Capitolo 26

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Quei cinque minuti divennero dieci ma prima che potessero diventare quindici le porte scorrevoli si aprirono mostrando la figura di Marco.

«Scusami» disse appena gli fu vicino «ho fatto prima che ho potuto»

«Figurati» rispose Jacopo scrollando le spalle.

«Ma tu sei sempre così tranquillo?»

«In che senso?» chiese Jacopo titubante.

«Nel senso che non ti lamenti, non hai mai nulla da ridire, non sbraiti»

«Sono fatto così, credo»

«E mi piaci!» disse convinto «e mi piace lavorare con te. Sai, di solito gli altri si agitano, mi chiedono dove vado, quando torno, perché ho tardato, e a me viene l'ansia. Io sono uno spirito libero ma sembra che nessuno lo capisca» si lamentò.

«E tra questi c' è mio fratello. Ora, io gli voglio un bene immenso però anche lui, quando ci si mette, è un gran rompicoglioni. E quando arrivi, e dove vai, e che hai sempre da scappare, ma santo cielo! Avrò pure il diritto di prendermi i miei spazi»

Jacopo si rese conto, in quel momento, di essere una presenza superflua. Marco non stava realmente parlando con lui, il suo era solamente uno sfogo che non richiedeva necessariamente un interlocutore.

Ascoltò in silenzio tutte le parole che fluivano dalle sue labbra quasi intimandosi di respirare piano, senza fare il minimo rumore. Non aveva intenzione di intervenire né di interferire il alcun modo con quel soliloquio.

«Tu mi capisci vero?» chiese ad un tratto Marco tirando in mezzo Jacopo.

«Più o meno»

«Non hai fratelli o sorelle?»

Jacopo scosse la testa.

«E allora non puoi capire» disse Marco «non sai cosa vuol dire doversi sempre confrontare con il figlio e il fratello perfetto. Quello amato da tutti, quello gentile, quello preciso, quello che io per primo adoro alla follia»

Jacopo si sentì stranamente vicino alle riflessioni di Marco e non riuscì a non provare un po' di risentimento per la perfezione di quel fratello che faceva sentire Marco così sotto pressione.

Jacopo, forse per la prima volta, vide davvero Marco con occhi diversi. Pensò che avesse sbagliato a giudicarlo troppo in fretta, che fosse un bravo ragazzo e che, probabilmente, conosciuto a fondo, lo avrebbe considerato addirittura simpatico.

Si sentì in qualche modo più vicino a lui e la cosa gli diede un certo sollievo, come se si fosse liberato di un peso.

«Scusa se ti ho sommerso di chiacchiere» disse Marco ad un tratto «è stato solo un momento di sfogo» poi aggiunse «con questo comunque non voglio screditare mio fratello, lui è davvero una persona meravigliosa»

Jacopo annuì distratto.

Mentre Marco continuava a parlare Jacopo abbandonò la realtà e finì per perdersi tra i suoi pensieri nei quali proprio il collega che aveva di fronte era il protagonista.

Provò ad immaginarsi nei suoi panni, nei suoi pensieri, nella sua vita ma forse Marco aveva ragione, lui non aveva un metro di paragone.

«Ehi mi stai ascoltando?» chiese Marco riscuotendolo dai suoi pensieri.

«Scusa mi sono perso» disse Jacopo colto sul fatto.

«Cos'è, anche tu sei rimasto stregato da tutta questa perfezione?»

«Nah! Non mi piacciono le persone perfette, credo che nascondano sempre qualcosa, in fondo»

«Strano, non l'avrei mai detto» borbottò Marco prima di fermarsi a fissare un punto alle spalle di Jacopo e sorridere «ma tu guarda, parli del diavolo e...»

Jacopo si voltò curioso e quello che vide lo lasciò davvero senza parole.

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