XIV

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Lucifer, Dio della Fiamma della Creazione, Altromondo.

Ares sapeva che quella notte, dopo il colloquio con la Madre, non avrebbe potuto recarsi al piccolo Tempio non lontano dalla sua abitazione per tentare di superare le barriere della loro costrizione e dialogare con sua figlia, all'oscuro dagli occhi dei fratelli; non poteva, non dopo aver dato spettacolo, non dopo aver rivelato a tutti quanto potere ancora fosse in grado di esercitare a discapito della presenza di quei braccialetti. Aveva giurato vendetta alla Madre, alla Dea Viktoria, che al tempo dei Titani non aveva esitato due volte a scaraventare giù dalla rupe Padre e l'avrebbe pagata a caro prezzo.

Madre e Padre erano due Dei uniti dal vincolo di coppia, quel vincolo che era sbocciato anche tra sua figlia e Re Damien, un vincolo così profondo da sconvolgere le regole dell'Universo e se per più di duemila anni sua madre aveva adorato Padre, vi era stato qualcosa poi, che l'aveva mandata fuori di testa e le aveva permesso di uccidere il suo stesso compagno, pur di acquisire quella posizione tanto prestigiosa.

Nessuno dei suoi figli, anche i più meritevoli, quali Athena e Zeus, avevano mai compreso quel suo folle gesto. Le varie leggende raccontavano di un patto stretto con il titano Thanatos ,governatore delle tenebre e genitore della lunga stirpe che avrebbe sputato fuori dal suo grembo Re Eldrik infiniti anni dopo, ma niente che potesse essere preso seriamente come teoria di quella pazzia improvvisa.

"Ares?"

Il timbro maschile soave di suo fratello lo indusse a voltarsi con un sopracciglio sollevato in maniera canzonatoria e con una veloce occhiata si rese conto che nemmeno lui avesse avuto premura di cambiarsi dopo la riunione alla corte: indossava ancora quella loro corona d'alloro oro e quelle tuniche imbevute di fili sofisticati.

Con un leggiadro movimento, gli diede le spalle e continuò a fissare il lago dell'Altromondo, l'unica opera naturale che riusciva a portare un po' di pace nel suo animo travagliato. Era l'unico luogo in cui poteva ricordarsi Helentya e non percepire la costrizione al petto che di solito era in grado di svegliarlo la notte con fitte soffocanti.

"Apollo." Ares non si prese la briga di girarsi e attese che il fratello si posizionasse al proprio fianco. "A cosa devo tanto disturbo?"

Apollo sorrise lievemente e infossò le mani nella tunica marrone.

"Ho da proporti un patto."

Ares soffiò dal naso una risata.

"Mi guardo bene dall'accettare un patto da voi undici fratelli." L'odio che provava per la sua famiglia aveva radici molto, molto profonde ed il tutto si era acuito quando quegli stronzi avevano deciso di rivelare Helentya a Madre, azione per cui non si sarebbe mai preso la briga di chiudere la profonda voragine d'odio che li aveva definitivamente separati. "Vai a scodinzolare altrove e leccare il culo della folle che crede di governare l'intero universo."

"Non bisogna essere amici per stringere un patto." Apollo ignorò gli insulti di Ares verso la propria madre e continuò: "non dovrei essere io a dovertelo spiegare."

Ares lo guardò da sopra la spalla con un sorriso feroce.

"No, certo, ma bisogna considerare la parola di chi te lo propone e, Apollo, mi dispiace deluderti, ma non vali nemmeno la metà di quel lancia frecce di Eros."

"Non stiamo parlando di quello stupido bambino al servizio di nostra sorella."

L'insulto del Dio aveva affondato in maniera deliziosa ed il suddetto riuscì a saggiare la brace nella sua bocca e l'acidità nelle parole di Apollo, un connubio perfetto per la sua ira ed il suo odio.

THE FALLEN | A Gods' NovelDove le storie prendono vita. Scoprilo ora