Ovunque tu voglia

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*leggera violenza*

JACE

Il portone sbatte sul muro e con un tonfo si richiude dopo il forte calcio che ho tirato alla parte bassa del legno.

Butto la zaino a terra, sentendo il rumore delle matite spezzarsi nell'astuccio, penso alla penna che lei stessa mi ha dato, l'avrò sicuramente rotta.

Respiro velocemente, lei non c'è, non può calmare lo tsunami che inizia a crescere nel mio petto, nel mio corpo.

Le sue parole mi hanno fatto crescere una rabbia dentro incontrollabile, mi ha rassicurato, sono rimasto stupito dalle sue parole, ma sono così testardo che non riesco a fidarmi di quelle parole belle che sembrano  false.

E non lo sono, ne sono certo, perché lei è la persona più sincera e genuina che abbia incontrato in tutta la mia vita, e ci perderei io a farle del male.

Sento il solito formicolio salire sulle mie braccia, stringo i pugni talmente forte che sento le unghie conficcarsi nella pelle del palmo.

Avanzo verso la camera, dove so che i muri non sono di cartongesso e non possono rompersi.

La tentazione di iniziare a sfogarmi su di essi è talmente tanta che inizio a fissare la parete priva di quadri, il fatto che io non abbia avuto davvero nessuno prima di Leila e Tomas nella mia vita mi fa arrabbiare il doppio.

I miei genitori sono stati dei genitori di merda.

Respiro affannosamente, chiudo gli occhi cercando di placare il bruciore nel petto che aumenta sempre di più, digrigno i denti sentendo le tempie pulsare.

Penso alle sue mani che afferrano le mie, alle sue labbra che mi baciano, che mi sussurrano che andrà tutto bene.

Per un momento sento un vuoto nello stomaco, e quasi mi sento fiero di me stesso per essere riuscito a placare la furia che stava nascendo dentro di me, ma quando quella sensazione continua a scorrere nelle mie vene, emetto un grugnito incazzato.

Mi avvicino velocemente alla parete e alzo il braccio, le mie nocche bianche colpiscono il muro, ripetutamente, come una macchina programmata solo per tirare cazzotti al muro.

Ignoro il dolore lancinante alle mani, mentre intravedo il muro colorarsi di rosso e le mie nocche diventare viola e scorticate.

Continuo a picchiare la parete, immaginandomi al posto di essa, vorrei urlargli che a perso, che non ce l'ha fatta a mantenere la promessa che si è fatto, che ha fallito nel diventare una persona migliore.

«cazzo» impreco allontanandomi, mi risveglio dal mio stato di trance e osservo un rivolo di sangue scorrere lentamente sulla parete.

Ci sono ricascato, e al posto della faccia di qualche carcerato o di qualche mio amico, c'è una parete bianca e dura.

La voglia di colpirla nuovamente mi assale, e per un momento avanzo verso essa alzando l'altro abbraccio e colpendola qualche volta con l'altro pugno, ma poi mi interrompo perché altrimenti finirò per rompermi le dita.

Indietreggio guardandomi le mani, osservando il casino che ho combinato a terra.

Il pavimento è pieno di goccioline di sangue che proseguono fin sotto i miei piedi, e infine sulle scarpe nere che indosso.

Corro in bagno, lasciando una scia dalla camera, e apro l'acqua gelida, infilo le nocche sotto al getto e un senso di sollievo mi pervade immediatamente.

Sospiro, pulendo le ferite.

Che diavolo mi è saltato per la testa? Che cosa dirò ora a Leila?

I'm not your enemyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora