Uccidere mio padre sarebbe stato solo un favore

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LEILA

Sospiro, stiro i miei vestiti con i palmi delle mani e rimando indietro i ciuffi sfuggiti dall'elastico che lega i miei capelli in una coda di cavallo.

Le mie ciocche castane arrivano fino a metà schiena, dovrei tagliarli e sarebbe una buona scappatoia da usare con Tomas, per poter uscire dal momento che continua a stressarmi, dicendo che devo smettere di rimanere chiusa in casa.

È passata un'altra settimana, ed è febbraio ormai, perciò credo che dovrò proprio uscire.

Mi sento leggermente meglio, gli attacchi di panico non sono del tutto passati ma riesco a gestirli, ho imparato a cavarmela anche senza le braccia di Tomas che sono decisamente meglio del gelido pavimento del mio bagno nudo.

Osservo dallo spioncino chi c'è dall'altra parte della porta, anche se so chi è venuto a farmi visita, e infine apro il portone.

La luce del sole sfiora le mie braccia scaldandole, quasi mi ero dimenticata della sensazione che si provava a stare sotto il sole d'inverno.

«porca troia, un vampiro!» alza la voce entrando, spalanco gli occhi spostandomi lateralmente mentre lui inizia a sbraitare contro un povero cuscino.

«ecco questa sei te» mi indica il cuscino grigio con un dito, alza la mano e lo colpisce buttandolo a terra, poi lo riprende, lo bacia e infine lo stringe a sé.

Abbozzo un leggero sorriso andandogli incontro e una volta dinanzi a lui, gli salto completamente addosso abbracciandolo.

«mi sei mancata tantissimo» mi stritola mentre mi solleva da terra, circondo il suo bacino con le gambe e aumento la stretta.

«anche te, davvero tanto» gli bacio la guancia, quando tocco di nuovo terra il mio pensiero si collega subito a Jace.

Sono ancora delusa con lui e lo sarò finché non mi permetterò di poter prendere in considerazione l'idea che semplicemente mi ha liberato da un mare fitto e affollato di complicazioni; ma ha portato via anche l'unica figura genitoriale che mi era rimasta. A parte tutto, la rabbia sta sfumando via lentamente quando lui non è nei paraggi, lasciando spazio ad enorme delusione che prosciuga il mio cuore ogni volta che la mia mente viaggia sulle sue perle tenebrose.

«fammi vedere» allude al fascicolo che ho preso quel giorno dall'ufficio del preside, mi allungo sul tavolinetto davanti al divano e afferro i fogli.

Glieli porgo e lui inizia a leggere il testo «descrive Jace e la sua famiglia, i complici, mio padre e racconta dettagliatamente quello che è accaduto e che i vicini hanno visto» annuisce.

L'ho punito...

L'incriminato ci informa del fatto che l'uomo, alcolizzato e genitore, è originario di Chicago.
L'uomo, Christopher Thompson, possiede una figlia di 14 anni.

«è quello che Jace mi ha raccontato...» dice «...ma dovresti davvero ascoltarlo, è sincero e sono sicuro che riuscirai a perdonarlo» scuoto il capo abbassando gli occhi sulle mie mani e incrocio le dita per cercare una sorta di sollievo per il fastidio incontrollabile che brucia il mio petto.

«non ne sarei così sicuro» soffoca una piccola risata ed io gli rivolgo uno dei miei sguardi più confusi.

«cos'altro ti ha detto?» mi azzardo a chiedere, lasciando andare la mani sulle ginocchia mi riserva uno strano sguardo.

«quello che lui ha detto a me è la sua realtà dei fatti, perciò devi ascoltarla da lui, non da me» scrolla le spalle.

«almeno qualcosa di piccolo» lo prego unendo le mani «qualcosa che non ha importanza» scuote il capo ridacchiando, non riuscirò a smuoverlo e la mi stupida curiosità mi costringerà a voler sapere di più.

I'm not your enemyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora