Capitolo 54

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Erano appena saliti in macchina, Simone non aveva ancora nemmeno avviato l'aria calda quando il motorino di Marco gli si accostò lampeggiando.

Simone abbassò il finestrino e lasciò che suo fratello catturasse l'attenzione.

«Hai freddo?» gli chiese «vuoi un passaggio?»

«No tranquillo, senti, coi ragazzi abbiamo pensato di fare ancora un giro quindi puoi non aspettarmi»

«Quanto pensi di restare?»

«Un'oretta penso, perché, vi va di unirvi?»

Simone si voltò a guardare Jacopo che aveva assistito con velata indifferenza alla conversazione. Il più piccolo, sentendosi osservato, scrollò le spalle con fare indifferente, quasi che quella domanda non riguardasse anche lui.

Simone tornò a guardare suo fratello «magari un'altra volta» disse.

Marco annuì, agganciò per bene il casco e, dopo aver salutato entrambi, sfrecciò via.

Simone avviò il riscaldamento poi lasciò partire la musica per coprire quel silenzio che sicuramente si sarebbe creato tra loro.

Era consapevole sarebbe accaduto, sapeva che Jacopo una volta salito in macchina si sarebbe chiuso nei suoi pensieri. Solo non sapeva come tirarlo fuori perché quel silenzio era in fondo un po' lo specchio di ciò che era Jacopo. Un attimo allegro, spensierato, quello successivo impaurito, chiuso, perso nel suo mondo.

E per capire Jacopo, per guardare oltre quello specchio Simone avrebbe dovuto tuffarcisi.

Pensò, rifletté, ripensò. Questione di attimi, ma il suo cervello corse velocissimo elaborando miliardi di immagini.

Alla fine una: Jacopo in pizzeria. Sorridente, aperto, leggero.

E si aggrappò a quello.

Spense la radio.

Non gli interessava il sottofondo.

Voltò un po' il capo.

Volava attirare l'attenzione.

Infine parlò.

«Che te ne è parso? Della serata intendo»

Anche Jacopo si voltò ma del tutto perché non doveva prestare attenzione alla strada.

«È stata divertente» disse e qualcosa sembrò sciogliersi «mi piacciono i ragazzi sono simpatici»

«Eri diverso stasera, sembravi tu davvero»

«In che senso?» chiese Jacopo interessato.

«Non lo so spiegare a parole, però potresti farlo tu» lo guardò di sottecchi, per un attimo soltanto, prima di tornare con gli occhi alla strada.

«Non capisco di cosa parli»

«Io dico di si»

Jacopo sbuffò puntando lo sguardo oltre il finestrino, oltre le luci della piccola cittadina.

«Sono stato bene» disse come se stesse parlando a sé stesso «sto sempre bene con te, con te e con Marco» si corresse.

Simone sorrise di quel piccolo tentennamento ma preferì non bloccare quel piccolo flusso di coscienza.

«Mi piace stare con voi e nonostante tu a volte sia parecchio stronzo» disse calcando su quell'innocua offesa «con voi mi sento a mio agio e in qualche modo protetto»

«Protetto?» ripeté Simone in un'implicita domanda.

«Già... Pensa come sono messo male» ridacchiò.

«Da cosa?» chiese invece Simone rimanendo serio.

«Da tutto, da me stesso, non è qualcosa di reale è più un non sentirsi mai propriamente padrone di sé stessi»

«Con me quindi non hai timore?»

«No» sussurrò il più piccolo.

«Bene»

Seguì un attimo di silenzio poi Simone posteggiò l'auto e si voltò verso il più piccolo.

Non avrebbe voluto salutarlo ma non avrebbe saputo come portare avanti quella conversazione che a lui sembrava finita.

Fu però Jacopo a sorprenderlo, a guardarlo con quello sguardo spaurito ma deciso, con le gote arrossate e uno slancio che all'apparenza non gli apparteneva.

«Prometti che tra di noi sarà sempre così»

Simone cercò qualcosa in quello sguardo, si aspettava paura, cercava una supplica e invece vi vide una forza e una determinazione totalmente nuove.

«Lo prometto» disse.

E più che a Jacopo si accorse che quella promessa stava facendola a sé stesso.

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