Mentre era in bagno a pettinarsi, la figura riflessa nello specchio non gli infondeva alcuna tranquillità.
Era tornato a casa a fine turno per darsi una sistemata ma quello che c'era da sistemare in lui non si sarebbe riassestato con una semplice doccia rigenerante.
Guardò ancora una volta davanti a sé, si passò una mano tra i capelli e un sorriso amaro gli disegnò una specie di smorfia sul volto. Sospirò e distogliendo lo sguardo tornò a prepararsi.
Procedendo per piccoli passi si ritrovò pronto in pochi minuti. Indossò un paio di jeans scuri, una camicia azzurra e un maglioncino blu, la sciarpa e il cappellino di lana erano calati sul viso quando si chiuse nel pesante giaccone deciso ad incamminarsi.
Quando giunse nei pressi della pizzeria indicatagli cominciò a borbottare tra sé e sé.
Che gli era preso, si chiedeva.
Dire di si ad un'uscita con degli sconosciuti...
Il freddo doveva avergli congelato gli ingranaggi del cervello. Da lucido non avrebbe mai fatto una cosa del genere.
E dove andava poi se neanche Simone c'era ancora?
Avrebbe fatto la figura del cretino, della mummia imbalsamata.
"Stupido, stupido Jacopo!" si ripeteva.
Ormai però era troppo tardi per tornare indietro, gli fu chiaro quando, giunto in vista della pizzeria fu notato da Marco che chiamò il suo nome a gran voce, sbracciandosi oltre misura.
Jacopo si sentì molto piccolo quando le persone che erano con Marco si voltarono a guardarlo. Ancora una volta sarebbe voluto scappare, ma non lo fece. Non inventò nessun contrattempo, né nessuna chiamata improvvisa.
Si avvicinò quindi a passo lento, salutò Marco e lasciò che gli fossero presentati gli altri. Strinse alcune mani ma non prestò attenzione né ai volti né ai nomi di chi gli stava davanti.
«Entriamo?» chiese Marco a nessuno in particolare.
«Simone?» domandò di rimando Jacopo.
«Penso arriverà a momenti» rispose lui facendogli strada.
Una volta all'interno presero posto in uno dei tavoli adiacenti alla cassa, erano in sette, mancavano ancora Simone e una coppia di amici. Jacopo sedette accanto ad uno dei ragazzi lasciando alla sua destra alcuni posti vuoti.
Respirò più volte profondamente e silenziosamente per non crollare affogato nel panico, cercò di rilassarsi e partecipare alla conversazione ma la sua attenzione era tutta concentrata sulla porta.
Come quando era in sala da tè sperava che da un momento all'altro sull'uscio si materializzasse il volto di Simone.
Ma era inutile. Ogni volta che alzava il capo per lui c'era un piccolo colpo al cuore, una nota di delusione o disillusione forse. Quella porta si apriva troppo spesso e troppo spesso il viso che appariva non era quello che cercava. Erano altri sorrisi, altri occhi, altri volti a entrare nel suo campo visivo.
Alla fine smise di alzare lo sguardo, troppo teso e carico di aspettative.
Si limitò ad un piccolo fremito che non era in grado di controllare, un brivido che lo prendeva alla schiena ogni volta che sentiva quel familiare rumore e che gli urlava di aspettare il momento, quello giusto.
Intanto finse di ridere alle battute di Marco e degli altri, si finse poi assetato quando i camerieri servirono da bere, finse di non sussultare quando udì quella voce, l'unica che in realtà sperava di sentire.
Non lo vide entrare ma non ebbe dubbi, lui Simone lo avrebbe riconosciuto ovunque.

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Cambio Turno
RomanceIn un'anonima cittadina di provincia c'è una Sala da Tè. Qui, tra infusi profumati e deliziosi dolcetti, occhi si incontrano e mani si sfiorano, tutto nell'infinitesimale spazio di un cambio turno. Piccola Storia d'Amore e di Tè; di dolcezza e di n...