Capitolo 56

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"Ti va un caffè?"

Queste le parole che Jacopo aveva davanti, da almeno dieci minuti.

Questo il messaggio inviatogli da Marco.

Era strano, molto strano!

Ok, Marco gli aveva chiesto il numero di cellulare ma non ne aveva ancora mai approfittato.

Soprattutto poi, non lo aveva mai invitato da nessuna parte e farlo ora, subito dopo la conversazione avuta con Simone, a Jacopo parve strano, molto strano!

Stava fissando quel messaggio da un po' e ancora non sapeva cosa rispondere. Non gli quadrava quel tempismo né quell'invito.

Però ad averlo fatto era stato Marco e, pertanto, non poteva ignorarlo ancora per molto.

Decise di accettare, per provarci, per darsi una possibilità e darla alla sua neonata "amicizia" con Marco.

Si accordarono per vedersi quel pomeriggio, dopo il turno di Jacopo. Si sarebbero visti direttamente alla caffetteria non lontana dalla sala da tè, quella dove Marco passava gran parte del suo tempo libero.

Con Simone Jacopo finse che quella sorta di appuntamento non esistesse, non perché avesse qualcosa da nascondere ma perché aveva il sospetto che Simone c'entrasse qualcosa con quell'invito.

Credeva di coglierlo in fallo, di vederlo incespicare in qualcosa ma di fatto ciò non accadde. Simone sembrava estraneo a tutta la faccenda, sembrava davvero non saperne nulla e Jacopo finì come al solito per sentirsi in colpa per aver dubitato di Simone.

Non sapeva a cosa credere ma d'altronde perché Simone avrebbe dovuto influire sulle scelte di Marco? Perché organizzare quel siparietto alle sue spalle?

Pensò addirittura di chiederglielo. Pensò di parlargli del messaggio e del conseguente invito ma alla fine preferì tacere, non aveva abbastanza coraggio.

Non sapeva come comportarsi e odiava quando ciò accadeva perché si sentiva stupido e il suo essere impacciato ne approfittava per manifestarsi ancor di più.

Jacopo era, in qualche modo, vittima di sé stesso ed era consapevole fosse così.

Quando le sue insicurezze venivano a galla sapeva di dover trovare il modo per mandarle via ma ancora non aveva capito quale potesse essere.

Per lui era sempre come trovarsi davanti ad un muro, alto e minaccioso.

Simone lo trovò così, immerso nei suoi pensieri, quando lo raggiunse in sala, dopo essersi cambiato, pronto ad andare via.

«Tutto bene?» domandò.

Jacopo sembrò sobbalzare.

«Ti ho fatto paura?» chiese Simone.

«No, scusami, ero solo sovrappensiero»

«L'ho notato» osservò Simone scrutando il profilo assorto dell'altro «è tutto ok? C' è qualche problema?»

«No, sono solo un po' distratto»

«Ok, ascolta... Hai da fare domani?»

«Domani» sembrò pensarci «no, perché, non credo?»

«Ci sono le gare di nuoto. Bambini terrorizzati, genitori urlanti, cose così, una noia mortale, quindi mi chiedevo se ti andasse di farmi un po' di compagnia, così tra un urlo e un pianto potresti alleggerirmi la giornata»

Jacopo si sentì turbato, per un attimo non seppe che pensare e, di conseguenza, tardò a rispondere.

«Se ti annoia non è un problema, avevo solo pensato che...»

«No!» lo interruppe secco Jacopo «vengo volentieri»

Simone sorrise «sicuro? Non sarà una cosa divertente»

«Non importa» sorrise anche Jacopo di conseguenza»

«D'accordo allora. Passo io a prenderti per le quattordici. Mi raccomando, non mangiare pesante»

Jacopo sorrise scuotendo la testa, rendendosi conto, forse solo in quel momento, che nel giro di due giorni sarebbe uscito con entrambi i fratelli.

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