III

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Faylen, figliastra del Re di Gwindililing, Regno di Gwindililing, Shattevel.

Osservai i falò nelle immense praterie dietro al castello, in disparte, dalla finestra della mia stanza nell'ala della servitù e respirai con pesantezza, esaminando la gente ballare, bere e ridere con spensieratezza. Appoggiai la fronte al vetro e sospirai; tre ore prima avevo compiuto l'ultimo passo che mi avrebbe garantito la libertà dal Regno di Gwindililing e dalla presenza di mio padre.

Ero una silfide potente e per metà della mia vita ero stata così intelligente da nascondere i miei portentosi poteri, ma questa notte mi ero superata: come silfide avevo il dono di riuscire a modificare le mie sembianza e le mie caratteristiche, ed avevo completato l'opera. Il lavoro era stato preciso e pulito: mi ero plasmata ad immagine e somiglianza di un mercante di oggetti antichi, avevo venduto un calice alla mia sorellastra, calice sul quale avevo utilizzato una potente magia che sarebbe stata rilasciata non appena mio padre avesse bevuto dallo stesso e sarebbe morto. Aagsauk sarebbe morto per mano della sua figlia leggitima con spettatore l'intero popolo e io non attendevo altro se non quel momento.

Mi abbracciai le spalle nude dal vestito che ritraeva una cascata di stelle e pensai a quanto la mia esistenza fosse stata obbrobriosa, perché a causa della mia natura, ero stata utilizzata ripetutamente per intrattenere i funzionari di mio padre; la prima volta, qualche mese antecedente alla pubertà e alla conquista dei miei poteri, ma ad un certo punto, negli anni trascorsi, avevo smesso di pensare, avevo staccato la spina, lasciato che il maschio facesse ogni cosa, rimanendo immobile e tranquilla, e quando tutto terminava, quando il pezzo di merda abbandonava la mia stanza con un sorriso a trentadue denti, mi piegavo sul catino del bagno per le tre ore successive e la mattina seguente ricominciavo a vivere come se nulla fosse.

Resistevo per combattere il mio sudicio padre e forse fu solo grazie al mio carattere se in questi settant'anni non morii, non desiderai di porre fine alle mie sofferenze. Un lieve bussare mi indusse a spostare lo sguardo dai falò alla porta della mia camera, mi lisciai l'abito e annusai la mia pelle, che avevo deterso con olio di mandorle e rose, un infuso che ero capace di preparare da quando avevo compiuto vent'anni.

"Avanti." Mi scostai dalla finestra e andai incontro al Fae, agghindato da una bellissima blusa verde, che si intonava perfettamente con i suoi capelli rossi. "Vi state godendo la serata?"

Il Fae inclinò la testa, come se in qualche maniera non fosse convinto del mio saluto cordiale.

"Molto. Effettivamente qui a Gwindililing fate le celebrazioni in grande." Indicò con un cenno del capo la stanza alle mie spalle. "È qui che vivi?"

Cercai di eludere come i suoi occhi scandagliarono anche il mio corpo e le mie ali, per poi indietreggiare ed invitarlo ad entrare.

"Prego." Non risposi alla domanda sulla mia vita. "Emissario della Corte del Tramonto."

Avanzò senza cerimonie e chiuse la porta alle spalle mentre mi allungai sul comodino per preparare due grossi calici di vino satirico, perché per completare il mio piano avevo bisogno che il Fae fosse manipolabile e a giudicare dal suo acume, non sarebbe stato semplice. Difatti, non varcò la soglia della mia anonima stanza con famelica bramosia, quanto più con acuta intelligenza e quando gli porsi il calice di vino, mi sorprese con una constatazione a dir poco inusuale.

"Non sono venuto qui per approfittarmi di te."
E lo disse con così tanto rispetto, che quasi mi sentii mancare al pensiero di volerlo ubriacare a tal punto da approfittarmi io di lui. "Non sono quel tipo di uomo."

Lo invitai a bere deglutendo un boccone amaro.

"Non ho mai pensato il contrario."

Appoggiò il calice sul tavolino in corrispondenza della pediera del letto e imprecai nella mente.

THE FALLEN | A Gods' NovelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora