Capitolo 82

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«A che pensi?» chiese Jacopo a bruciapelo, distogliendo Simone dai suoi dolci pensieri.

«Al tuo sorriso» rispose Simone senza esitazioni perché, in parte, quella era una verità.

Jacopo lo guardò con espressione interrogativa.

«È così bello vederti sorridere» aggiunse Simone con dolcezza.

Sulle guance di Jacopo un intenso rossore si diffuse, visibile anche al buio, ignaro delle conseguenze a cui avrebbe portato.

«È inutile» aggiunse ancora Simone «anche quando arrossisci sei bello»

Jacopo non seppe cosa pensare.

Aveva capito bene?

Simone stava davvero dicendo ciò che lui avrebbe sempre voluto sentirsi dire?

Purtroppo nonostante si fosse ripromesso di fare tutto quello che gli passasse per la mente non ebbe il coraggio di chiedergli cosa quelle parole volessero significare.

Se ne rimase in silenzio, con una lieve sensazione di ansia che gli aleggiava all'altezza dello stomaco, alzò gli occhi che nemmeno si era reso conto di aver abbassato e li fissò in quelli di Simone che ancora gli stava seduto di fronte con un sorrisetto enigmatico a distendergli le labbra.

In quell'espressione Jacopo riconobbe un po' del suo stesso imbarazzo e si sentì sciogliere, sentì la tensione liberarlo, il cuore rallentare e un sorriso timido nascere incontrollato in risposta a quello dell'altro.

Tutte quelle sensazioni transitarono sul volto di Jacopo e Simone poté osservarle una per una. Prima la paura, poi la confusione, poi l'armonia di quel sorriso che ogni volta, in un modo o nell'altro, lo rendeva più bello, poi l'indecisione, dire o non dire, fare o non fare, l'immagine di incertezza che riconosceva tipica dell'altro.

Istintivamente tese una mano e la posizionò su quelle di Jacopo che stavano lottando tra loro. Senza mai interrompere il contatto visivo gli occhi di Jacopo batterono un istante per poi riaprirsi e divenire lucidi, quasi stesse per piangere.

Allora Simone senza pensarci si spostò, strisciando sull'erba fino ad essere di fianco a Jacopo, spalla a spalla. Lo cinse con un braccio avvicinandolo a sé e stringendolo in un abbraccio che non ebbe bisogno di parole per essere spiegato.

Nessuno dei due se ne chiese il perché, era stato una naturale conseguenza di quella serata in cui entrambi avevano aperto il proprio cuore per poi richiuderlo al momento meno opportuno.

Entrambi non avevano tempismo eppure in quell'abbraccio si andavano racchiudendo milioni di significati inesplicabili.

Quando Simone si rese davvero consapevole di quello che aveva fatto abbassò gli occhi su Jacopo che giaceva col capo chino sul suo petto. D'un tratto fu come investito dalla sua vicinanza, da quel toccarsi senza pensieri, da quel contatto che non aveva mai provato prima e si sentì invaso dal profumo dell'altro.

Non era un odore particolare era semplicemente Jacopo e se lo sentiva dentro come una carezza calda che lo invadeva, come se dentro qualcosa gli si stesse rimescolando senza il suo consenso, e, ancora una volta si sentì preda della sua confusione, di pensieri che si rincorrevano, di gesti che forse avrebbe voluto fare o forse no, perché la realtà era che lui non lo sapeva, non sapeva niente.

In quel momento le sue braccia stavano avvolgendo Jacopo ma lui era volato via, era come staccato da sé, perso in un turbine nero di paura.

Fu Jacopo a riportarlo indietro.

Si staccò frettolosamente.

«Devo starnutire» disse stringendo gli occhi.

Simone lo vide e il nero si dissolse.

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