Meno di un mese...

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3 mesi dopo...

JACE

«sei davvero un pezzo di merda» mi spinge, mantengo un'espressione seria mentre lentamente ci avviamo nella direzione della mia casa.

Anibal è fuori, lavora più duramente e cerca in tutti modi di evitarmi quando io nemmeno lo guardo negli occhi, può scordarsi la mia attenzione per il resto della sua vita.

Provo così tanta rabbia e odio nei suoi confronti, ci siamo picchiati solo una volta da quando sono qui a Phoenix, era ubriaco e aveva iniziato ad insultare mia madre, qualche settimana dopo la sua morte.

Non ho resistito, ho sfogato la mia rabbia e il mio dolore su di lui e da quel giorno ci evitiamo in tutti i modi.

«tuo padre è in casa?» mi volto verso di lei che cammina incespicando, ci siamo bevuti solo due birre e sembra ubriaca marcia.

«sei ubriaca?» scuote il capo mentre l'aria si riempie della sua risata, è sempre stata una di quelle risa che ti coinvolgono e ti fanno sentire a tuo agio.

Ma in questo momento non ho proprio voglia di ridere, non sono in vena di scherzare o sorridere, ogni giorno che continuo a passare in questa città, marcisco sempre di più.

«avanti, sorridi un po'» si allunga sulle punte e intravedo con la coda dell'occhio che le sue mani si avvicinano al mio volto.

Afferra le mie guance e le tira in un sorriso forzato, ritraggo la testa e sfilo il viso dalle sue mani, la guardo contrario e quasi irritato.

«non ho voglia di sorridere» aumento di passo, pentendomi già di averle concesso di venire con me «se continuerai ad urtarmi in questo modo ti lascio fuori da sola» la avverto, lei fa cenno di chiudere la bocca con una zip e finge di buttare a terra la chiave.

È così immatura.

«non rompere nulla» le apro la porta e lei entra dentro, il soggiorno è interamente al buio perciò Anibal non c'è, come sospettavo.

«ehilà, chi c'è?» urla nella direzione della cucina, abbasso gli occhi e uno spiraglio di luce illumina un pezzo di divano.

«porca puttana» impreco avvicinandomi a Peacy «Peacy, smettila, se c'è Anibal dobbiamo andarcene» le sussurro all'orecchio, lei invece che ascoltarmi, approfitta del fatto che sono vicino e mi circonda il collo con le braccia e avanza.

«Peacy, smettila» la allontano tenendola per i fianchi, lei si imbroncia proprio nel momento in cui la porta al nostro fianco si spalanca.

«che cazzo è questo casino?» chiede rudemente, stringe i denti e ci guarda arrabbiati.

«salve signor. Carter!» squillante, si avvicina a lui e si butta tra le sue braccia cogliendolo alla sprovvista, mi lancia uno sguardo mezzo confuso e mezzo arrabbiato.

«ciao Peacy, pensavo fossi a New York» allora sa comportarsi come una persona normale «è una bella sorpresa vederti qui con mio figlio» stringo la mascella ed i pugni, mi fa così arrabbiare quest'uomo.

«sono tornata perché mio padre si era ammalato...» mente «...e sì, siamo ottimi amici» mi affianca e mi tira ripetute pacche sulla spalla.

I'm not your enemyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora