo, io ci sono, sono qui per te ogni giorno da settimane e sinceramente sono stanca di vederti in questo stato, più morta che viva!" Continuò Selene. Non era esattamente il tipo di reazione che si sarebbe aspettata di avere, ma la frustrazione che la affliggeva ormai da più di un mese si stava lentamente trasformando in rabbia, in quella rabbia amorevole e distruttiva che solo chi ama una persona che si sta uccidendo con le proprie mani può provare. "So di aver sbagliato nei tuoi confronti, so di essere stata tremendamente indelicata e ti chiedo scusa un milione di volte per questo ma non può più essere un motivo per ignorarmi in questo modo! Non me lo merito! Io ti voglio aiutare, è così complicato capirlo? Il tuo dolore è incomprensibile per chi non lo ha provato, è immenso e ti resterà sempre dentro ma non ti ci puoi appigliare per restartene qui a piangerti addosso! Perchè fuori la vita va avanti, maledizione! Il mondo non si ferma ad aspettarti! E tu...tu ti stai distruggendo! Tu vuoi ucciderti perchè non combattere più è semplice, vero? E' molto più facile lasciarsi andare che scalare una montagna, non è così? E' più comodo restare chiusa qui a ricamare stupide e inutili coperte che uscire fuori e scontrarti con quel mondo che tu stessa mi hai insegnato a combattere per affrontare il fatto che tuo figlio non ci sia più?" Prese il lavoro di Andrada e lo gettò a terra, in preda a un impeto di nervosismo. A quel punto, la sua amica fu costretta ad alzare lo sguardo verso di lei. "Io non voglio morire, ormai ho scelto di vivere". Disse in un sussurro, senza sentimento. Quella frase e i suoi occhi così vuoti, così indifferenti, così privi di qualsiasi emozione fecero vibrare l'animo di Selene in un moto di rabbia ancora maggiore. La giovane aveva capito in quell'esatto momento che continuare a giustificare qualsiasi comportamento di Andrada con la scusa del suo immane dolore non l'avrebbe aiutata. Doveva essere brutale, ma non se lo stava imponendo, semplicemente non riusciva a comportarsi in modo diverso. "Hai scelto di vivere? Sul serio? E ti sembra vita questa?" Riprese esplodendo in tutta la sua ira, indicando la stanza attorno a sè con le braccia. "Se il tuo bambino potesse vederti ti odierebbe per quello che stai facendo a te stessa perchè nessun figlio potrebbe mai sopportare di vedere la propria madre distruggersi così ma purtroppo lui non c'è e non ci sarà mai ma ci siamo noi e noi ti imploriamo di reagire da ormai troppo tempo! Cosa c'è, è troppo comodo ascoltare solo chi non può esprimersi? Basarti unicamente su tuo figlio che non può parlare? Non è egoista da parte tua sfruttarlo per giustificare la tua mancanza di coraggio? Reagisci Andrada, dannazione! Reagisci!" Ma Andrada non reagiva, non cambiava espressione, sembrava non ascoltarla neppure. La fissava con degli occhi che sembravano dire "quando hai finito avvertimi che riprendo a ricamare". E questo fu troppo. Se pochi minuti prima aveva pensato che non sarebbe uscita da quella stanza senza aver almeno provato, ora Selene sapeva che non sarebbe uscita da quella stanza con un fallimento sulle spalle. Non se ne rese neanche conto, fu solo quando si sentì bruciare la mano e vide gli occhi della sua amica schizzare con foga verso di lei mentre si alzava con un movimento brusco dalla sedia a dondolo che si accorse di averle dato uno schiaffo. Non ebbe il tempo di pensare a nulla però, perchè Andrada si era sbloccata e stava finalmente rispondendole. "Come puoi parlare a nome del mio bambino? Come ti permetti di nominarlo tu, che fra poco tempo avrai un figlio tuo da stringere al petto, da allattare, da amare? E come puoi parlare a nome mio? Tu non sai niente!" Le disse. Selene era intimamente felice per il fatto che sua sorella stesse reagendo, ma le sue parole non potevano lasciarla indifferente e la consapevolezza di averla colpita era troppo strana per poter assumere un senso preciso. L'unica cosa importante ora per lei era non cedere, non mollare, non lasciarla ricadere nel baratro che l'aveva risucchiata e che grazie al suo gesto, inaspettatamente, l'aveva sputata via con violenza. "Certo che non so niente! Tu mi hai chiusa fuori dal tuo cuore! Dimmelo. Dimmi quello che provi, sfogati con me!" Le gridò con gli occhi lucidi. Andrada scosse la testa contrariata e la fissò. "Non posso. Se tu sapessi quello che ho fatto mi disprezzeresti, mi odieresti e non vorresti avere più nulla a che fare con me. Tutti mi odiereste." Le disse poi in tono improvvisamente calmo e controllato tanto che Selene ebbe paura per un breve istante che si sedesse di nuovo e ricominciasse a ricamare. La moglie di Lorenzo si sentiva frustrata, impotente, inutile. Il suo cuore scoppiava di affetto per la sua migliore amica, per la ragazza vivace e testarda, forte e simpatica che era stata la sua inseparabile sorella acquisita negli ultimi mesi ma quella che aveva davanti non era più la sua Andrada e il pensiero che probabilmente non l'avrebbe più stretta a sè, che non avrebbe più potuto vederla felice e spensierata la distruggeva. Non sapeva assolutamente cos'altro potesse fare ma, ancora una volta, il suo cuore e la sua mente presero il sopravvento. Allungò una mano tremante e, dopo un tempo che le era parso interminabile, finalmente intrecciò nuovamente le sue dita attorno a quelle di Andrada. "Io non potrei mai odiarti, Andra. Qualsiasi cosa tu abbia fatto. E non ho bisogno di saperlo, non mi serve. So già quanto tu sia importante per me. Non devi dirmi nulla. Io ti voglio bene così come sei. Ho solo bisogno che torni da me e soprattutto che torni da te stessa, perchè non posso più resistere nel vederti così. Ti prego Andrada, salvati. Lo puoi fare solo tu, io ormai ti ho dato tutto quello che potevo." Le sussurrò, guardando quegli occhi neri come la pece con i suoi verde smeraldo, consapevole che stavolta era davvero alla sua ultima possibilità. E funzionò. Il cuore di Andrada cominciò a sciogliersi: le parole di Selene avevano fatto breccia nel muro che aveva costruito attorno alla sua anima per proteggersi dai contraccolpi di quel dolore troppo ingestibile, l'affetto della sua migliore amica aveva finalmente creato una frattura capace di estendersi fino ai suoi sentimenti, che troppo a lungo erano rimasti celati. Lentamente, gli occhi neri come la pece si riempirono di lacrime. Selene le voleva bene e aveva appena fatto per lei qualcosa di inestimabile. E lei l'aveva fatta soffrire per settimane e solo ora se ne stava rendendo conto. Fu come se la nebbia che l'aveva avvolta per tutto quel tempo si diradasse piano piano, lasciandole intravedere il mondo che fino ad allora aveva egoisticamente ignorato. Abbassò gli occhi sul ventre di sua sorella. Non aveva mai notato quanto fosse cresciuto. Lo accarezzò con una mano, delicatamente e proprio in quel momento il bambino scalciò, come per salutarla. Selene tratteneva il fiato ma Andrada non si rattristò, nè si scompose. "Già mi adora!" Disse sorridendo. A quel punto anche il cuore della moglie di Lorenzo finalmente potè lasciarsi andare. Sorrise con l'animo finalmente libero, mentre due veloci lacrime di gioia le solcavano il volto. "Manca poco no? E poi Lorenzino sarà fra noi!" Continuò Andrada, prima che il pianto le impedisse di dire altro. Istintivamente, abbracciò forte la sua amica e si rese conto di quanto anche a lei fosse mancato quel contatto. "Grazie...grazie" le sussurrò all'orecchio mentre, scossa dai singhiozzi, si sfogava. Selene le accarezzò la schiena e si godette ogni istante di quella stretta. Non riusciva a crederci. La sua Andrada era lì, per lei. Stava tornando. Era consapevole che quel percorso era appena iniziato e che sarebbe stato difficile, lacerante a tratti. Ma ora che sapeva che non era impossibile compierlo avrebbe accompagnato sua sorella per ogni scalino e a ogni costo.

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