Respingimi

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LEILA

È strano passeggiare per i corridoi pieni di studenti che ti lanciano occhiate compassionevoli e piene di terrore, premono sulla tua pelle cercando di entrarti dentro e non fanno altro che spingerti a doverti nascondere per la troppa pressione.

Sono alcuni giorni che ho deciso di ritornare a scuola, e durante tutto questo tempo le persone mi riservano sempre gli stessi sguardi carichi di curiosità.

Il primo giorno non ci ho fatto caso, quando poi hanno iniziato a guardarmi quasi ogni volta che passavo tra di loro ho iniziato a pormi qualche domanda.

E se qualcuno avesse scoperto quello che è successo?

Impossibile, a parte Jace e Tom nessuno è a conoscenza della causa per cui sono mancata più di un mese alle lezioni.

Sospiro entrando in classe e mi siedo all'ultimo banco, nonché quello più in alto dell'aula, per aspettare Tom che venga in mio soccorso.

«ci sono, ci sono» con respiro affannoso sale le piccole scalette che lo portano alla fine della classe e si siede, anzi si butta letteralmente sulla sedia.

«devo farti alcune domande» dico immediatamente portando lo sguardo su di lui che sistema le sue cose, per modo di dire perché butta un quaderno e un astuccio sul banco.

«ciao Tom» imita la mia voce salutandosi da solo «ciao Leila, come stai?» domanda poi «bene, grazie, io e Jace stiamo così bene insieme» mi prende in giro formando un cuore con le mani ed io roteo gli occhi con un sorrisetto divertito sulle labbra.

«è urgente» dico «e strano» ammetto fissando il quaderno, lui si ricompone ritornando serio e mi incita a continuare.

«ascolta, non hai detto a nessuno cosa è successo in questi mesi o robe del genere, vero?» strabuzza gli occhi e quasi tossisce.

«scherzi, vero? Non direi mai in giro quello che ti è successo, la tua storia rimane tra noi due» annuisco «e Jace ovviamente, me lo dimentico sempre dannazione» faccio un sorriso quando si sbatte la mano sulla fronte e inizia a rimproverarsi da solo.

«in questo mese che sono stata assente sei impazzito, dì la verità, eh?» gli tiro una piccola spinta con la spalla e lui annuisce freneticamente.

«è stato un mese ed una settimana di vera e propria tortura, tutti che mi guardavano stranamente, non sapevo con chi prendere in giro i professori e tra l'altro il preside sembrava letteralmente perso senza dover badare ai casini tuoi e di Jace» alzo le sopracciglia.

«ok, forse è stato il mese più tranquillo che quel vecchio abbia passato in tutta la sua carriera scolastica» ma che diavolo ha mangiato a colazione? Di solito sono io quella che inizia a chiacchierare all'impazzata di prima mattina.

«a proposito, dov'è Jace?» chiede ed io scuoto il capo, quella sera in cui abbiamo chiarito quella situazione sul fatto del cibo e del mio dimagrimento, abbiamo dormito insieme e la mattina seguente mi ha pregato di non chiamare il preside per poter passare qualche altro giorno in pace da soli.

Ignorandolo, l'ho lasciato frignare sul letto e mentre parlavo col preside, la chiamata più lunga della mia vita, lui mi lanciava occhiate assassine e se avesse avuto il potere di fulminarmi sarei già morta da qualche giorno.

«dovrebbe arrivare...» la classe è ancora vuota poiché sono ancora le 7.45 e noi due siamo i soli nell'aula a chiacchierare dei nostri fatti.

Come se mi avesse sentito, Jace, in tutta la sua maestosità, nonostante la mattina assomigli ad un morto che cammina nel sonno, lancia lo zaino ai piedi del suo banco e alzando lo sguardo verso i nostri banchi, ci nota.

I'm not your enemyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora