LEILA
Continuo a passare la piastra sui miei capelli castani, nonostante non siano mossi; più che altro sono davvero tanti e sono lunghi e a volte divento un piccolo leone.
Voglio essere impeccabile stasera, devo far vedere ai genitori di Tomas che finalmente ce l'ho fatta, l'ho superata.
Incontro il mio sguardo riflesso allo specchio e il piccolo sorrisino che avevo in volto scompare, ho due profonde occhiaie che mi contornano gli occhi scuri.
Sospiro, lasciando la piastra accesa sul ripiano, stando attenta a non ustionarmi poggio le mani sul lavandino stringendo la ceramica bianca.
Abbandono il capo tra le spalle e respiro a fondo, stamani quando mi sono svegliata lui se n'era andato e non ha nemmeno avvertito.
È sgattaiolato via, e basta.
Non mi ha nemmeno lasciato il tempo di elaborare quello che ieri è successo tra noi, non mi ha dato la possibilità di parlare perché è subito scappato via.
Pulisco una piccola lacrima innocente che minaccia di uscire e respiro lentamente.
Anche se io non voglio ammetterlo a me stessa, e dopo il male che mi procura dovrei voltargli le spalle, soprattutto per il mio bene, non riesco a lasciarlo andare.
Nonostante tutto mi manca, non poteva sapere quello che in passato è accaduto in quella stanza.
Scuoto il capo cercando di scacciare qualsiasi tipo di pensiero che mi offusca la mente, e stacco velocemente la presa della piastra, riponendola nel cassetto.
Il mio telefono inizia a squillare.
Lentamente mi avvicino, è rivolto con lo schermo verso la scrivania e non posso vedere chi mi sta chiamando.
«pronto?» la voce di Tom riecheggia nelle mie orecchie e lascio andare un sospiro, stavo trattenendo il fiato.
«Eily, ti passo a prendere, sei pronta?» domanda velocemente, sento il tintinnio delle chiavi e probabilmente starà già partendo.
«mi devo vestire» osservo la semplice maglia a maniche corte e un pantaloncino «ma da quale numero mi stai chiamando?» domando confusa riguardando le cifre ritratte sullo schermo.
«oh, sì scusa, è il telefono di mia madre, il mio è morto» mi informa mentre annuisco «ora devo andare, sto arrivando» nemmeno il tempo di salutarlo che riaggancia.
Ridacchio spegnendo il cellulare e avvicinandomi al letto osservo l'abito rosso che ieri ho lasciato sulle lenzuola per seguirlo in corridoio.
La seta è liscia a contatto con i miei polpastrelli, quando lo afferro sembra quasi scivolarmi dalle mani.
Forse dovrei fidarmi delle sue parole, non posso convivere con la paura che le persone vedano quello che ho provato a fare in passato, perché ho paura di essere giudicata data la mia storia.
Ci penso parecchio, ma poi mi ricordo che Tom arriverà a minuti, e devo sbrigarmi.
Sospiro chiudendomi in bagno, mi denudo rimanendo in una semplice mutandina bianca di pizzo.
Indosso il vestito che scivola addosso ad ogni mia forma, se avessi provato a mettermi questo abito qualche anno fa probabilmente mi sarei vergognata di me stessa.
Col tempo il mio corpo è cambiato, ed è divenuto ormai quello di una donna, nonostante io ancora mi senta una bambina, delle volte.
Chiudo gli occhi sentendo le spalle e le braccia scoperte, li riapro incontrando la mia figura riflessa nello specchio che ho dinanzi.
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I'm not your enemy
Romance[COMPLETA] Jace Carter, ex carcerato, nato a San Fernando, sulle coste del Messico, avrà la possibilità di tornare agli studi a 23 anni. Accusato di un grave reato, viene incarcerato all'età di 15 anni, per poi essere rilasciato a 22, dopo aver pass...