Capitolo 35

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Jacopo girava e rigirava il cucchiaino nella tazza col tè alla menta ancora intatto. Lo sguardo perso nel vuoto testimoniava il suo essere altrove con la mente e con ogni pensiero che potesse attraversarla.

Quando Simone lo raggiunse lo scrutò in silenzio per qualche secondo per poi tossicchiare e attirare su di sé l'attenzione del più piccolo.

Jacopo alzò lo sguardo, lo guardò negli occhi, ma non si azzardò a dire una parola, rimanendo ostinatamente chiuso nel suo mutismo.

«Sei arrabbiato?» chiese Simone per rompere il ghiaccio.

Jacopo scosse la testa.

«C'è qualcosa che non va?»

Ancora un cenno di diniego.

«Ok...» farfugliò Simone mentre Jacopo riportava gli occhi sulla tazza davanti a sé.

«A cosa stai pensando?» chiese ancora dopo alcuni momenti di incomprensibile tormento.

«A nulla... Credo» rispose Jacopo come fosse ovvio.

Simone strabuzzò gli occhi e dopo aver preso un lungo respiro, per evitare di incorrere in reazioni spropositate, sottolineò: «in che senso "credi"?»

Jacopo scrollò le spalle e tornò a concentrarsi sul liquido chiaro che faceva muovere assieme alla tazza.

Simone lo fissò per un po', ancora in silenzio, in attesa di qualcosa che non arrivò, fino a quando fu attirato dall'ingresso di qualcuno.

Una coppia di anziani si avvicinò al bancone per ordinare e, una volta appurato che Jacopo fosse ancora impegnato a contemplare la sua tazza, decise di pensarci lui, per non dover discutere con l'altro o meglio, per non disturbare il suo momento di black out.

Preparò le miscele, sistemò le tazze e i biscotti sul vassoio cercando di fare più rumore possibile, ma da Jacopo non giunse nessuna risposta.

Simone non seppe se preoccuparsi o fingere che quell'apatia fosse soltanto un'altra sfaccettatura dello strano carattere del ragazzo che aveva di fronte.

E, proprio a testimonianza delle stranezze di quel ragazzino, lui si alzò sorridente, pose la tazza nel cestello della lavastoviglie e si avvicinò a Simone.

«Cosa prepari?» chiese.

«Tè nero arancia e cannella» disse indicando la tazza a destra «e tisana alle erbe» aggiunse spostando l'indice verso sinistra.

«Quali erbe?» chiese Jacopo arricciando il naso per sentire l'aroma che si stava sprigionando nell'aria.

Simone lo guardò con sospetto «verbena, melissa, malva e rosmarino»

«È buona?»

«Suppongo di si»

«Mmh» mugugnò l'altro pensieroso.

«Vuoi assaggiare?»

Jacopo negò con un lento movimento del capo creando in Simone ancora un momento di confusione.

Simone continuava a fissare l'altro come se davvero si trovasse di fronte ad uno strano caso da studiare, lo osservava muoversi in quello spazio silenzioso e impossibile da valicare che nonostante tutto appariva talmente normale da togliergli ogni punto di riferimento.

Quando ebbe terminato con la preparazione si apprestò a spostarsi per servire al tavolo.

«Posso fare io?» lo anticipò Jacopo.

«Fai pure»

Simone si rese conto di aver forse usato un tono freddo e distaccato ma non era certo quello che voleva.

Era stupito sì, ed era anche infastidito, perché per lui comprendere Jacopo era diventato di fondamentale importanza, e il fatto che lui, invece, non fosse disposto ad aprirsi lo metteva piuttosto di cattivo umore.

Non poteva fargliene una colpa, certo, e allora la faceva a sé stesso.

Perché non riusciva a metterlo a suo agio? Perché per telefono invece tutto sembrava così dannatamente semplice? E perché tutto quello era diventato incredibilmente importante?

Simone si prese la testa tra le mani e posò i gomiti sul piano di lavoro.

«Ehi, ti senti male?» sentì dire alla voce sottile di Jacopo.

Sorrise lievemente divertito, o forse era un sorriso isterico, rabbioso, frustrato.

Non sapeva davvero come prenderlo Jacopo, e adesso eccolo lì che si preoccupava per lui.

«Lo sai che sei strano?» si lasciò sfuggire.

«Non credo sia questa grande novità»

Simone gli sorrise sincero e gli fece cenno di sedersi al suo fianco.

Jacopo gli si posizionò di fronte con le ginocchia distanti solo pochi centimetri dalle sue. Lo guardò in viso e piegò di lato il viso lasciando il campo libero a quegli occhioni limpidi nei quali Simone sentì di perdersi.

Per la prima volta, di fronte a quel ragazzino, sentì di stare per perdere il contatto con il mondo esterno, con la realtà che lo circondava.

E Jacopo non lo aiutò continuando a fissarlo in silenzio con quello sguardo perso che sembrava voler dire chissà quante cose.

E cavolo se Simone voleva conoscerle!

In quel momento sembrava voler conoscere ogni più piccola sfaccettatura di quel castano che a tratti volgeva in verde, più chiaro, più scuro, fino a creare un colore indefinito, una nuova tonalità che si stava terribilmente imprimendo negli occhi e nella mente di Simone.

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