Capitolo 43

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I pensieri nella mente di Simone presero a vorticare pericolosamente.

Si sentiva spingere giù, quasi vi stesse sprofondando, ma non voleva. Lui era in cerca d'aria e, per questo prese un respiro più profondo, per tornare a respirare come si conviene, per trovare la forza di rispondere a quella semplice domanda.

Perché?

Era arrivato il momento, e lo sapeva.

Non gli faceva paura aprirsi, non temeva di parlarne con Jacopo perché di lui in qualche modo si fidava. Aveva paura di rivivere quei momenti e di ricadere nel suo personale buio, di non riuscire a spiegarsi perché, di base, nemmeno lui si era mai capito.

Guardò Jacopo negli occhi prima di parlare e in essi trovò un po' del suo stesso timore.

Si sentì protetto in qualche modo, tutelato e fu in quello sguardo che trovò il coraggio per cominciare.

«Vedi» disse a bassa voce giocando con il lembo di un tovagliolo «c'è stato un periodo della mia vita in cui mi sono sentito solo. Ma non perché lo fossi realmente, io mi ci sentivo... Solo, inutile e senza speranza. Non ho mai voluto dare una nome a questa cosa perché non volevo accettarla, non volevo ammettere a me stesso e agli altri di avere un problema»

Prese un respiro e continuò.

«Tutta questa situazione col tempo ha portato ad odiarmi e, proprio quest'odio, che mi faceva sentire sbagliato e perso, è stato la molla per non soccombere. Io odiavo sentirmi così quindi ho fatto in modo di non lasciarmi tempo per pensare. Ho dato spazio alle mie passioni, a tutto quello che potesse tenermi impegnato. Solo quando tenevo la mente occupata ero sereno, perché non pensavo, non ne avevo il tempo e per questo ho finito per riempirmi le giornate, per vivere a comando. La sera arrivavo a casa stanco, stremato, e se la notte gli incubi tornavano a farmi visita c'era Marco a tirarmi su»

La voce gli si incrinò e Jacopo non poté fare a meno di sentire una morsa stringergli il cuore.

«La notte era il momento peggiore, era come se, fisicamente, qualcosa volesse attirarmi verso il basso. Io mi sentivo impotente perché se di giorno potevo combatterlo di notte ero inerme. Ed era allora che il mio scudo diventava Marco. In quelle notti abbiamo visto miriadi di film, abbiamo fatto i giochi più disparati e tutto perché io potessi tornare a dormire. Gli devo molto» sorrise «sono io il fratello maggiore eppure è lui ad essere la mia roccia»

Jacopo non aveva molte parole.

Non c'è molto da dire quando qualcuno ti apre il proprio cuore.

Per questo rimase in silenzio ad osservare l'altro, con comprensione, mai con giudizio o compassione.

«E adesso?» chiese dopo un po' in un sussurro.

«Adesso sto bene» sorrise Simone «però qualcosa dentro di me la porterò sempre. Ho paura dei cambiamenti, mi fa paura l'idea di restare senza far nulla, ho paura di ricaderci ancora»

«Non accadrà» rispose sicuro il più piccolo.

«Non puoi dirlo»

«Oh, si che posso. Sei forte, sai come uscirne»

«Non ne sono sicuro»

«In ogni caso io non lo permetterei»

Simone parve non cogliere a pieno quell'affermazione.

«Adesso ci sono io, non sarai solo»

Lo sguardo di Simone si addolcì all'istante e, per la prima volta, senza pensarci e senza riflettere sulle conseguenze delle sue azioni, lasciò correre una mano verso quella di Jacopo e la strinse forte.

«Sei speciale» riuscì a mormorare quasi soffocato da una strana emozione.

«Anche tu» rispose Jacopo voltando il palmo della mano e stringendo a sua volta più forte.

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