Mi hai salvato la vita, mi hai protetta, ora è il mio turno

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LEILA

Oggi è l'ultimo dell'anno.

Spalanco la porta di casa uscendo nell'aria fredda di Dicembre e sorrido vedendo i raggi del sole sciogliere il leggero strato di ghiaccio formatosi sulla strada.

L'asfalto è bianco, e stando attenta a non scivolare, attraverso la strada sulle strisce che risaltano sotto le mie converse nere.

Il mio telefono inizia a vibrare nuovamente nella mia tasca, mi chiedo stavolta chi sarà, Jace o Tom?

Mi stanno tartassando da stamani, non rispondo per il semplice fatto che voglio andare a scuola a piedi, proprio come facevo una volta.

Camminare mi fa bene, aveva detto il dottore, e funziona come terapia, mi libera la mente quando è sotto stress e affollata da orribili pensieri.

Io e Jace questi quattro giorni ci siamo visti pochissimo, si è rifiutato di venire a casa mia per poter studiare e sembra mi stia evitando.

Questo non fa altro che aumentare la mia ansia e le mie paranoie sulla notte passata insieme, sono sicura del fatto che non sono abbastanza.

Mi sminuisco molto, ne sono consapevole, ma non riesco a farne a meno, sono sempre stata insicura su me stessa.

E lui mi rende così vulnerabile, insicura, piccola e indifesa che a volte mi spavento di quello che provo per lui; prende tutte queste brutte emozioni e trascinandomi tra le sue braccia le soffia via.

Non mi accorgo di star a trattenere il fiato mentre penso a lui, lancio uno sbuffo e nell'aria si forma una piccola nuvoletta di condensa.

Rifiuto la medesima chiamata e intravedo da lontano il grande porticato della mia scuola, una folla di studenti brulica verso l'entrata.

Sospiro, senza Tom o Jace al mio fianco, mi sento così sola e diversa da tutti gli altri.

Entro nell'università con calma e mi dirigo subito agli armadietti, con l'intento di depositare tutto all'interno di essi, afferro la chiavetta dalla borsa.

Vengo interrotta però da una mano grande e tatuata, che conosco fin troppo bene, che si posa sul mio polso trascinandomi con lui in un angolino buio e abbandonato di una classe.

Trasalisco ritrovandomi con le spalle al muro.

«trovata» non alzo gli occhi sul suo volto, mi volto cercando di concentrare la mia attenzione su qualcosa che non sia il suo sorriso.

«perché non rispondi al telefono?» domanda costringendomi a guardarlo, le sue dita stringono il mio mento.

«non avevo voglia» rispondo sicura, ho già detto che dinanzi a lui mi sento piccolissima, ma non voglio dimostrarglielo e non deve assolutamente saperlo.

«te l'ho già detto che non mi devi ignorare» mormora duramente «mi preoccupo, lo sai» addolcisce il tono alzando il capo e guardandosi intorno.

«nemmeno tu mi devi ignorare» ribatto ignorando le sue parole che mi hanno sciolto il cuore «sono quattro giorni che mi parli a mala pena» dico sottovoce irritandomi.

«quindi è questo il problema» ghigna allontanandosi, affonda le mani nelle tasche con strafottenza.

«sì» stringo i denti «non perdo nemmeno tempo, tanto non capiresti» sospiro frustata, cerco di sorpassarlo per andarmene, ma con scarsi risultati.

«sono qui» si indica, incrocio le braccia al petto con sicurezza e rimaniamo uno nello sguardo dell'altro senza muoverci.

«comportandoti in questo modo mi fai sentire uno schifo» inizio «soprattutto dopo quello che abbiamo fatto, mi fai sentire sbagliata, ho questo pensiero in testa da quando te ne sei andato via quella mattina, sono consapevole del fatto che non sono abbastanza per te ma non comportarti da stronzo» finisco lanciandogli un'occhiata.

I'm not your enemyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora