Tutti capelli niente cervello

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Due settimane dopo...

JACE

Sospiro affondando la testa nel cuscino che ho preso dal divano per dormire, sono qui da due settimane e vorrei già andarmene.

Voglio sparire.

«Jacky, il pranzo è pronto» mia madre entra lentamente nella stanza, sposto lo sguardo su di lei, è sempre più fragile e piccola.

«arrivo» mi sorride e chiude la porta.

Quando sono arrivato mi aspettavo bustine di droga da tutte le parti, a quanto pare mia madre si è ripulita e mio padre anche, ma torna a casa sempre ubriaco.

Devo badare io a lei, perché da sola non ne è mai stata capace.

«hai apparecchiato?» chiedo notando la tavola spoglia, scuote il capo e mi porge la tovaglia troppo pesante per le sue braccia.

«faccio io, mettiti seduta» annuisce sedendosi sulla sedia a capotavola, so per certo che rischia di essere vista da Anibal, ma ora ci sono io e non può fargli nulla.

Ricordo che quando ero bambino, fino a qualche anno fa, nessuno poteva sedersi a capotavola perché quel posto spettava a mio padre, e chiunque si fosse seduto lì avrebbe fatto una bruttissima fine.

«Anibal sta arrivando?» mi scoccia chiamarlo padre, non si è mai comportato come tale e non vedo il motivo per cui dovrei riconoscerlo come una figura paterna.

Mi usava solo per fare soldi.

«sì, sta lavorando in un cantiere qui vicino, arriverà a momenti» si è trovato un lavoro, finalmente si da da fare per mantenere mia madre.

«rimani lì» le ordino, vuole alzarsi perché sa che quel posto non spetta a lei, ma ora sono cambiato e anche le cose in questa casa dovranno cambiare.

Anibal non la farà tanto franca ora che ci sono io, sono cresciuto e sono più forte di lui, posso atterrarlo in uno schiocco di dita.

«deve smetterla di comandarti, non sei la sua serva, sei sua moglie» dico, sistemando gli ultimi bicchieri sulla tavola, poi prendo la pentola e verso la pasta nei piatti.

«lui non mi comanda, è solo ubriaco e non sa quello che fa» sbuffo sedendomi, lei prende in mano la forchetta.

«perché continui a difenderlo dopo tutti questi anni che ha continuato a maltrattarti?» se solo penso che lui ha provato a mettere le mani addosso a mia madre, mi sale l'istinto omicida.

«Jacky» mi riprende, il suo tono cantilenante e basso mi ricorda tanto il suo, quando facevo qualcosa di sbagliato mi riprendeva sempre.

Abbasso gli occhi sul piatto e il vapore caldo si imbatte contro il mio volto, chiudo gli occhi sospirando.

Mi manca.

«lei come sta?» scuoto il capo, non ho il coraggio né di chiamarla né di scriverle un messaggio.

«non la sento da quando sono partito, in realtà» percepisco con la coda dell'occhio un movimento della sua testa, forse ha annuito.

Sentiamo la porta sbattere, il diavolo è tornato a casa.

«Tianna!» grida dal salone, la sua voce mi arriva dritta alle orecchie, curvo le spalle e osservo la pasta, mangio in silenzio.

«è pronto il pranzo, Anib-» entra in cucina e la voce di mia madre sfuma, fino a scomparire.

Mi volto verso di lui, osserva in cagnesco mia madre, seduta sul suo posto mentre mangia la pasta, le sue mani tremano e il ginocchio debole si alza e si abbassa velocemente.

I'm not your enemyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora