Non è affatto divertente, Thompson

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5 anni dopo

LEILA

La casa era come al solito silenziosa e fredda, nonostante facevo di tutto per renderla il più possibile accogliente e calda, rimaneva sempre quel qualcosa che mi ricordava tanto mio padre.

Un'anima spenta, grigia, corrosa da un passato doloroso e impegnativo di un genitore.

Molto probabilmente dovrei cambiare casa, ogni volta che mi guardo intorno rivedo me, la piccola bambina che scappa dalle grinfie del padre che vuole metterle le mani addosso.

E ripensandoci gli ultimi anni della mia vita scorrono veloci, come un lampo nella mia mente.

Metto in spalla la borsa bianca di cotone con all'interno i libri per i corsi di oggi e scolando la tazza di caffè esco di casa, l'aria fredda di settembre mi scompiglia i capelli.

Non faccio in tempo ad attraversare la strada che il mio telefono squilla nella tasca, ignoro la suoneria e continuo a camminare tranquilla verso scuola.

«maledizione» impreco afferrando il telefono nella tasca e aprendo le chiamate, con tanta sorpresa noto il nome di Tom sul display, di solito non mi chiama mai a quest'ora.

«oh finalmente! Perché non mi rispondi?» domanda frustrato, io rigiro gli occhi sorridendo.

«buongiorno anche a te, Tomas» sorrido guardando le auto che sfrecciano di fronte a me, un sospiro esce dalle mie labbra.

«saltiamo la parte in cui di consuetudine ti saluto» dice facendomi ridere «dove cazzo ti sei cacciata?!» alza la voce mentre io sbuffo.

«smettila di dire parolacce» mi lamento, lui ridacchia «sto arrivando» lo informo mentre sento un vociare proveniente dal suo capo del telefono.

«che succede?» domando curiosa e affrettando il passo mi guardo intorno.

«ci sono un paio di amici qui, dicono che quest'anno c'è un nuovo compagno» sussulto, un nuovo compagno.

«oh, e...» mi mordicchio il labbro, come abitudine «...lo avete già incontrato?» domando.

«no, per questo ti sto aspettando, Eily» sorrido sentendo il nomignolo, ricordo che quando ero ancora in clinica abbiamo iniziato a scherzare e davamo di matto, tanto da far arrabbiare il dottore e cacciarci dalla sala.

Ricordo che stavamo facendo un gioco, nella mia stanza, e d'improvviso, preso da un momento di pazzia, aveva iniziato a sparare cose a caso e mi aveva chiamato con un'altro nome.

Col tempo ha iniziato a chiamarmi veramente Eily, ed io ormai ci ho fatto l'abitudine, ma quando ci ripenso provo solo un forte affetto nei suoi confronti, perché è l'unica persona che c'è stata quando io stavo male psicologicamente.

«sto arrivando, sono davanti al chiosco» lui riaggancia, come sempre in faccia, e una volta svoltato l'angolo intravedo una grande folla di fronte all'edificio.

«Eily!» urla Tom in lontananza, io gli corro incontro abbracciandolo, lui mi stringe a sé mentre inspiro il suo profumo.

«mi sei mancata» mormora baciandomi i capelli, io stringo la sua felpa nei pugni sperando che questa sensazione non abbia mai una fine.

«anche tu, Tommy» sorrido mentre cerco di scompigliargli i capelli, ma mi riesce impossibile dato che io sono un tappo e lui un lampione.

«stai diventando troppo alto» mi lamento «oppure sei tu quella bassa, Eily» mi prende in giro facendo una faccia buffa, scoppiamo a ridere.

«quindi? Dov'è questo nuovo studente?» domando voltandomi ripetutamente, lui alza le spalle.

«da quanto ne so non è un tipo di cui fidarsi, ho sentito che probabilmente è il suo primo anno di università» alzo le sopracciglia stupita.

I'm not your enemyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora