Capitolo 80

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Simone e Jacopo uscirono dal palazzetto che fuori era ormai già buio.

In silenzio raggiunsero l'auto di Simone e vi salirono.

«Dove vuoi andare?» chiese Simone accendendo il motore.

«Non lo so» rispose Jacopo.

«Hai fame?»

«Non molta in realtà. Ti andrebbe di passeggiare un po'?»

Simone annuì e senza dire una parola lasciò partire l'auto. Guidò immerso nel silenzio fino a quando Jacopo allungò una mano verso l'impianto stereo per far partire la musica e scegliere una stazione radio che gli fosse gradita.

Le note di Breakeven dei The Script invasero l'abitacolo e Simone, stupito da quel gesto così semplice eppure così inusuale per l'altro si voltò a cercarne lo sguardo che gli fu negato perché Jacopo stava già guardando altrove, fuori, verso l'esterno, verso il buio che sembrava inghiottire ogni cosa.

Allora si concentrò sulla canzone, su quelle parole che non parlavano di loro, eppure...

"I'm falling to pieces"

Sto cadendo a pezzi...

Così si era sentito in quei giorni senza Jacopo quando temeva di averlo perso, quando lo sentiva scivolare via dalle dita.

"I' m still alive but I'm barely breathing"

Sono ancora vivo ma respiro a malapena...

Qualcosa dentro Simone si ridestò. Preso dalla paura e dall'ansia di perdere una nuova occasione fermò l'auto all'improvviso causando un fastidioso stridore di gomme.

Jacopo si voltò a guardarlo confuso, con un'espressione interrogativa dipinta sul volto. Simone non distolse lo sguardo, non aveva alcuna intenzione di tirarsi indietro.

Era arrivato il momento di prendere la situazione di petto e di smettere di scappare da ogni situazione che la vita gli mettesse davanti.

«Cosa c'è?» chiese il più piccolo mentre un'ombra gli scuriva il viso.

"Forse sarà stufo anche lui" pensò Simone mentre cercava le parole giuste con cui cominciare un discorso al quale non aveva mai pensato.

«Hai acceso la radio»

Le parole uscirono libere prima che lui potesse davvero pensarle e calibrarle, come un fiume di pensieri che ancora non avevano trovato la giusta sequenza di espressione.

Jacopo batté gli occhi insicuro mentre Simone avrebbe voluto schiaffeggiarsi talmente forte da stordirsi.

Ma come poteva uscirsene con un'affermazione del genere?

Possibile che l'unica volta che decideva di saltare sceglieva di farlo nel peggior modo possibile?

«Cioè» si corresse allora «ho visto che hai acceso lo stereo»

«Si, questo lo hai già detto» disse mettendosi sulla difensiva «non avrei dovuto?»

«No, anzi, il contrario. Voglio dire...» sospirò «insomma...»

«Sai che oggi sei strano?» lo bloccò l'altro.

«Anzi, è un po' che lo sei» aggiunse dopo un attimo di pausa «ma oggi di più! Prima ti fingi morto, poi dici di vedere cose, ora sottolinei delle ovvietà, davvero, sei sicuro di star bene?»

«Non mi sono finto morto!»

«Si, va be', non cavillare»

Simone storse il naso.

«E non fare quella faccia perché lo sai che ho ragione» disse tutto d'un fiato come se avesse avuto paura di non riuscire a dirlo altrimenti.

Simone lo guardò ammirato quasi non riconoscesse il suo Jacopo. Se non fosse stato per quel lieve cedimento nel finale probabilmente avrebbe creduto di averlo in qualche modo perso.

Ma quell'incrinatura, quella piccola insicurezza, crepa in tutta quella determinazione, mostrò a Simone che Jacopo ci stava provando. Stava andando oltre le sue proverbiali paure, oltre le barriere del suo carattere.

E in un attimo Simone realizzò che se poteva farlo Jacopo lo avrebbe fatto anche lui.

Jacopo sbuffò e Simone tornò a prestargli attenzione.

«Ok, forse hai ragione» disse.

«Forse?» si accigliò Jacopo.

«Forse!» rimarcò «Mi sono comportato male ma credimi, non l'ho fatto a posta»

«Questo lo so»

«Però ho deciso di migliorare» aggiunse.

«Anch'io» disse deciso Jacopo.

Fu il momento di Simone di sbarrare gli occhi.

«Che vuoi dire?» chiese.

«Quello che vuoi dire tu»

«E come sai quello che voglio dire?»

«Lo so. Perché, ti ripeto, è lo stesso che voglio io»

«Come...»

«Voglio venirti incontro e voglio, anzi vorrei, che tu lo facessi con me. Nel senso: non allontanarmi se c'è qualcosa che non va, rendimi partecipe»

Simone sentì la realtà di quelle parole, sentì che forse, davvero Jacopo lo aveva capito. Sentì che glielo stava in qualche modo confessando e non riuscì a fermare il senso di colpa che prese a serpeggiargli dentro.

«Ad esempio l'altra settimana...» continuò il più piccolo guardando un punto indefinito oltre il buio «io non te ne sto facendo una colpa» disse quasi potesse leggergli il pensiero «però eri distante, e lo ero anch'io e non mi è piaciuto per niente, perciò quando sei tornato mi sono detto che non posso lasciare che sia il caso a decidere né che debba essere solo tu a indirizzare la rotta. Io voglio esserci per te e voglio che per te sia lo stesso. E quindi» disse ormai più che concitato «ho deciso che se sento di voler fare una cosa la faccio. Se mi va di sentire la musica accendo lo stereo, se mi va di vederti nuotare vengo in piscina, senza che per forza sia tu a chiedermelo»

Poi si voltò senza l'altro.

«Io sarò un po' imbranato ma lo so che non voglio perderti»

«Ma quanto intelligente sei?» disse Simone ammirato cercando di nascondere ad ogni modo l'ammirazione e l'emozione che sentiva rimescolarglisi dentro con quel tono sarcastico.

«Troppo! Non è un caso che tu sia il braccio e io la mente»

«Ah si? E chi lo avrebbe deciso?»

«Io, ovviamente!» disse Jacopo trionfale provocando la calda risata di entrambi.

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