Domani te ne pentirai

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JACE

Mi tolgo il casco posandolo sulla sella della moto, mi volto in direzione della casa piena di persone che mi trovo davanti.

Odio le feste.

Sbuffo scendendo e mi sistemo la giacca sulle spalle, è freddo, ma riesco a sopportarlo comunque.

Intravedo subito qualcuno che viene verso di me, il biondino di cui non ricordo il nome, ricordo solo che me lo sono tenuto stretto perché aveva molte ragazze da presentarmi.

Dovevo togliermela dalla testa, e conoscere altre ragazze credevo che mi avrebbe aiutato.

«Carter» mi saluta, io ricambio con un cenno del capo continuando ad avanzare verso la casa «da quanto tempo non ti vedo in giro, che fine hai fatto?» poggia una mano sulla mia spalla fermandomi.

«amico» mi volto «in questo momento voglio solo andare dentro, se permetti» tolgo la sua mano dalla mia spalla e mi allontano sospirando.

Appena entro l'odore d'alcol mi inebria le narici, e inspiro chiudendo gli occhi.

Mi dirigo immediatamente al bancone del bar, chiedendo un whisky saluto con un cenno il ragazzo che prepara i drink con un cenno e lui ricambia sorridendo.

«sei nuovo?» domanda, mi appoggio con la schiena al bancone di legno mentre annuisco, mi porge il bicchiere.

«non ti ho mai visto da queste parti» insiste.

«mi sono trasferito sei mesi fa» mormoro, dopo essere stato rilasciato del tutto, mi sono stabilito qui a Chicago e me la sono presa con comodo.

Pensavo di aver finito con lo studio e con le visite a casa, ogni giorno, per tutto l'anno, e invece quando si sono presentate le guardi davanti casa mia, mi sono quasi spaventato.

Invece, dovevano solo comunicarmi che un'altra scuola aveva accettato di ospitarmi, e potevo riprendere gli studi.

Solo che io avevo perso le speranze, la voglia e l'interesse di imparare nuove cose e avere un lavoro degno di nota.

Ero certo che dopo un mese mi avrebbero cacciato, proprio come hanno fatto tutti gli altri istituti, così mi comportavo come più volevo.

Avrei trattato male tutti, avrei ignorato e allontanato qualsiasi persona si sarebbe avvicinata a me.

O forse credevo di volerlo fare, quando quella stupida ragazzina è riuscita ad entrare nella mia vita, non uscendone più.

«amico, hai sentito?» domanda, io scuoto il capo riprendendomi e scolando il whisky tutto d'un sorso.

«quella là, ti sta fissando» mi indica un punto infondo alla grande sala, confuso raddrizzo la schiena e seguo la traiettoria del suo dito.

Riesco a trovarla solo quando incrocio i suoi occhi, deglutisco un fiotto di saliva, e sento il respiro accelerare.

«la conosci, per caso?» domanda, io mi volto con un cipiglio in volto mentre lui la guarda sognante.

«sì» si rallegra «potresti presentarmela?» domanda pulendo un bicchiere, io stringo i pugni.

«perché?»

«e me lo chiedi pure?» ride «è una figa assurda, è davvero-» lo trucido con lo sguardo e lui si interrompe, mi alzo sentendomi improvvisamente potente.

Avere altezza e muscoli mi ha sempre portato vantaggio, il mio aspetto è intimidatorio, e spesso lo usavo in carcere per spaventare gli uomini che venivano a darmi fastidio.

E a volte, forse troppo, lo uso come arma, mi basta arrabbiarmi e fissare male una persona, è ormai un'abitudine.

«è cosa?» domando sentendo una forza inaudita attraversarmi il corpo, stringo i pugni avvicinandomi, peccato ci sia il bancone a dividerci.

I'm not your enemyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora